La trattativa ristagna e si dilunga senza costrutto.
L'azienda continua a fornire dati insensati e strumentali.
I sindacati trattanti continuano a chiederne di nuovi per gli incontri successivi.
Al 19 luglio scade la procedura per arrivare ad un accordo.
NON VOGLIAMO IL CONSUETO PACCO REGALO BALNEARE
FIRMATO A FINE LUGLIO: ASSEMBLEE SUBITO!

Vogliamo sapere a che punto è la trattativa ed eventualmente avviare una fase vertenziale se l'azienda continua nel suo atteggiamento:

  • un balletto indegno sulle cifre dei presunti esuberi che diventano variabili secondo le sue esigenze.
  • La persistente nebulosità su cosa intende con le 5.000 "riconversioni".
  • Un taglio indiscriminato agli uffici di sede e del consorzio che non risponde a nessuna logica di reale efficienza organizzativa ma solo a quella di becere riduzioni di costo.
  • Una riduzione dei poli di ISGS che deve essere esplicitata e motivata in dettaglio per capire le eventuali ricadute sui lavoratori.
  • La consueta presa in giro sui fantasiosi efficientamenti derivanti da accentramenti di procedure e maggiore utilizzo degli MTA.
  • Un piano di riduzione/ridimensionamento degli sportelli che si traduce nella solita logica di tagli e peggioramento del servizio.
E' ora di dire basta.

Basta cincischiare con una controparte che sta truccando le carte solo per portare a casa i risultati che gli interessano sulla pelle dei lavoratori: uscite obbligatorie, deroghe al contratto nazionale e peggioramento degli accordi in essere su inquadramenti, trasferimenti, ferie, ecc..
Gli unici veri esuberi di questa azienda sono i grandi manager che continuano ad intascare stipendi ingiustificati per le loro prestazioni come dimostrato anche dalla pessima gestione della vicenda del black out informatico e da quanto riportato sotto.

Chiediamo ai lavoratori di unirsi a noi per chiedere ai sindacati del primo tavolo di indire immediatamente assemblee per non ritrovarci di fronte ad accordi peggiorativi senza aver ottenuto il mandato a firmarli.


QUALE PROGETTO?

Come era a tutti ormai noto, il progetto dell'azienda si rivela per quello che è: un maldestro tentativo di scaricare sui lavoratori le conseguenze dei propri errori gestionali e delle previsioni sbagliate che li hanno generati.
La fusione tra i due gruppi, realizzata senza alcuna motivazione industriale, ma solo sulla base della difesa dell'italianità degli assetti di controllo, ha generato una serie di disastri che qui riassumiamo:

  • i clienti italiani sono scesi da 13 a 11 milioni;
  • il valore di borsa complessivo è calato da 70 a 30 miliardi di euro, includendo l'aumento di capitale;
  • i profitti che da 4,4 miliardi dovevano salire a 7 entro il 2009, sono scesi a meno di 3;
  • i dividendi distribuiti, pari a 10 miliardi di euro, hanno spolpato la banca del suo patrimonio;
  • i crediti incagliati sono decollati da 8 a 21 miliardi;
  • l'occupazione non ha mai cessato di calare: almeno 10.000 addetti sono già andati in esodo e non sono stati rimpiazzati, se non in misura marginale;
  • gli accordi di cessione, la sovrapposizione delle filiali, le imposizioni anti-trust hanno comportato numerosi cessioni di sportelli, lavoratori inclusi, determinando grandi disagi, di vita e di lavoro;
  • la drammatica necessità di fare utili a breve, per soddisfare gli appetiti di fondi e fondazioni azioniste, ha portato alla cessione di molti assets di valore, non ripetibili.

Ora il management ha esaurito il suo repertorio di numeri da circo e si pone il problema di giustificare, davanti agli azionisti, alle autorità e all'opinione pubblica, lo scarto tra gli impegni presi e le realizzazioni effettive: in sostanza il fallimento del proprio operato.
In questi anni ha funzionato come alibi lo schermo della crisi: adesso si pone il problema di costruire una strategia per uscirne e provare a mantenere le promesse. Un nuovo alibi e un facile capro espiatorio si possono facilmente fabbricare: la rigidità del fattore lavoro e l'aumento automatico dei suoi costi, cui segue la indifferibile necessità di riportarlo a livelli più compatibili con i profitti aziendali, recuperando flessibilità nella sua gestione.
Gli impegni presi ufficialmente con il piano industriale vanno in questo senso:

  • 3000 addetti in meno entro il 2013;
  • 5000 addetti da riconvertire a mansioni commerciali;
  • 300 milioni di euro da risparmiare entro il 2014.

