INTESA SANPAOLO – 31 MARZO 2011: VAP O FONDO PENSIONI? (per una scelta consapevole)
"Con il nostro comportamento votiamo decine di volte tutti i giorni: se non riflettiamo su quanto pesano le nostre scelte, perdiamo il diritto di lamentarci dell'antidemocraticità dell'economia e della disequità del sistema."
Abbiamo riportato questo concetto più volte e con presunzione etica lo riprendiamo nuovamente in occasione della possibile scelta di riversare parte del VAP al Fondo Pensioni in cambio di un aumento della quota lorda di circa il 9%.
Un volantino molto partigiano redatto dalla UILCA (ma ce ne sono anche di altri sindacati firmatari dell'accordo) raffronta, al netto della tassazione, gli importi spettanti con e senza opzione di parziale riversamento, valutando la convenienza o meno della scelta, sia sulla base del reddito annuo del dipendente (+ o – di 40 mila € lordi), che sulla previsione del superamento del conferimento al Fondo Pensioni, sempre su base annua, di quote individuali e aziendali per un totale superiore a 5.164 € .
Osserviamo, tra parentesi, come siamo in presenza di un nuovo salto di qualità nel "modello" di sindacato: da ente erogatore di servizi (polizze, attività ludico ricreative, sconti, premi e gadget vari) ad esperto fiscalista. In effetti la materia è davvero complessa e da questo mirabile lavoro esce una miriade di variabili e tabelle per chi sceglie l'opzione "più 9%". Il documento è senz'altro utile se non ci si lascia fuorviare da calcoli che raddoppiano il beneficio della scelta calcolandolo, anziché sul premio intero, sulla sola metà opzionata nel fondo pensioni.
Spiace essere pedanti di fronte ad un lavoro così ambizioso (il rischio è di passare per saccenti), ma l'esaltazione dei vantaggi economici e dei risparmi fiscali e contributivi consentiti dall'opzione, oltre a non tener conto di inflazione e variabili finanziarie, ci impone di puntualizzare un paio di ulteriori aspetti al fine di poter fare una scelta consapevole.
Primo punto – Iscritti al Fondo Pensione prima del 28/04/1993
In caso di ritiro totale del capitale, gli iscritti al Fondo Pensione prima del 28/04/1993 potranno scegliere tra diverse opzioni. Non necessariamente sarà applicata la tassazione forfettaria dal 9 al 15% sulle somme conferite: in alcuni casi potrebbe scattare la tassazione separata alla "aliquota interna IRPEF", che sarà applicata sia alle somme conferite, che alle rendite già tassate forfettariamente all'11% al termine di ciascun anno di maturazione. Considerando che l' "aliquota interna" potrà quantificarsi, alle vigenti leggi, in un 30% circa, l'imposizione fiscale sarà molto simile, se non maggiore, alla aliquota IRPEF applicata oggi sullo stipendio.
Secondo punto – Risparmio fiscale dell'azienda ed etica fiscale
A discapito dell'apparente generosità aziendale, che riconosce una maggiorazione del premio di circa il 9% in caso di opzione, non viene evidenziato il forte risparmio fiscale per l'impresa: il datore di lavoro può infatti portare in totale deduzione dal proprio reddito di impresa le contribuzioni a fondi di previdenza sociale complementare (art. 105 Tuir 22.12.1986, n. 917, aggiornato al 27 maggio 2005).
Ipotizzando che la banca sia soggetta ad una tassazione media del 44% (Workshop ABI per la presentazione del Rapporto annuale dell'Osservatorio d'analisi economica e fiscale del 25 maggio 2010), ogni 100 euro di VAP conferiti dal lavoratore al Fondo Pensioni si convertiranno in un risparmio fiscale per l'azienda pari a 44 euro: di questi, bontà loro, 18 euro saranno riconosciuti al dipendente.
Rafforzando l'esempio, un VAP medio, quello di una figura professionale 3A3L pari a 1.727 €, subirà in caso di opzione un aumento lordo di 153 euro e la banca usufruirà di un minor esborso fiscale di 413 euro.
Se la legge lo consente, affermerà qualcuno, ben venga il reciproco guadagno, specialmente se a scapito del fisco.
Non siamo d'accordo. Non siamo d'accordo in via generale a condividere lo sfruttamento massiccio di possibilità di risparmio fiscale, sebbene legali (e non lo è, per la verità, neppure la Corte di Cassazione, che con sentenza 12249 del 19 maggio 2010 ha affermato il possibile disconoscimento di "fattispecie in sé del tutto lecite che però se utilizzate per un fine diverso da quello per il quale sono state previste, contengono una valenza elusiva, dando così luogo ad un abuso del diritto").
Il fisco, ancorché la maggioranza dei cittadini italiani lo percepisca come un pesante e obbligato sacrificio a fronte di una scorretta utilizzazione pubblica delle risorse, resta, o meglio è, il fattore fondamentale di redistribuzione del reddito tra le fasce sociali con maggior potere economico e quelle meno abbienti.
Per far fronte alla diminuzione del potere d'acquisto della classe dipendente sulla quale stanno ricadendo le conseguenze delle speculazioni finanziarie mondiali, sta da tempo passando, da parte degli schieramenti politici di entrambi i lati, il pericoloso teorema secondo il quale le buste paga dei lavoratori possono lievitare solo diminuendo l'imposizione fiscale e non aumentando gli stipendi; il ritornello seduce tutti, sindacati compresi.
Ammaliati dal canto delle sirene, si rischia di plaudire oggi ai 153 € intascati in più, senza domandarsi cosa succederà ai servizi, alla cultura, alla scuola, alla sanità, alle nostre future pensioni, privati dei 413 € NON versati dall'azienda.
Lasciamo al lettore calcolare di quanto potrebbe diminuire l'introito del fisco se la cifra risparmiata dall'azienda si moltiplicasse per tutti i 70.000 dipendenti del gruppo in Italia. Presumendo poi che il modus operandi si possa estendere al resto del settore imprenditoriale nazionale, coinvolgendo oltre 10 milioni di lavoratori dipendenti, la cifra diventa simile ad una piccola finanziaria, superando i 4 miliardi di euro.
Socialmente ed eticamente il fisco è il mezzo attraverso il quale lo stato dovrebbe assicurare alla collettività lo svolgimento di una vita sociale ordinata e capace di ridurre al minimo le sperequazioni e gli squilibri, garantendo il più possibile il principio di eguaglianza tra i cittadini.
In tale contesto il patto sociale prevede che i costi dell'organizzazione comune, della scuola, della cultura, della ricerca, della sanità, della previdenza, dei servizi pubblici, debbano essere ripartiti proporzionalmente al reddito della cittadinanza, fisica e giuridica, con criteri ispirati alla progressività dell'imposta.
L'accettazione di questa regola comune di convivenza salvaguarda la comunità, fornendo le basi per garantire l'ordinato svolgimento della vita comune.
E' indubbio che il prelievo fiscale comporta un sacrificio individuale, ma infrangere il patto sociale, ritenendo accettabile il danno alla comunità, defraudata più o meno legalmente del proprio contributo, può porre in serio pericolo la stessa sopravvivenza della società nel suo insieme.
Per costruire un modello di società più giusta ed avanzata occorre reagire alla caduta dell'etica fiscale, pericolosa anticipazione dell'abbassamento della soglia della legalità.
Credito e Assicurazioni
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