INTESA-SANPAOLO
IL MERCATO APPLAUDE, IN TANTI SI PREPARANO AD INCASSARE.
CHI PAGHERA' IL CONTO?
COMINCIAMO A PARLARE DI TUTELA E DIRITTI DEL LAVORO.
Ad un mese dall'annuncio dell'operazione di fusione, ci sembra importante ed urgente cominciare ad aprire una discussione approfondita sugli aspetti meno appariscenti dell'aggregazione e provare ad esaminare, in termini meno generici, le sue ricadute sindacali.
La formazione di un campione nazionale che si colloca ai primi posti dell'eurozona è la diretta risposta alla nuova linea della Banca d'Italia di Mario Draghi, tesa a frenare l'assalto delle banche estere non più attraverso barriere autorizzative, ma tramite processi di aggregazione volontaria tra le banche medio-grandi. La fusione segna anche un punto a favore della finanza "cattolica" e, più in specifico, rafforza il radicamento economico-finanziario della componente governativa che possiamo definire "prodiana". E' la parte moderata del centro-sinistra, quella che assume in contemporanea un atteggiamento interventista e pervasivo anche nel caso Telecom, per difendere l'italianità di Tim e in generale delle aziende a contenuto "strategico", a partire dalle reti infrastrutturali (energia, gas, telecomunicazioni, autostrade).
E' evidente che nel caso Intesa-Sanpaolo quest'obiettivo viene raggiunto nell'immediato, mettendo entrambe le banche al riparo da mire aggressive rispettivamente di Credit Agricole e di Santander. Nel lungo periodo però il problema rimane, perché (al momento) non si intravede un patto di controllo sufficientemente blindato: le fondazioni, se anche votassero compatte e coese, arriverebbero insieme ad un misero 20%, mentre tre soci forti come Agricole, Santander e Generali sembrano avere interessi, strategie ed appetiti divergenti rispetto alla nuova superbanca. Il 60% di azioni flottanti sul mercato può rappresentare comunque un invito alla scalata per un concorrente estero con sufficiente capitale a disposizione.
L'incertezza sugli sviluppi futuri dell'operazione grava su aspetti fondamentali del progetto, enunciato in termini ancora molto vaghi ed accolto da un plauso generale che non si perita di entrare davvero nel merito. La prima stesura di un vero piano industriale è attesa entro un paio di mesi e circola per ora solo un elenco di numeri che esprime l'ordine di grandezza delle variabili in gioco. Nel diluvio di cifre, manca l'indicazione più delicata: quanti lavoratori avrà a regime la nuova superbanca rispetto agli oltre 100.000 attuali.
La nuova banca si presenta come un colosso da 6000 sportelli e una quota di mercato del 20% in Italia, con punte superiori al 30% nel risparmio gestito e nella banca-assicurazione. Vengono indicate sinergie stimate in 1,3 miliardi di euro a regime nel 2009 (di cui il 75% da risparmi da costi), oneri di integrazione per 1,5 miliardi di euro una tantum, utile netto 2009 di circa 7 miliardi di euro e una crescita media annua composta dell'utile netto del 13% nel periodo 2005/2009. Più nel dettaglio, l'azienda punta ad un taglio dei costi del 9% a livello aggregato, ottenuto attraverso l'unificazione dei sistemi IT, dei back-office, delle strutture centrali, la centralizzazione degli acquisti, la rinegoziazione dei contratti esterni, la razionalizzazione delle spese amministrative e l'integrazione/fusione delle fabbriche prodotto presenti nella stesse aree di business. Tutto questo senza tenere conto dei tagli derivanti dalla razionalizzazione della presenza territoriale, vuoi per la cessione di sportelli imposta da ragioni di Antitrust, vuoi per l'analisi reddituale del conto economico di filiali troppo sovrapposte.
