Intesa Sanpaolo. Dopo tre anni dall'avvio della fusione, il Credit Agricole non ha ancora ottemperato all'impegno preso con l'Antitrust di scendere dal 6 al 2% nell'azionariato. Acquisire i 600 sportelli di Cariparma e Friuladria non gli è bastato e per evitare di svalutare la sua partecipazione, la banca francese ha persino fatto un patto di sindacato con Generali, considerato illegittimo dall'Antitrust, Per sciogliere la questione, Intesa Sanpaolo si è impegnata a vendere entro il 30 giugno altri 150-200 sportelli ai francesi, o meglio alla loro partecipata Cariparma. Sembra probabile la cessione della Cassa di Risparmio di La Spezia (76 filiali tra Liguria, Emilia, Toscana) più un altro centinaio di sportelli da individuare (Milano, Roma, Banca dell'Adriatico).

   Un altro giro di giostra che sconvolgerà la vita a migliaia di lavoratori del credito, colpevoli soltanto di lavorare in uno sportello messo nel mirino da venditori e acquirenti.

La cessione avverrà ad un prezzo medio per sportello di circa 4/5 milioni di euro, molto meno di quanto si ottenne tre anni fa, quando alcuni sportelli passarono di mano a 10/12 milioni di euro ciascuno. L'unico rammarico per i banchieri sarà presumibilmente di avere venduto al momento sbagliato…In questi tre anni almeno 8.000 persone sono andate via, tra esodi e dimissioni, ed altre 4.000 almeno sono già state cedute, insieme ai loro sportelli.

   Monte dei Paschi di Siena. Alla fine del 2007 ebbe la bella pensata di comprare la Banca Antonveneta dal Santander, pagandola l'astronomica cifra di 9 miliardi di euro. Adesso la partecipazione vale circa 1 miliardo e la banca ha dovuto fare un costoso aumento di capitale per ripristinare adeguati ratio patrimoniali. Inoltre ha faticato tantissimo a trovare qualche banca che gli comprasse gli sportelli in eccesso rispetto alla concentrazione territoriale: anche qui l'Antitrust chiedeva la vendita di 150 sportelli e a mala pena ne sono stati venduti 77 (50 a Intesa, 22 a Carige, 15 a Banca Popolare di Puglia e Basilicata), per cifre molto inferiori alle attese. La cessione sarà perfezionata entro giugno e la trattativa con le organizzazioni sindacali tarda a decollare. I lavoratori attendono con comprensibile diffidenza quello che li aspetta.

   Unicredit. Investito più di ogni altra banca italiana dalla crisi finanziaria, per la sua esposizione nell'Est Europeo e per il modello aggressivo adottato, la banca di Profumo ha dovuto chiedere due aumenti di capitale consecutivi, con grande sofferenza delle Fondazioni azioniste.  La sovrapposizione conseguente alla fusione con Capitalia l'ha portata a varare un drastico piano di razionalizzazione, che si è tradotto nella vendita di 184 agenzie (soprattutto in Sicilia e nel Lazio) e nella chiusura di altri 400 sportelli ritenuti non profittevoli, anche per la vicinanza ad altre filiali proprie. Il modello divisionale sta per essere sostituito da una nuova organizzazione funzionale che recupera il concetto di banca dei territori e cerca di correggere le storture che hanno messo in crisi la stabilità e la tenuta della struttura patrimoniale. Intanto oltre 8.000 lavoratori si sono precipitati nel fondo esuberi pur di uscire dalla snervante realtà produttiva aziendale

   Abbiamo parlato solo delle tre banche maggiori, che insieme hanno il 50% del mercato. Problemi analoghi non mancano neanche negli istituti minori: Ubi Banca, Banco Popolare, Pop. Milano, tutte le banche che derivano da fusioni di aziende  preesistenti lamentano problemi di redditività, di doppioni, di tagli dei costi e procedono alla soppressione di posti di lavoro. Sono oltre 20.000 i bancari nel fondo esodi.

