L’ULTIMA MONOGRAFIA
Il SanPaolo si è spento: i lavoratori ne soffrono, i mercanti festeggiano.
Lo abbiamo detto tante volte e lo ribadiamo oggi, in quello che sarà l'ultimo volantino firmato Cub-Sallca Sanpaolo.
Noi non giudichiamo i "padroni" (i datori di lavoro, gli azionisti di riferimento, i top manager… chiamateli un po' come vi pare) per i loro curricula accademici o professionali, per gli orientamenti politici, per il dialetto o la lingua che parlano. Quello che conta per noi sono i comportamenti ed i risultati in termini di relazioni sindacali, livelli occupazionali, condizioni normative e salariali dei lavoratori; la progettualità a medio-lungo termine; la qualità sociale dei prodotti e dei servizi.
E da questo punto di vista, lo sapete bene, non siamo stati mai particolarmente teneri con la "nostra" azienda. Ne abbiamo contestato le politiche commerciali sempre più aggressive (nei confronti di clienti e dipendenti), i sistemi incentivanti approssimativi e pesantemente iniqui, le modalità di gestione del personale (un miscuglio a volte incomprensibile di antichi e nuovi difetti), il rigore "a senso unico" nel contenimento dei costi, il declino nella qualità e coesione del management provocato dalle ripetute "guerre tra bande" e dalle correlate promozioni di cordata.
Più volte, negli ultimi anni, abbiamo sottolineato come fossero proprio le strategie aziendali e le scelte di vertice (sempre più mediocremente omologate alle logiche ed alle mode del Mercato) a determinare il progressivo sgretolamento di una "cultura aziendale" che pure, a parole, si proclamava di voler valorizzare.
Una cultura aziendale che, per quanto ci riguarda più da vicino, sopravviveva come eredità, misconosciuta, del vecchio istituto di diritto pubblico ed era basata essenzialmente su una diffusa ed elevata qualità del fattore lavoro. Ne rappresentavano tasselli fondamentali le modalità di assunzione prevalentemente "per concorso" (il che ha permesso, tra l'altro, una forte presenza femminile), livelli di organico adeguati a garantire la pratica dell'affiancamento (e la conoscenza del "mestiere"), la possibilità di percorsi di crescita professionale per via interna, un forte radicamento sindacale basato sulla figura del delegato di filiale.
Ma com'è noto non sono questi i "valori aziendali" che al Mercato interessa preservare. E così, inevitabilmente, anche al vecchio Sanpaolo è venuto il tempo dei contest, dei budget individuali, dei prodotti-bidone, della rottura della filiale come gruppo omogeneo, dei capitani di ventura, delle stock options stellari, dello strapotere delle società di consulenza e via discorrendo.
E, naturalmente, di una "moderna" e pervasiva comunicazione interna, veicolo di quell'indispensabile velo ideologico che scalda i cuori, motiva i gonzi e serve a coprire la realtà.
Mai come negli ultimi tempi nei discorsi dei nostri manager hanno avuto un ruolo così centrale le stupidaggini e gli slogan sul "capitale umano" (che perfida espressione), sui bilanci sociali, sulla forza della squadra, sulle sfide da vincere, sulle opportunità da cogliere.
Ed alla fine questo (e non l'altro) è diventato il sistema di "valori" prevalente da imporre anche alle tante migliaia di lavoratrici e di lavoratori acquisiti con le loro banche in un vortice sempre più accelerato e meno condiviso (al di là dei localismi più o meno duramente toccati).
In fondo, la recente storia del Sanpaolo (e la sua fine) è l'ennesima prova di come (soprattutto oggi) gli interessi dei primattori del mercato (dai top manager ai consulenti, dagli speculatori finanziari agli ingordi azionisti di controllo) divergano profondamente da quelli dei lavoratori, dei territori e dei clienti e, alfine, delle stesse Aziende se intese non come mero involucro per macinare profitti a breve.
