Nel 2007 il sistema dei fondi comuni italiani ha perso oltre 50 miliardi di euro. Nei primi due mesi del 2008 la fuga ha portato via altri 26 miliardi di euro, un record, dovuto al crollo dei mercati azionari ma anche alle scarse performance delle società di gestione, incapaci di creare quel valore aggiunto a fronte del  quale si fanno pagare laute commissioni, del tutto ingiustificate e inaccettabili ormai per la clientela. La crisi del risparmio gestito è un dato strutturale, cui si è cercato di porre rimedio negli anni con vari tentativi, dal varo dei fondi flessibili o estero-vestiti, alla continua revisione dei prodotti, dal lancio delle obbligazioni strutturate, all'accorpamento delle società di gestione e/o reti di vendita. L'unica cosa che è cambiata per i clienti è stata la modalità attraverso cui i propri risparmi vengono utilizzati per rimpinguare il conto economico delle banche, sempre meno disposte a rischiare in proprio (facendo raccolta diretta e reimpiego creditizio), ma sempre più orientate a gestire il risparmio altrui facendosi pagare alte commissioni, stabili e certe, comunque vada l'andamento dei mercati.
L'insostenibilità di questo modello era evidente da tempo, ma quanto è accaduto  negli ultimi 30 mesi ha fatto precipitare la situazione. A partire dal 2005, i tassi hanno ricominciato a salire, azzerando i rendimenti dei fondi obbligazionari e spingendo la clientela a tornare massicciamente su Bot e CCT. Da sei mesi a questa parte, anche le borse hanno iniziato ad arretrare, in modo precipitoso e continuativo, a differenza dei rapidi storni degli anni precedenti, assorbiti in poche settimane. La fuga dai fondi ha cominciato a erodere il volume delle masse gestite, che erano arrivate in Italia a quasi 600 miliardi di euro. Le banche hanno reagito alla crisi nel modo più semplice e sbagliato: hanno spinto per sostituire i fondi con prodotti ancora meno trasparenti ed efficienti, come le obbligazioni strutturate e le polizze index e unit-linked. I gestori e i consulenti hanno dovuto farsi carico di questo passaggio, per garantire ai loro datori di lavoro il mantenimento di alti ritorni economici, realizzati attraverso le elevate commissioni di collocamento percepite su questi prodotti, commissioni implicite nei prezzi (penalizzanti) che questi strumenti assumono subito dopo essere stati infilati (a forza) nei portafogli dei clienti.

   Tutto questo è vero per tutte le banche e per tutto il sistema. Ci sono poi delle situazioni in cui, in aggiunta a tutto quanto abbiamo detto, scattano anche dei meccanismi gestionali autolesionisti e si finisce per farsi del male da soli. Ci riferiamo ad Intesa Sanpaolo ed alle convulse vicende che riguardano la riorganizzazione del segmento Private della banca, che si è voluto concentrare in una preesistente S.P.A. separata, denominata Intesa Sanpaolo Private Banking.

In generale questo segmento della clientela non è facile da gestire: si tratta della fascia con il più alto potere contrattuale, spesso multibanca, con esigenze sofisticate ed aspettative di prodotti, servizi e risultati superiori rispetto agli altri. Sono clienti molto redditizi, ma necessitano di una consulenza costante, ravvicinata, personalizzata e avveduta. I colleghi che li seguono possiedono elevata esperienza, hanno seguito numerosi corsi di formazione a livello specialistico, hanno stabilito relazioni commerciali e personali di spessore, pur dovendosi spesso servire di prodotti di dubbia qualità.

   Oltre a tutte le difficoltà riconducibili a variabili di mercato e scelte commerciali scellerate, che abbiamo già descritto, i colleghi del Private Banking  si sono trovati di fronte anche alle conseguenze introdotte dalla normativa Mifid sul prodotto per eccellenza da essi utilizzato: la Gestione Patrimoniale. La Mifid come è noto impedisce alle società di gestione di applicare le doppie commissioni sulle gestioni patrimoniali in fondi e quindi ne riduce la redditività e ne aumenta la trasparenza. Dovendo semplificare la struttura commissionale, le banche l'hanno in genere… aumentata, rendendo questo strumento di più difficile "digestione" da parte della clientela, in una fase in cui lo storno dei mercati azionari ne esalta rischi e costi.

