L'accordo siglato tra i sindacati omologati-firmatari e il nuovo gruppo Unicredit, per favorire l'uscita di 5.000 lavoratori, rappresenta la conferma di una prassi negativa già avviata con la recente fusione tra Intesa e Sanpaolo.

Ancora una volta siamo in presenza di un taglio agli organici "preventivo", cioè senza che sia stato presentato un piano industriale e sia stato avviato un processo di integrazione che evidenzi una situazione verificabile di esuberi.

Il dato che le uscite siano volontarie nulla toglie al fatto che il taglio avvenga in modo arbitrario, "a tavolino", aggravando la situazione di carenza di organici di numerosi uffici e punti operativi.

Come ben evidenziava un articolo su Repubblica di domenica 5 agosto (p. 51 economia), usciranno dai due maggiori gruppi bancari italiani circa 12.500 lavoratori (e, aggiungiamo noi, altri 1.700 da Ubi Banca) e tutto questo con il pieno consenso dei sindacati concertativi, mentre la sola voce discorde è stata quella della Cub-Sallca, che ha indetto il 28 giugno una giornata di sciopero nel gruppo Intesa Sanpaolo, riuscendo a chiudere numerose filiali.

I paralleli tra le vicende dei due supergruppi sono evidenti ed è facile ipotizzare, con queste premesse, che il futuro lavorativo dei colleghi di Unicredit e Capitalia non sarà facile.

Nell'accordo viene individuato, tra gli altri strumenti da adottare, il contenimento del lavoro straordinario. Non si capisce se questa è una citazione "dovuta" (prevista dalla normativa sul fondo di solidarietà) o se dovrà concretizzarsi realmente e in che modo: i lavoratori saranno invitati ad uscire in orario o verrà accentuata la deprecabile prassi, già oggi diffusa, di non segnare le ore lavorate in più?

Tutti da verificare sono gli impegni rispetto alla "riallocazione di attività a livello domestico" (attività che dovrebbero restare in Italia, anziché passare alle società estere, dove il costo del lavoro è più basso).

Per quel che riguarda la previdenza integrativa, i lavoratori dell'ex C.R.Roma sono stati ancora una volta penalizzati e discriminati: da un lato, la fusione è stata finora l'ennesimo pretesto per evitare di risolvere l'annoso problema del loro fondo pensioni, dall'altro, proprio perché ancora irrisolto, sono stati messi nella condizione di non poter nemmeno aderire agli incentivi proposti, a rischio, altrimenti, di rendere l'iter giudiziario intrapreso più complesso e l'esito dello stesso meno certo.

Un altro aspetto da porre in evidenza è che negli accordi non si fa menzione alcuna al contratto nazionale scaduto dal 1.1.2006! Allo stato attuale, chi accetta di andare in pensione adesso o aderire al fondo di solidarietà perderebbe la prevedibile erogazione dell'una tantum per il 2006 e l'adeguamento dello stipendio per il 2007, con conseguenze negative sulla futura pensione.

Segnaliamo ancora, come episodio negativo, la vicenda del centro di smistamento postale di Unicredit di Bologna, dove i dipendenti sono stati trasferiti e i lavoratori interinali di società esterne, cui era stata promesso un contratto a tempo indeterminato nel consorzio interbancario Caricese, sono stati posti di fronte alla prospettiva di nuovi contratti precari.

Anche nel nuovo gruppo si pone la necessità di dar corpo, nel più breve tempo possibile, ad una presenza forte e radicata del sindacato di base Cub-Sallca, che, del resto, ha già supportato le ultime rivendicazioni del Comitato Fondo Pensioni C.R.Roma.

Siamo a disposizione dei lavoratori per contrastare le ricadute negative di un processo di fusione che rischia di vedere come unici  beneficiari azionisti e top management.

Una deriva che, con il sindacalismo di base, si può tentare di impedire.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni
Gruppo Unicredit – Gruppo Capitalia

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