Di recente sono state riviste, tramite Decreto Legge, le regole sulle partecipazioni detenute dalle banche nelle imprese industriali e finanziarie che hanno comportato l'individuazione di nuove due soglie, ovvero il 15% del patrimonio di vigilanza della banca o gruppo bancario partecipante (che definisce il limite di concentrazione per una singola partecipazione qualificata) ed il 60% del patrimonio (sempre della banca o del gruppo che possiede la partecipazione), che invece rappresenta il tetto complessivo per la somma delle partecipazioni. Inoltre viene molto semplificato il sistema dei controlli amministrativi per le acquisizioni di partecipazioni bancarie o assicurative.

Prima della modifica legislativa la possibilità per un'azienda di credito di partecipare al capitale di imprese era soggetta a tre tipi di limite (uno per la concentrazione pari, per le banche ordinarie, al 3% del patrimonio di vigilanza, uno complessivo che varia in funzione della tipologia della banca e che può essere pari al 15%, 50% o 60% ed infine il limite di separatezza banca-industria a "valle", che è pari al 15% del capitale della partecipata).

La simbiosi tra capitale bancario e capitale industriale non è un fenomeno nuovo.
La novità odierna è data dalla mondializzazione dell'economia e della società per cui l'internazionalizzazione della circolazione delle merci è stata integrata dalla internazionalizzazione della produzione di merci, l'esportazione di capitali si è trasformata in esportazione del capitale.
E qui veniamo al punto, questo processo è stato condotto da soggetti che intrecciano funzioni finanziarie e imprenditoriali e operano con strutture multinazionali.
E' uno dei motivi, ma non il solo, per il quale la classe imprenditoriale italiana, ormai in coincidenza-sovrapposizione con quella politica (sarà forse un caso che l'84% dei parlamentari è costituito da imprenditori, liberi professionisti e dirigenti/ funzionari di partito?), spinge per concentrare i controlli incrociati tra imprese e banche in mano a quei pochi padroni che già oggi tirano le fila del sistema economico-finanziario-politico in Italia.

Nonostante gli stipendi italiani siano in fondo alla classifica tra quelli dei paesi occidentali, agli imprenditori non basta ed ora, per cercare di rimanere competitivi a livello nazionale ed internazionale, ed in previsione di un'imminente crisi economica mondiale senza precedenti, hanno bisogno di un alleato "economico-finanziario" come il sistema bancario italiano (insomma per dirla in altre parole si stanno preparando per salvare il salvabile, il c..o). 

Esistono dei precedenti in tal senso? Ricordiamo che la struttura del sistema finanziario sindoniano era basata su tre elementi:
a) un gruppo di aziende industriali operanti in vari settori e usate come merce di scambio;
b) una costellazione di società finanziarie, la maggior parte delle quali ubicate nei vari "paradisi fiscali";
c) le banche, che costituivano il perno della struttura operativa (Commissione Sindona, relazione maggioranza, Azzaro, 1982: 12).

Le banche erano: le due milanesi Banca Privata Finanziaria e Banca Unione, il Banco di Messina, la Banca Generale di Credito, la Franklin National Bank americana. Un complicato sistema di collegamenti permetteva al gruppo di operare su scala planetaria. Erano collegate con le banche milanesi: Finabank, Finterbank, Ior (Istituto opere religiose, la banca del Vaticano), Amincor, Privat Kredit Bank, Bankhaus Wolff, New Bank e altre.

Non è pertanto difficile prevedere quali saranno le conseguenze, ad esempio, di un innalzamento delle soglie di concentrazione e di quelle complessive rispettivamente al 15% e del 60% del patrimonio di vigilanza, di cui si sta parlando in questi giorni:

  • il cronicizzarsi e aggravarsi del conflitto di interessi banca-impresa (che rende sempre più instabile il sistema banche, quello finanziario e assoggetta a maggiori rischi i clienti) che, tra le altre cose, favorisce il formarsi di canali di comunicazione tra capitali di provenienza illecita e lecita (l'accumulazione illegale del capitale, che si è sempre più espansa e intensificata a livello internazionale, non troverebbe possibilità di sbocco senza l'esistenza di questi canali di compenetrazione e identificazione tra illecito e lecito)
  • il combinarsi di interessi economici con interessi politico-militari che in molte situazioni (l'esempio più noto ed eclatante è dato dall'America Latina) si configura come un rapporto strettissimo inteso alla pianificazione ed attuazione di strategie reazionario-conservatrici, con forti connotati fascisti e colonialistici
  • innovazione finanziaria e sempre maggiore articolazione delle strutture finanziarie. Concorrono con le banche una serie di strumenti e di intermediari creditizi (società finanziarie, in particolare le holdings, società fiduciarie, titoli atipici etc.) che complicano il quadro rendendolo difficilmente governabile
  • il dirottamento di ingenti investimenti "fissi" nel rischio di impresa esporrà le banche (al di là dei sbandierati e "magnifici e più elaborati meccanismi di controllo" della stabilità bancaria) alla "volatilità d'impresa" e di conseguenza a sempre più probabili forti perdite finanziarie
  • l'utilizzo sempre più frequente delle banche, in sostituzione dell'intervento pubblico, per il salvataggio di imprese in stato di grave crisi (un esempio su tutti, già verificatosi, è il caso Parmalat), che evoca la nota frase "privatizzare le rendite e socializzare le perdite"
  • opacità o scarsa trasparenza. Il segreto bancario, nonostante alcune eccezioni, continua ad essere la regola fondamentale, e la tendenza attuale verso la liberalizzazione dei servizi e una configurazione sempre più imprenditoriale e sempre meno pubblica dell'attività finanziaria non può che accentuare questo carattere di opacità
  • un'ulteriore accelerazione della mentalità imprenditoriale nel mondo banche con le note conseguenze: abbattimento del costo del lavoro, aumento della flessibilità (vista in funzione solo della precarizzazione del lavoro e dei lavoratori), politica legata all'erogazione di corposi dividendi

Tutto ciò non dimentichiamo in quale contesto si sta sviluppando: la destra al potere, una sinistra inesistente e quando si fa vedere replica la destra, i sindacati concertativi che fanno a gara per firmare accordi i cui principi ispiratori continuano ad essere la produttività, la competitività, la redditività e l'efficientismo.
Dove è andata a finire la difesa e l'ottenimento di nuovi diritti, il mantenimento del potere d'acquisto degli stipendi e la partecipazione, "di diritto" (e non lasciata alla benevolenza del padrone), dei lavoratori, alla spartizione dei frutti derivanti dall'aumento della produttività?

E noi lavoratori? Abbiamo l'illusione che il legame sempre più forte tra banche ed imprese preserverà il nostro contratto nazionale o, cosa più probabile, non verrà forse messa in discussione  addirittura l'esistenza stessa del bancario?
Non possiamo continuare a cullarci nell'idea "tanto io me la cavo". In questa società, completamente mercificata, siamo tutti coinvolti e soggetti interessati, solo allargando la base e sostenendo i sindacati di base alternativi sarà possibile costruire una vera e valida opposizione, promotrice dei diritti fondamentali e portatrice di quei valori su cui deve essere fondata una società solidale e realmente libera.

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