   L'incertezza normativa nell'applicazione della Mifid, entrata in vigore il 1° novembre scorso,  ha portato inoltre ad una paralisi di oltre due mesi, perché le nuove Gestioni sono state varate solo il 1° gennaio. Dopo è cominciato un pesante arretramento dei mercati azionari, con un avvitamento della grave crisi finanziaria ancora in corso. Questa fase già così difficile è stata ulteriormente complicata dalle modalità surreali con cui è partito l'accorpamento del segmento private nella nuova struttura. Ai colleghi ex-Sanpaolo è stata chiesta la disponibilità a passare ad Intesa Sanpaolo Private Banking, senza garanzie o certezze sul tipo di contratto di lavoro che in futuro verrà adottato, sull'evoluzione che potrebbe subire e sulle prospettive cui si troveranno di fronte. Si parla di salario variabile molto più esteso rispetto all'attuale, si parla di patentino da promotore finanziario da procurare ad ogni consulente, si ventilano flessibilità e criteri di gestione del personale molto diversi da ora. In ogni caso, solo ipotesi e voci non confermate. Come se tutto questo non bastasse, in alcuni ambiti territoriali si è anche scatenata una guerra sotterranea tra la struttura private e la Banca dei Territori, per accaparrarsi i clienti più redditizi, quelli meno a "rischio", quelli più fedeli e così via. La "rissa" sui clienti ha finito per investire anche i colleghi che li gestivano, con le conseguenze imbarazzanti che ognuno può immaginare, a partire dalla necessità di ridislocare fisicamente in locali diversi dal  private i colleghi che non ne facevano più parte.

   Privi di un quadro di riferimento certo, molti colleghi hanno scelto al buio di passare alla nuova struttura, più che altro per non buttare via il percorso formativo, il bagaglio professionale e le esperienze accumulate, ivi comprese le relazioni di fiducia con una clientela così difficile da conquistare e consolidare. Questi colleghi hanno cambiato direzione gerarchica, ma il più delle volte sono rimasti completamente isolati nelle filiali, senza indicazioni e senza assistenza. Solo a fine febbraio è stato messo in cantiere una riorganizzazione dei punti private che inizia a sanare una situazione insostenibile. Altri colleghi hanno scelto di rientrare nel ruolo dei consulenti personal, spaventati dalle incognite e dalle incertezze che circondano il passaggio ad una diversa S.P.A., in un quadro così confuso. Altri ancora hanno deciso di tagliarsi i ponti alle spalle, si sono dimessi e sono passati alla concorrenza (in certi casi, se ne sono andate intere filiali private).

   Qualcuno dirà: è il mercato, bellezza! Il fenomeno delle dimissioni non è nuovo e nessuno può negare come la fusione abbia accelerato decisioni personali che in un altro contesto non sarebbero mai maturate. Il forte disagio che ha investito tutto il personale dell'azienda, a partire dagli ex-colleghi Comit triturati da Intesa dopo il 2002, per arrivare al personale Sanpaolo, passando attraverso le migliaia di colleghi ceduti come mobilio insieme alle loro filiali, è particolarmente accentuato per tutti coloro che svolgono vendita e consulenza, da anni martellati da campagne forsennate ed oggi investiti da volumi di budget privi di corrispondenza con la realtà, ma correlati al desiderio dei nuovi padroni di presentare bilanci trimestrali in linea con i piani industriali insensati varati al momento della fusione.

   L'insofferenza per la condizione lavorativa ed il disagio professionale è fortissimo, ha superato ormai i recinti degli addetti ai lavori ed è finito sui giornali, sotto forma di denuncia, di inchiesta, di ricerca scientifica. Non riguarda solo i consulenti private, naturalmente, né solo il personale di banca addetto alla vendita di strumenti finanziari, investimenti o derivati che siano. E' un nodo complesso che include le politiche commerciali, il contenuto del nostro lavoro, le normative sempre più stringenti che lo disciplinano e l'etica professionale per chi opera nella sfera del risparmio. Ma tocca anche politiche contrattuali, sistemi incentivanti, ruolo del sindacato e modelli di sviluppo sostenibili sul piano etico e sociale. I sindacati che nel 2004 hanno firmato un protocollo in tal senso, non hanno fatto nulla per impedire che restasse lettera morta. Solo una forte iniziativa da parte dei lavoratori può imporre questi temi nell'agenda sindacale. Noi non faremo mancare il nostro contributo.

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