CGIL, CISL e UIL hanno trovato una posizione unitaria che contempla la riforma del modello contrattuale e per la quale hanno già avviato una serie di incontri con Confindustria:  ritengono superato l'accordo del luglio '93, con il quale fu avviata la concertazione (da noi osteggiata da sempre), per arrivare ad una riforma in cui il contratto nazionale di lavoro non potrà più prevedere un aumento salariale reale.

Il contratto nazionale dovrà adeguare le retribuzioni all'aumento del costo della vita, lo strumento di riferimento è "l'inflazione realisticamente prevedibile", una variante dell'inflazione programmata che tanto ha concorso ad abbattere il potere d'acquisto delle retribuzioni (è questo un altro modo per chiamare l'inflazione programmata, cioè per vincolare l'aumento dei salari ai tetti dell'inflazione e per impedire che essi possano recuperare davvero il potere d'acquisto). Il solo strumento individuato, per un pur misero e parziale recupero della perdita del potere di acquisto, è lasciato all'eventuale riduzione delle imposte.

Questo significa che la risposta che i sindacati confederali si apprestano a farci digerire, a fronte dell'emergenza salariale, consiste nella neutralizzazione del solo strumento, peraltro per certi versi spuntato, di cui dispongono i lavoratori: la rivendicazione salariale in sede di rinnovo dei contratti nazionali.

Si apre così una nuova era, è intenzione dichiarata di attribuire alla contrattazione decentrata (contratti integrativi aziendali) "spazi di manovra salariale e normativa … in termini flessibili rispetto alle diverse specificità settoriali", alludendo a quelle deroghe aziendali al contratto nazionale tanto agognate da Confindustria, ma non solo.

Si propone pertanto la contrattazione aziendale, territoriale, regionale, legando ancor di più i salari alla produttività, all'efficienza, all'andamento delle aziende. Inoltre, il secondo livello di contrattazione potrà intervenire sulle normative e sugli orari, anche incrementando le flessibilità definite nei contratti nazionali. In questo modo non si dà affatto più spazio alla contrattazione in azienda, ma si vincola ancor di più il salario ai risultati aziendali (che non dipendono solo dalla prestazione dei lavoratori), subendo così l'offensiva delle organizzazioni datoriali, che pretendono di dare soldi in modo discrezionale.

Gli aumenti saranno così legati a variabili non controllabili dai lavoratori (ad es. errori del management)  ed ai rapporti di forza sindacale. Cosa significhi questo dovremmo averlo ben chiaro: in questi giorni i colleghi ceduti delle filiali Banca Intesa San Paolo stanno chiedendo alla Banca il riconoscimento dei diritti retributivi, previdenziali ed assistenziali acquisiti presso l'azienda di provenienza e che in Carige non sono riconosciuti o lo sono in minor misura. Eppure non lavoriamo tutti allo stesso modo e nello stesso settore?

La possibilità di aumenti retributivi che non siano formalmente collegati alla performance d'impresa non è neppure contemplata. L'accordo così come è stato pensato e scritto dai sindacati confederali  subordina gli interessi e i diritti dei lavoratori a quello delle aziende, rendendo sempre più difficile l'organizzazione di lotte, dove il conflitto è sostituito con la nuova idilliaca dimensione collaborativa.

La scelta di ridimensionare il CCNL per creare più spazio allo scambio salario-produttività in azienda e nel territorio, è profondamente sbagliata. Così non si aumentano i salari mentre c'è il rischio di peggiorare ancora le condizioni di lavoro. Se si vogliono davvero aumentare i salari bisogna scegliere una strada completamente diversa e cioè permettere che il contratto nazionale possa aumentare i salari più dell'inflazione "ufficiale", i cui dati, palesemente, non sono realistici. Si deve chiedere molto di più di quello che si è chiesto in questi anni, mantenendo per il contratto nazionale un ruolo di garanzia per tutta la categoria; definire forme automatiche di rivalutazione degli stipendi; liberare il salario aziendale dai vincoli della redditività, della produttività, che sono un incentivo a peggiorare le condizioni di lavoro.

Una riforma di questa portata dovrebbe avere un mandato da parte dei lavoratori; invece le segreterie delle confederazioni hanno elaborato un documento, talmente vincolante, che CISL e UIL ne hanno già riscosso l'approvazione dei propri organismi dirigenti e che con i vertici confindustriali è già in corso un confronto.

Dopo la truffa della consultazione sulla riforma del Welfare, Cgil,Cisl, Uil si apprestano a mettere mano alla riforma del sistema contrattuale, che riguarda l'azione fondamentale del sindacato e i diritti e le condizioni fondamentali delle lavoratrici e dei lavoratori.

Non lasciarti scippare in silenzio. Reagisci e organizzati con la Cub.

Proponiamo ai lavoratori un "modello" di sindacato assai diverso da quello (verticistico, burocratico, lontanissimo dalla realtà di lavoro quotidiana) che si sono abituati a conoscere in questi anni.

La Cub-Sallca ha deciso di non tacere ed è in prima fila a lottare per i diritti dei lavoratori.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni – Gruppo Carige

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