L'8 luglio è stato firmato l'accordo sul nuovo Fondo Esuberi di categoria e da allora è stato un effluvio di comunicati, con i sindacati del primo a tavolo a cantare vittoria (quando mai perdono?) e Falcri/Silcea, sul secondo tavolo, che evidenziavano le criticità dello stesso ed in particolare la reale volontarietà dell'accesso al Fondo.
Per capire qualcosa è necessario fare un po' di storia.
La nascita del Fondo Esuberi di categoria è strettamente legata al rovinoso rinnovo del CCNL del 1999. Allora (ennesima vittoria) i sindacati firmatari giustificarono l'arretramento contrattuale proprio con la nascita del Fondo che, a loro dire, dava ai lavoratori un fondamentale, e prima inesistente, strumento di difesa dalle crisi occupazionali. Le norme dell'accordo vennero recepite dal punto di vista legislativo con il Decreto n. 158 del 28 aprile 2000.
Il 24 gennaio 2001 Abi e sindacati concertativi firmarono un "Verbale di incontro" dove veniva introdotta la possibilità di usare il Fondo per le banche che, rinunciando al ricorso a licenziamenti collettivi, fossero disponibili ad attivare esodi volontari per i lavoratori che avevano i requisiti per accedere al Fondo.

Proviamo a spiegare in termini comprensibili.
Se una banca dichiarava un certo numero di esuberi, con la procedura obbligatoria poteva mandare a casa un numero corrispondente di lavoratori che erano i più vicini al raggiungimento dei requisiti per andare in pensione.
Con l'introduzione della procedura facoltativa la platea di interessati all'esodo poteva essere ampliata a tutti coloro i quali avevano i requisiti per accedere al Fondo, anche in numero maggiore rispetto agli esuberi dichiarati.
Se l'operazione funzionava nessuno veniva obbligato ad un'uscita anticipata dal posto di lavoro, ma se ne andava solo chi voleva, spesso anche in numero superiore al necessario.
E' questo il verbale di accordo che l'Abi, il 7 aprile, ha dichiarato di voler disdettare e che è stato identificato come "esodo volontario", ma è bene chiarire che, anche in questo accordo, la volontarietà era un'opzione che le banche potevano adottare, ma non un obbligo.
Due anni dopo la firma di questo verbale, per fare un esempio, Intesa BCI dichiarò lo stato di crisi e quasi 6.000 esuberi. L'accordo prevedeva che nel Fondo dovessero entrare coloro che avevano già maturato il diritto alla pensione e poi coloro che, avendone i requisiti, aderivano su base volontaria. Ma se il numero dei volontari fosse stato insufficiente si sarebbe passati all'uscita obbligatoria di chi era più prossimo alla pensione. L'incentivo era ridotto ad una mensilità come "premio tempestività".
Abbiamo voluto fare questa lunga introduzione perché è indispensabile per capire l'attuale accordo, che ha ripristinato la situazione esistente con il verbale del 2001 e che possiamo così definire: ora come allora le aziende hanno la facoltà di attivare il fondo su base volontaria, ma non può essere escluso il passaggio alla fase obbligatoria.
Questo concetto va tenuto ben presente alla luce della vera novità dell'accordo dell'8 luglio rispetto agli esodi e cioè la decurtazione dell'assegno di accompagnamento alla pensione per chi ha il calcolo della stessa con il sistema retributivo.
In passato, in molti casi, le procedure di esodo vedevano adesioni massicce di lavoratori stufi di vivere certe situazioni lavorative e allettati da adeguate incentivazioni da parte della propria azienda. Bisognerà ora vedere se le adesioni saranno così numerose anche con il taglio previsto alle prestazioni (ricordiamo: per coloro che avranno la pensione calcolata integralmente col sistema retributivo 8% di riduzione per chi ha redditi fino a 38.000 Euro e 11% oltre) e la prevedibile assenza di incentivi.
In caso negativo ricadrà sui sindacati concertativi aziendali la scelta di assecondare o meno le richieste delle controparti di uscite obbligatorie e con decurtazione.
Peraltro riteniamo di dover proporre una riflessione: l'attenzione fortissima dei colleghi più anziani alle notizie di prossimi esodi segnala una situazione di grande esasperazione ed insofferenza per le condizioni di lavoro e questo chiama in causa direttamente i sindacati del primo tavolo che, da sempre (vedi anche la premessa alla piattaforma di rinnovo del CCNL), si vantano dei prodigiosi risultati della contrattazione degli ultimi 20 anni ed oggi ne possiamo "apprezzare" le conseguenze.
Aggiungiamo, per completezza, che, viste le continue norme introdotte dal governo e dalla riforma pensionistica, che allungano i tempi delle "finestre" (cioè del momento in cui si percepirà la pensione e non quello della maturazione del solo diritto ad uscire dal lavoro), l'accesso al Fondo sarà possibile a partire dai 60 mesi antecedenti alla data di attivazione effettiva della finestra.
Tutto questo riguarda la parte "straordinaria" del Fondo, cioè quella che accompagna alla pensione, ma l'altra grossa novità riguarda l'introduzione dei contratti di solidarietà, che prevedono riduzioni di orario o sospensioni temporanee dal lavoro, fino ad un massimo del 50% dell'orario.
Questi contratti, applicabili sempre previa apertura della classica procedura sindacale, possono essere "difensivi" e obbligatori (massimo 36 mesi) per ridurre o evitare eventuali esuberi, o "espansivi" e facoltativi (massimo 48 mesi) per favorire nuova occupazione, cioè la riduzione di orario viene usata per far spazio a nuovi assunti.