Il modello organizzativo prescelto rimane quello sperimentato al Sanpaolo, la Banca dei Territori che salvaguarda i marchi locali e unifica le reti dove questi non sono presenti. Questo modello non potrà evitare l'emergere di problemi di sovrapposizione antitrust in numerose province (circa 20) dove si rischia di vedere ceduti circa 600 sportelli, lavoratori inclusi, come abbiamo sperimentato in recenti occasioni. Candidati all'acquisto possono essere i soggetti più svariati: si parla di Carige per gli sportelli di Piemonte e Liguria, di Credit Agricole per Cariparma e/o Friulcassa, di Carifirenze per Santander e di Generali per Banca Fideuram. Tutti i soci che non hanno frapposto ostacoli all'integrazione (come Agricole e Generali) mirano a contropartite consistenti, mentre i soci insoddisfatti (come Santander) non hanno rinunciato ad azioni di rivalsa. Per quadrare il cerchio potrebbe verificarsi una sorta di spezzatino, che finirebbe per utilizzare settori di interesse (o di pregio) della superbanca come onorevole liquidazione di soci ormai scomodi e sgraditi.
Restano ancora tutte da definire peraltro le scelte strategiche in materia di fabbriche prodotto e di reti distributive, soprattutto nel campo del risparmio gestito e della bancassicurazione. Su questo terreno le scelte di Sanpaolo e Intesa erano nettamente divergenti: Intesa aveva venduto il 65% di Nextra ai francesi di Credit Agricole, impegnandosi per 12 anni a distribuirne i prodotti e concedendo ai soci anche un diritto di prelazione sul rimanente 35%. Sanpaolo aveva unificato in Eurizon l'asset management, l'assicurativo ed il previdenziale, stabilendo con la rete un accordo distributivo fino al 2009, ed aveva in progetto l'imminente quotazione della nuova società, per dare visibilità al valore intrinseco di quella che è già ora la seconda compagnia assicurativa italiana. Dalla quotazione sarebbe dovuto arrivare un bel po' di denaro fresco (5-6 miliardi di euro) per finanziare nuove acquisizioni, come ad esempio il fondo d'investimento scozzese Scottish Widows, inaugurando così lo shopping all'estero. La sospensione della quotazione di Eurizon segnala le difficoltà che attualmente conosce il progetto, nell'attesa che la trattativa con Credit Agricole e Generali possa fare chiarezza sulle strategie future del nuovo gruppo, in particolare su cosa si debba distribuire e attraverso quali canali. Le Generali non nascondono la propria ambizione a voler diventare il polo assicurativo di riferimento del nuovo Gruppo, ampliando il ruolo di Intesa-Vita, la società congiunta tra la propria partecipata Alleanza e Banca Intesa. Alleanza ha addirittura bloccato la distribuzione ai soci del proprio capitale in eccesso (circa 1 miliardo di euro), per poter sfruttare eventuali occasioni d'acquisto nel riassetto della nuova banca.
La quotazione o meno di Eurizon fornirà indubbiamente risposte importanti sulle politiche commerciali e sui modelli di business che la nuova banca intende darsi. Il mantenimento "in casa" delle fabbriche prodotto (sebbene ne renda improcrastinabile l'esigenza di innovazione qualitativa) potrebbe rappresentare un segnale importante nella scelta di un modello "autocentrico", capace di controllare tutta la filiera produttiva, conglobare la catena del valore e far sì che le reti distributive non vengano ridotte a mere piattaforme di vendita di prodotti pensati altrove. La salvaguardia dell'autonomia produttiva consentirebbe anche, nel caso di Eurizon, un forte insediamento produttivo sul territorio torinese, che indubbiamente è oggi a forte rischio, nonostante sia destinato ad accogliere le sede legale della nuova banca.
Del resto nella Banca dei Territori, sono molti i territori che rischiano, per chiusura o reinsediamento di processi di lavorazione. Tra essi mettiamo tutte le regioni che ospitano sedi secondarie delle banche oggetto di fusione, i cui lavoratori potrebbero essere interessati da forti processi di mobilità. Lo stesso vale per le regioni dove più numerose sono le sovrapposizioni di sportelli, dalla Lombardia al Friuli, dall'Emilia al Lazio, allo stesso Piemonte.