   La situazione che si è creata è paradossale, ma era prevedibile. Essa è il frutto maturo di un processo che rasenta l'assurdo. Le banche erano pubbliche e si è voluto privatizzarle per renderle competitive, concorrenziali, contendibili. Poi si è temuto che venissero scalate da banche estere e si sono incentivate le fusioni, per renderle "bocconi più indigesti" e quindi difendibili.

   La conseguenza è che il mercato si è ristretto, anziché ampliato, e il carattere oligopolistico del sistema ha spinto l'Antitrust ad intervenire, imponendo una riduzione delle quote di mercato nelle province ad eccessiva concentrazione.

   Le banche hanno così cominciato a scambiarsi sportelli tra di loro, come se spartirsi in tre il 50% del mercato nazionale fosse meno grave di avere il 25,001% in una singola provincia in capo ad una sola azienda…

   La situazione di prezzi e tariffe, il livello della consulenza, la difesa del risparmio, la trasparenza delle procedure commerciali, il rispetto dei partner e la qualità del rapporto tra Banche e clienti non ha cessato di peggiorare, in tutti questi anni, nonostante le lenzuolate di Bersani, le imposizioni antitrust, la normativa Mifid e il protocollo Patti Chiari.

  

  Il discorso potrebbe estendersi all'intera società: le 10 autorità che regolamentano i mercati, presenti in Italia, hanno fornito lauti stipendi ai membri che le presiedono, ma non hanno dato nessuna mano ad abbassare le bollette di luce e gas, i canoni dei servizi bancari, i premi delle polizze assicurative, i prezzi della benzina o del gasolio. I provvedimenti non hanno mai osato mettere in discussione il "giusto profitto" che l'attività imprenditoriale persegue, né l'entità dei premi che i manager possono farsi approvare dai propri consigli d'amministrazione.

   Una recente misura tesa a limitare almeno  gli stipendi dei dirigenti pubblici è clamorosamente naufragata, sotto il fuoco incrociato dei manager super-pagati e dei difensori prezzolati della libertà di mercato. In compenso le normative varate per liberalizzare i settori economici "protetti" sono state usate per attaccare i lavoratori e mettere in discussione i loro diritti, indebolirli sul piano contrattuale ed erodere la loro forza negoziale.

  

   I lavoratori delle banche rientrano a pieno titolo in questo discorso: nessuno mette in discussione il diritto degli azionisti ad incassare dividendi generosi e quello dei manager a pretendere premi scandalosi, legati ai risultati di breve, o addirittura in parte fissa.

Tutti però attaccano il costo del lavoro nel settore, comparandolo solo con i paesi europei (dell'est e dell'ovest) dove i bancari costano di meno: un gioco con carte truccate. Sono già partite le manovre per il prossimo CCNL in scadenza a fine anno e si scaldano i motori per fare andare indietro il livello dei trattamenti complessivi riservati ai dipendenti.

   Intanto continuiamo a vedere migliaia di lavoratori costretti a cambiare azienda, casacca, contesto lavorativo, perché la loro azienda ha deciso di venderli come complementi d'arredo delle loro filiali. Se provassimo a fermare l'ingranaggio, sarebbe già un  bel modo per fargli passare la voglia: almeno faremmo scendere il valore di mercato degli sportelli da cedere….

   La voce dei lavoratori deve tornare a farsi sentire con forza e determinazione: il primo passo è prendere coscienza che questi processi non sono ineluttabili e possono essere contrastati in modo concreto con la mobilitazione e la lotta. Al di là di quello che la legge oggi consente, dobbiamo battere le banche sul terreno rivendicativo e contrattuale. Non ci stiamo più ad essere trattati come figurine da scambiare: siamo persone e non doppioni da cestinare. Passa dalla tua parte, passa alla Cub.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Credito e Assicurazioni

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