Concentreremo l'attenzione sui primi, vista l'obbligatorietà.
Cominceremo col dire che nella parte "ordinaria" del vecchio Fondo erano già previste riduzioni d'orario e sospensioni temporanee dal lavoro con una copertura retributiva, per il tempo non lavorato, pari al 60%.
Il nuovo accordo prevede una copertura fino all'80% attraverso il ricorso alle procedure della Legge 236/93 (art. 5 comma 5). La retribuzione relativa al periodo non lavorato viene coperta dal Fondo per l'occupazione (un fondo pubblico) che eroga il 25% della mancata retribuzione al lavoratore ed il 25% all'azienda. Secondo quanto scritto nell'accordo, l'Abi "inviterà le Associate a rinunciare alla quota di contributo pubblico spettante per legge all'azienda devolvendola a favore dei lavoratori interessati". Il Fondo Esuberi interviene con un ulteriore 30%.
Riepilogando: 50% dal Fondo per l'occupazione (25% direttamente al lavoratore e 25% dall'azienda, se accetta l'invito dell'Abi…) + 30% dal Fondo Esuberi, Totale 80% della retribuzione per il periodo non lavorato; inoltre, secondo quanto recita la legge in oggetto, "ai soli fini pensionistici si terrà conto, per il periodo della riduzione, dell'intera retribuzione di riferimento".
Attenzione però: viene anche espressamente detto (e se lo scrivono una seppur remota possibilità ci deve essere) che "in mancanza o al venir meno del contributo" pubblico, si ritornerebbe alla copertura ad esclusivo carico del Fondo del 60%, con l'aggravante che la durata della riduzione può arrivare a 24 mesi o 36 con accordo aziendale, contro i 18 mesi di prima. Inoltre, nel vecchio Fondo, la riduzione era limitata a 6 mesi nel triennio e questo limite è stato cancellato.
Ricordiamo che questa parte, inedita, del Fondo, non è volontaria. Facendo bene i conti, mettendo insieme l'aumento della copertura economica (dal 60 all'80%, Stato permettendo), la riduzione/sospensione dell'orario (per un massimo del 50%), ma anche la nuova durata (da 18 a 36 mesi) e l'assenza dei vecchi limiti (6 mesi), non è detto che la nuova versione sia più conveniente della precedente.
L'aumento della copertura retributiva, quindi, potrebbe essere solo apparente; tuttavia abbiamo la sensazione che le aziende saranno interessate ad usare questo strumento, che, a nostro avviso, rappresenta un interessante episodio di neocorporativismo, con sindacati concertativi ed aziende uniti per spillare soldi allo Stato. E', infatti, evidente che questo strumento assomiglia ad una sorta di cassa integrazione, il cui uso è decisamente pretestuoso in un settore come il nostro.
Quali valutazioni, alla fine, di tutto questo?
L'accordo non è scandaloso, ma certo non è la vittoria (c'è chi ha parlato, senza senso del ridicolo, di "vittoria storica") che ci vogliono vendere i soliti sindacati concertativi e ogni volta si scende più in basso.
Inoltre è un accordo molto complicato, che moltiplica gli strumenti a disposizione delle aziende e lascia aperte troppe incognite (contributo statale: si o no? Esodi? Riduzioni di orario? Sospensioni? Volontarie od obbligatorie? Quali gli impatti sul sistema misto?) demandate in parte alla solita commissione bilaterale (così abbiamo piazzato anche i sindacalisti in esubero…).
Abbiamo l'impressione che il copione sia sempre lo stesso e si ripeta senza sosta da 20 anni: la controparte va all'assalto chiedendo 100 e poi si "accontenta" di portare a casa 30, con i sindacati concertativi che esultano per non aver concesso 70, ma di fatto i lavoratori registrano un costante arretramento delle proprie condizioni rispetto alle precedenti.
La trattativa era partita con l'Abi che voleva introdurre l'indennità di disoccupazione, ridurre la copertura a 4 anni e imporre l'obbligatorietà sempre. Alla fine ottiene uno sconto sulle prestazioni (ricordiamo che le lamentele nascevano dal fatto che varie novità legislative avevano fatto salire il costo del Fondo del 10%, guarda caso…) e la volontarietà dipenderà dagli accordi aziendali.
Ogni volta si dice che "poteva andare peggio", ma di peggio in peggio si continua a scivolare sempre più in basso. Non vorremmo, oltretutto, che questa "non vittoria" finisca per pesare negativamente sul rinnovo del contratto nazionale, diventando merce di scambio per ulteriori peggioramenti, come già avvenne nel '99.
Rileviamo che, ora come allora, i sindacati concertativi hanno chiuso l'accordo, senza nessun mandato, senza consultare nessuno e presentando il tutto come un dato di fatto. Non è una novità, ma non ci rassegniamo ad abituarci e chiediamo ai lavoratori di aiutarci contro questa pessima prassi che potrà, a breve, dare nuovi risultati nefasti.
Il vero banco di prova di questo accordo sarà dato dall'esito delle trattative nei gruppi bancari dove sono state aperte procedure di esuberi.
L'unica prospettiva per non continuare a commentare nuovi accordi a perdere è la costruzione di un'alternativa reale con il sindacalismo di base.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Credito e Assicurazioni

questo post è stato letto6870volte