Scendendo su un terreno prettamente sindacale, è evidente che molti pensano ad una gestione "morbida" delle tensioni occupazionali, attraverso l'utilizzo del fondo esuberi e gli esodi incentivati. Del resto questo strumento ha già "accompagnato" circa 7.000 lavoratori di Banca Intesa e 3.000 del Sanpaolo, i primi con pessimi accordi collettivi senza possibilità di scelta, i secondi con miglior salvaguardia della volontarietà ed incentivi economici.
Fare oggi previsioni sulle modalità attuative del Fondo è quindi arduo: quale sarà il modello che si cercherà di applicare?
Inoltre, la riforma Maroni delle pensioni ha irrigidito le norme per le fuoriuscite dal lavoro e finchè non si conosceranno le vere intenzioni del nuovo governo in materia manca un presupposto fondamentale per tracciare il quadro di riferimento. Ci sembra dunque prematuro quantificare gli anni di "sconto" di cui potrebbero godere i lavoratori a più alta anzianità di servizio, come già si sono precipitati a fare molti sindacalisti imprudenti o troppo informati. Esercizi di questo genere ci sembrano, oggi più che mai, esempi di come fare i conti senza l'oste.
La fusione ci consentirà di verificare ancora una volta la credibilità dei sindacalisti che ci rappresentano (peraltro senza alcuna possibilità di verifica elettorale), così come l'affidabilità dei manager, che ufficialmente ci invitano alla serenità e alla fiducia nel futuro. Speriamo non si rivelino palesi prese in giro, come la favola che una banca più grande garantisca più concorrenza, abbassamento dei costi per la clientela e vantaggi per i consumatori.
Mentre la fusione prende forma, crediamo vadano ribaditi alcuni criteri di fondo che a nostro avviso devono essere tenuti presente in qualunque condotta sindacale corretta ed adeguata a gestire la situazione:
1) l'incertezza ed il caos che normalmente accompagnano questi processi non devono indurre una caduta della tensione sindacale per il rispetto dei diritti dei lavoratori e delle normative pre-esistenti; non sono cambiate le priorità rivendicative: orario, salario, organici, sicurezza, formazione, stabilità lavorativa;
2) la tenuta dei livelli occupazionali deve salvaguardare i lavoratori con diritti acquisiti, ma anche i nuovi lavoratori precari che hanno il contratto di inserimento o di apprendistato, che non devono diventare, nel 2009, potenziali vittime della fusione;
3) nei casi di cessione di sportelli, scorpori o alienazione di attività, trasferimenti di lavorazioni, occorre puntare (senza cedimenti e concessioni a priori) ad un modello di tutela dei diritti del lavoratore che ne salvaguardi la possibilità di scelta, garantisca il sostanziale mantenimento delle condizioni normative e salariali pregresse, imponga (per un congruo periodo di tempo) il rientro nell'azienda e nell'area territoriale di provenienza al verificarsi di eventi straordinari (riduzioni di organico, cessioni, scorpori) imputabili al nuovo datore di lavoro;
4) l'omologazione dei trattamenti sindacali tra le aziende del gruppo deve mirare al livello più alto tra quelli esistenti, per fare sì che le "sinergie" non vadano ad esclusivo vantaggio degli azionisti e dei manager, ma che siano redistribuite anche a vantaggio dei lavoratori.
In ultima analisi, noi ci batteremo perché la fusione non si riduca ad un selvaggio processo di razionalizzazione dei costi e di svecchiamento della forza lavoro, magari giocato mettendo l'uno contro gli altri territori e aziende di provenienza, ma diventi l'occasione per una crescita delle salvaguardie e delle tutele collettive. Sapendo fin da subito che solo la compattezza dei lavoratori tutti, e quando necessario anche la lotta collettiva, possono aspirare a conseguire questo risultato.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A
Banca Intesa SanpaoloIMI
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