A questo proposito, se volessimo indulgere sul tema del "lo avevamo detto", ci basterebbe andare a riprendere un nostro antico volantino sull'allora (?) potentissima Mc Kinsey che intitolammo "Fuori i mercanti" e ricordare i commenti che suscitò.
E invece preferiamo non negare di essere stati anche noi colpiti, per quanto da tempo vaccinati contro le ideologie aziendali, dalla repentinità e radicalità di quanto è successo.
Pensiamo all'apparente facilità con la quale il duo Salza-Iozzo ha potuto chiudere una storia centenaria di una banca in grande salute per ottemperare ai desiderata dei poteri forti dell'economia e della finanza e dei loro rappresentanti politici, assumendoli come unico metro di giudizio. Pensiamo all'acquiescenza o impotenza dimostrata da tutti gli altri possibili protagonisti della vicenda (dalla Compagnia alle Istituzioni locali).
Pensiamo, ovviamente, alla leggendaria fuga di Iozzo che, pochi giorni dopo aver magnificato (in pubblico) la superfusione, se ne va al Servizio del Paese (non prima di aver intasato la posta elettronica della banca con un penoso messaggio di commiato) lasciando allo sbando la sua tradizionale cordata di comando. Ai fedelissimi (compresi alcuni sindacalisti) non resta che ripetere, parafrasando Jesus Christ Superstar: "E' la fine; è solo un po' più dura quando è causata dagli amici".
E, infine, pensiamo allo squagliamento ed ai balbettii di tanti dirigenti, capi e capetti tra i quali un posto d'onore spetta alla mitica gerarchia della Direzione Personale.
Quella, tanto per capirci, che in nome del supremo interesse aziendale ti faceva sudare le proverbiali sette camicie per un trasferimento o per una guardia di fronte ad uno sportello plurirapinato e che, in pochi giorni, ha adottato il nuovo motto "si salvi chi può", con tanti alla ricerca di un buon ritiro in qualche controllata, e altri con in tasca un contratto di consulenza per i nuovi padroni.
Intanto Salza manda videomessaggi di auguri (molti dei quali restituiti al mittente) e, insofferente ad ogni obiezione, allude con i fedelissimi ad una sorta di "resistenza verde" in attesa di tempi migliori. Grottesco, ma c'e' chi prova a crederci stringendosi attorno a Modiano, il DG precario. Altra vicenda paradossale la sua (che almeno ha detto quello che pensava), convinto a restare da un politico con i baffi (e dalla moglie) e che si trova adesso a reggere vessilli non propri (lui, milanese, con una vita in Unicredit e contrario al progetto…).
Sono storie davvero esemplari ed è per questo che, pur comprendendo l'amarezza di tanti sanpaolini (e molti di noi condividendola), vogliamo che a prevalere sia la capacità di ragionare e di trarre anche da questa vicenda utili insegnamenti per il futuro.
L'album dell'ultimo anno di storia del Sanpaolo si apre con tanti colleghi che (travolti dall'entusiasmo per l'evento olimpico) correvano a farsi fotografare con il presidente in fiaccola e tuta da ginnastica; prosegue con tante affollatissime convention con ricchi premi, cotillons ed applausi fragorosi per i risultati conseguiti; si chiude con la ricerca in qualche cassetto del vecchio Integrativo, che viene interrogato ansiosamente alla ricerca delle tutele sindacali esistenti, sperando di non essere venduti con la propria scrivania o traslocati un po' troppo lontano. Nuove sfide e nuove opportunità, si diceva.
Per quanto ci riguarda, abbiamo la coscienza a posto. In questi mesi, pur esclusi dalla contrattazione ufficiale, abbiamo svolto un ruolo di primo piano assicurando ai lavoratori un costante flusso di informazioni, denunciando ai mass-media ciò che stava accadendo, sollecitando forze politiche e istituzioni locali, organizzando il presidio davanti all'assemblea degli azionisti ed un convegno sulle possibili ricadute della fusione su lavoratori e clientela, pressando le altre sigle sindacali affinché organizzassero assemblee, criticando i primi accordi a perdere, suggerendo soluzioni diverse.
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