Riesce difficile capire gli ultimi sviluppi della vicenda sul fondo esuberi di Intesa Sanpaolo (troppe richieste, circa 2.000 lavoratori dovranno rinunciare all'uscita anticipata) se non si ripercorre l'ultimo anno e mezzo di storia aziendale.

Dopo l'annuncio della fusione tra Intesa e Sanpaolo, a dicembre 2006, veniva siglato il primo accordo sull'uso del fondo esuberi. La motivazione era davvero singolare: "prevenire per quanto possibile almeno parte delle probabili tensioni occupazionali" derivanti dalla fusione.

Siamo abituati agli accordi indecenti, ma un'attivazione preventiva di un fondo esuberi non si era mai vista (anche se poi ha fatto scuola anche per Unicredito-Capitalia). Tutto questo, senza che fossero state integrate le strutture (ciò dovrà avvenire nell'estate 2008, cioè quasi due anni dopo) e senza aver ancora visto un piano industriale, arrivato poi ad aprile 2007, che quantificava in 6.500 le eccedenze di personale, una cifra casualmente identica a quella della platea dei possibili esodandi.

Insomma, l'azienda pianificava a priori utili (?), costi ed uscite di personale, senza tenere in conto le esigenze operative della banca e senza verificare a posteriori il reale impatto della fusione sugli organici.

A dimostrazione della rigida volontà dell'azienda di far rispettare i propri desideri, a giugno 2007, a fronte di un'adesione al fondo esuberi non in linea con i numeri previsti, arrivava la minaccia di un uso del fondo su base obbligatoria e senza incentivi.

La risposta dei sindacati concertativi era un nuovo accordo sul fondo esuberi (agosto 2007) che allungava il periodo per l'accesso al fondo e allargava la platea dei possibili fruitori.

Dopo questo, abbiamo dovuto assistere anche alla commedia degli scioperi locali d'autunno (Torino e Genova) per…….carenze di organico.

Adesso siamo all'ultima (per ora?) puntata della serie, con l'azienda che, verificato un numero eccessivo di adesioni al fondo rispetto a quanto previsto (ed a quanto stanziato in bilancio per questa voce), annuncia che aveva scherzato: circa 2.000 lavoratori, oltre il numero richiesto (quelli più lontani dalla soglia per accedere alla pensione), che già sognavano la fuga da questa simpatica banca, dovranno continuare a lavorare.

L'unica certezza che ci fornisce questa azienda è la sua totale indifferenza verso i propri dipendenti, trattati come meri fattori contabili: lo si è visto con le filiali cedute, lo sta verificando nuovamente chi è stato illuso di potersene andare e oggi scopre che non è vero.

I sindacati concertativi ci accusano spesso di voler tenere una posizione comoda, non volendo trattare e firmare gli accordi. Ribadiamo, una volta per tutte, che questo è falso, perché noi abbiamo più volte chiesto di partecipare alle trattative, ma l'azienda si guarda bene dal convocarci, ben sapendo che non troverebbe un atteggiamento altrettanto accondiscendente e la disponibilità a firmare accordi a qualsiasi costo.

Il pasticcio del fondo esuberi è il risultato di una condotta sindacale costantemente prona verso i desideri dell'azienda ed è solo l'ultima "perla" di una situazione complessiva sempre più degradata.

Ad onta delle rassicurazioni dei sindacati concertativi (va tutto bene, non vi preoccupate, è tutto sotto controllo) le cose non vanno per niente bene.

I lavoratori ex-Sanpaolo stanno provando l'amara medicina già provata dai colleghi ex-Intesa: caos organizzativo, carenze di personale, buste paga sbagliate, mancanza di modulistica, posta che non arriva o arriva nel posto sbagliato, trasferimenti forzosi per molti lavoratori di sede e chi più ne ha, più ne metta.

Chi può scappa: chi ha l'età per farlo con il fondo esuberi, chi ha mercato ricollocandosi in altre aziende. Continua inesorabile l'emorragia di consulenti verso la concorrenza. La barca va verso la deriva e chi non può fuggire si richiude in una passiva rassegnazione.

Noi riteniamo che si debba reagire a questo stato di cose, evitando le soluzioni individuali, ma lottando uniti per migliorare le condizioni di lavoro, sempre più intollerabili.

Non riteniamo di dover assistere in silenzio a politiche aziendali dissennate, come la recente gestione del Private, il disastroso accentramento dei back office, l'incertezza sul destino dei Punti Domus, ecc.: non vogliamo certo cogestire l'azienda, ma non vorremmo che, tra qualche tempo, finiti gli extraprofitti per la vendita delle filiali e di qualche immobile, ci venissero a chiedere sacrifici perché la banca è in crisi…..

Anziché rassicurare i lavoratori, preferiamo "agitarli": i colleghi devono sapere che si esce da questa situazione solo costruendo l'alternativa a questi sindacati e lottando per i propri diritti. Oppure, si accetta l'esistente.

P.S. Molti lavoratori ci chiedono: cosa succederà adesso ai 2.000 esodanti "congelati"? Siccome non trattiamo (non per nostra scelta, come già spiegato) e non frequentiamo neppure i salotti dei vertici aziendali, non abbiamo notizie "riservate". In una situazione che offre sempre nuovi colpi di scena, l'ultima che abbiamo sentito prevede l'uscita dei 2.000 in cambio di un accordo che faccia uscire obbligatoriamente i 400 lavoratori con i requisiti per il collocamento in pensione.

Cogliamo l'occasione per ribadire che ogni "patto scellerato" che venisse firmato troverebbe la nostra dura opposizione.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.

Intesa Sanpaolo

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