Nella prima settimana d'aprile i sindacati firmatari presenteranno, con nove mesi di ritardo, la piattaforma di rinnovo per il CCNL del credito.

Il rinnovo avviene in una fase di crisi pesante: negli ultimi tre anni gli utili bancari sono scesi del 75% (ma si partiva da livelli stratosferici), sono raddoppiate le sofferenze e sono necessari costosi aumenti di capitale per adeguarsi a Basilea 3. Intanto le aziende hanno concluso i processi di fusione riducendo ancora gli organici con il Fondo Esuberi e siglato con i sindacati collaborativi numerosi accordi in deroga al CCNL, abbassando stipendi e tutele ai neo-assunti (talvolta anche ai colleghi già in servizio).

Tutto questo non solo non è bastato, ma rischia di diventare un modello da seguire, con l'aggiunta di pericolose varianti, anche perché la crisi economica viene usata  strumentalmente dai banchieri per chiedere sacrifici pesanti e strutturali ai lavoratori e continuare a garantirsi così i loro munifici emolumenti.

Da circa sei mesi l'Abi ha messo in discussione il Fondo Esodi, chiedendo una revisione dello strumento che ne abbassi il costo. L'Abi vuole introdurre l'indennità di disoccupazione e rendere obbligatori i contratti di solidarietà, il part-time e la sospensione dal lavoro; inoltre chiede di abbassare l'importo dell'assegno, per recuperare così il maggior carico fiscale.

La commissione tecnica per discutere la riforma ha concluso i suoi lavori a fine febbraio. Non si è arrivati ad alcun accordo, anche se i sindacati hanno dato disponibilità (anche troppe!) ad abbassare il grado di copertura (cioè a tagliare l'assegno). L'Abi però insiste sull'obbligatorietà dell'utilizzo, per poter licenziare con accordi collettivi chi ha i requisiti per accedere alla prestazione.  Su questo l'accordo non c'è, ma le banche hanno urgenza di risolvere la questione, perché occorre predisporre i piani industriali: i mercati non possono aspettare!

Nello stesso tempo Micheli e Mussari hanno scatenato una campagna di stampa tesa a sostenere che i costi del personale in banca sono superiori alla media europea e che occorre un nuovo accordo quadro, come nel 1998, per ridurre in modo strutturale il costo del lavoro. La campagna è accompagnata da vaghe minacce di licenziamenti collettivi e quantificazione di esuberi campate per aria; non mancano inviti contraddittori alla responsabilità delle parti sociali, riconoscimenti ipocriti sull'utilità di relazioni sindacali positive e appelli ai lavoratori per farsi carico del rischio d'impresa.

La reazione dei sindacati è stata finora soltanto verbale e affidata ai comunicati stampa. Nessun coinvolgimento assembleare della categoria è stato considerato necessario.

Mentre la controparte minaccia sfracelli, si è continuato a firmare accordi che riducevano l'occupazione e/o i diritti acquisiti dei lavoratori, motivati soltanto dalla flessione degli utili. Basti pensare all'accordo in deroga in Intesa Sanpaolo per assumere 600 lavoratori (saldo occupazionale 2010: 1.124 addetti in meno); alla riassunzione di parte dei dipendenti Delta (140 lavoratori  su 400 licenziati totali); all'accordo sugli esodi in Unicredit (3000 esodi contro stabilizzazione di 1.100 giovani); all'accordo sul taglio dei dipendenti Abi (36 su 308), con pesanti sacrifici economici anche per chi resta.

L'Abi  ha chiesto, oltre tre mesi fa, la definizione di regole per la contrattazione, per sancire il diritto di ottenere deroghe (in peggio) al contratto nazionale, come prevede l'accordo quadro sulla contrattazione del 22 gennaio 2009 (firmato tra Governo, Cisl, Uil e Ugl, senza la Cgil). La posizione intransigente dell'Abi arriva sino alla minaccia di non riconoscere nemmeno l'aumento retributivo corrispondente all'inflazione, misurata con l'indice IPCA, depurato dei beni importati, che quell'accordo prevede.

Il rischio che corriamo è quindi quello di trovarci in una situazione simile a quella degli assicurativi: una piattaforma lunga e articolata, condivisa dai sindacati in modo unitario, accantonata subito dopo l'inizio della trattativa, per discutere della contro-piattaforma dell'Ania.

Per quanto riguarda l'Abi, sono già chiari gli obiettivi che i banchieri perseguono:

  • un contratto nazionale depotenziato per lasciare ampio spazio alla contrattazione aziendale in deroga;
  • incrementi retributivi legati ad incrementi di produttività esigibili in azienda;
  • applicazione dei contratti complementari già previsti e mai adottati, per le aree dei servizi accessori all'attività creditizia vera e propria;
  • ampie flessibilità in ingresso per i neo-assunti su inquadramenti e tabelle retributive;
  • fondo esodi obbligatorio come principio  e ridimensionato come prestazioni.

La possibilità di resistere a quest'attacco concentrico è affidata alla nostra capacità di reagire, di mettere in campo un ampio spettro di forze sindacali decise a difendere l'unità contrattuale. Bisogna partire da una piattaforma costruita dal basso, centrata su pochi punti essenziali, discussa in modo partecipato e democratico.

Una battaglia decisiva che deve puntare a:

  • consistente recupero salariale rispetto al potere d'acquisto perduto,
  • difesa dell'area contrattuale dai tentativi di destrutturazione;
  • presidio dei diritti dei neo-assunti, già gravemente discriminati;
  • salvaguardia del salario certo e contrattato rispetto al salario variabile e ai premi incentivanti;
  • utilizzo corretto del fondo esuberi, per i casi realmente giustificabili, con mantenimento dell'attuale grado di copertura.

Su questi temi auspichiamo di vedere decollare un rinnovo contrattuale di svolta, capace di rafforzare il potere contrattuale della categoria nella sua interezza.

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