Per realizzare questi obiettivi occorre imbrigliare i sindacati compiacenti dentro una trattativa rapida, sotto il ricatto di 10.000 esuberi e la minaccia di aprire la procedura 223/91 per i licenziamenti collettivi. Lo scopo  è costringere i lavoratori ad un peggioramento dei diritti rimasti in piedi dopo gli accordi di armonizzazione, sfondando su mobilità professionale e territoriale, uso delle ferie e delle ex-festività, part-time, demansionamenti, fondo esodi in forma obbligatoria.

Alla base di questa forte cura dimagrante, stanno ipotesi fantasiose sull'evoluzione dell'organizzazione del lavoro nell'immediato futuro e concreti piani di ridimensionamento della rete distributiva:

  • forte calo delle operazioni di cassa e trasferimento delle transazioni su bancomat e ATM;
  • forte aumento dell'approccio multicanale da parte della clientela;
  • saturazione dei portafogli commerciali e automazione delle procedure creditizie;
  • chiusura di 400 filiali e accorpamento delle attività su quelle limitrofe;
  • trasformazione di 600 filiali da operatività piena a operatività esclusivamente commerciale;
  • razionalizzazione dei poli di back office raggruppati in ISGS, con riduzione da 30 a 8 dei poli esistenti, chiusura e/o declassamento a distaccamento degli altri.

Il progetto dell'azienda si pone come obiettivo il raggiungimento dei risultati già falliti con il precedente piano industriale e contiene gli stessi, elevati, rischi di esecuzione, perché lo scenario economico,  mondiale o domestico, non ammette previsioni ottimistiche. Le incertezze sono troppe e pesanti per ritenere credibili le nuove promesse…
Tuttavia a fronte di esiti incerti il management vuole imporre tagli e sacrifici certi ed esigibili, e li vuole imporre ai lavoratori, gli unici incolpevoli, che non solo non hanno tratto alcun vantaggio dalle fusioni bancarie e dagli anni di opulenza che ci stanno alle spalle, ma hanno dovuto sopportarne il peso nella loro interezza.
La richiesta di sacrifici e rinunce è quindi rivolta ai soggetti sbagliati: non sono i lavoratori che devono pagare il conto, ma gli azionisti che hanno goduto dividendi straordinari e i manager che hanno incassato stipendi fissi, premi variabili, stock-option e stock-granting di dimensioni favolistiche.
Non si tratta dunque di tornare a garantire la redditività del capitale investito, in misura paragonabile a quella dei livelli pre-crisi, ma di ridimensionare in modo strutturale le pretese di dividendi da parte degli azionisti, per rafforzare il patrimonio di garanzia che le precedenti e avventate politiche di distribuzione eccessiva hanno minato in modo grave. Né si tratta di continuare a pagare i manager come prima, per trattenere le loro "competenze" e pagarli con livelli retributivi allineati agli standard internazionali: basta guardare ai disastri combinati e alla perdita di capitale procurato dalle loro pratiche gestionali per sgomberare il campo da ogni equivoco in materia…
In conclusione riteniamo che l'azienda debba ritirare la dichiarazione di esuberi e che vadano respinti seccamente i tentativi di:

  • imporre esodi obbligatori che sostituiscano la scelta volontaria;
  • modificare le normative di tutela sulla mobilità territoriale e aziendale
  • contrattare forme di riduzione di orario, dal part-time ai contratti di solidarietà, che comportino riduzioni salariali non volontarie;
  • ridimensionare la rete distributiva, peggiorando il servizio alla clientela e perdendo mercato.

E' importante invece salvaguardare la volontarietà e le esigenze dei lavoratori più anziani e nello stesso tempo stabilizzare ed espandere la buona occupazione dei giovani, perseguendo un allargamento della base produttiva, distributiva e occupazionale del Gruppo.
Il ritorno economico degli investimenti va valutato nel lungo periodo e sarebbe sbagliato ridimensionare la rete per un puro conteggio di taglio dei costi del personale. E' giunta l'ora che anche le banche si assumano le proprie responsabilità di fronte alla drammatica situazione sociale del Paese.
Nessun taglio, nessun sacrificio, nessuna rinuncia può essere giustificata in un momento così critico: l'ingiustizia sociale è già troppo elevata per consentire ulteriori vergogne.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Gruppo Intesa Sanpaolo

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