ART. 18 E RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO
DA SEGRETERIA NAZIONALE CUB-SALLCA
In questi giorni la Cgil ha lanciato un pacchetto di ore di sciopero articolato a livello locale (che peraltro non coinvolge tutte le città: citiamo, come esempi, gli scioperi nella provincia di Torino del 19 aprile per gli assicurativi e del 23 aprile per i bancari; per la provincia di Milano 18 aprile gli assicurativi e 4 maggio i bancari ecc.), e indetto assemblee sul tema della riforma del mercato del lavoro (art.18, assunzioni, precariato).
Precisiamo che le assemblee sono aperte a tutti (fatto salvi i problemi relativi a costituzione delle RSA in provincia e del servizio minimo garantito per le piccole filiali) e chiunque può parteciparvi (non sono le tristemente note assemblee separate per il contratto riservate agli iscritti di Fabi, Fiba, Uilca, ecc.).
Riguardo gli scioperi, di norma, la Cub-Sallca non dà indicazioni su agitazioni indette da altre organizzazioni sindacali su piattaforme che, evidentemente, non coincidono con le nostre posizioni.
Ogni iscritto/a o simpatizzante può scegliere cosa fare secondo le proprie valutazioni.
Nell'occasione può essere utile entrare nel merito della riforma del mercato lavoro, che, ad onta del clamore mediatico, resta una materia complessa e di non facile comprensione. Un messaggio che è passato, ad esempio, è che l'art.18, dopo le modifiche apportate al testo iniziale, sarebbe sostanzialmente salvo.
Niente di di più falso, purtroppo.
Ricordiamo che l'art.18 non impedisce la libertà di licenziare (ben lo sanno le decine di migliaia di lavoratori che hanno perso il posto di lavoro, anche nel nostro settore), ma impedisce i licenziamenti individuali senza giusta causa.
Da questo punto di vista, qualsiasi manomissione dell'art.18 ne compromette l'efficacia.
E' aberrante l'idea di "spacchettare" la norma distinguendo tra licenziamenti discriminatori, disciplinari ed economici. Mai nessuna azienda licenzierà per motivi discriminatori, vietati peraltro dai principi generali della nostra giurisprudenza, a partire dalla Costituzione.
Quando il ministro Fornero, accompagnata dal coro mediatico, annuncia trionfalmente che il reintegro per questo tipo di licenziamenti varrà anche per le imprese con meno di 15 dipendenti dice una sciocchezza perchè già ora è così.
La grossa "conquista" del testo modificato starebbe nel fatto che non è più vietato al giudice il reintegro per il licenziamento economico ingiustificato. Questo è vero in teoria, ma in pratica, come ha osservato lo stesso Monti, il reintegro sarà "riferito a casi molto estremi ed improbabili".
Il giudice potrà reintegrare il lavoratore solo per "manifesta insussistenza"delle ragioni economiche, definizione che non dice nulla, ma che diventa contraddittoria nel momento in cui si aggiunge che il giudice non potrà entrare nel merito delle scelte organizzative dell'azienda. Inoltre, a fronte di vizi formali di procedura o di carenza di motivazione, il giudice stabilirà un indennizzo economico, ma non potrà reintegrare il lavoratore.
E' un'altra mostruosità giuridica perchè per farsi fuori un lavoratore all'azienda basterà sbagliare volontariamente la procedura. Non finisce qui.
A fronte di un licenziamento per motivi economici graverà sul lavoratore l'obbligo di dimostrare che il provvedimento è un atto discriminatorio mascherato.
Il tutto sarà però preceduto da un tentativo di conciliazione presso la Direzione territoriale del lavoro, dove verrà proposto un indennizzo economico. Se il lavoratore rifiuta e va in causa, il giudice valuterà il comportamento tenuto nella fase di conciliazione, che suona tanto come: ti hanno offerto soldi, non li hai voluti, se il licenziamento viene giudicato legittimo perdi sia il posto di lavoro, sia l'indennizzo.
Lo stesso licenziamento per motivi disciplinari prevederà il reintegro o l'indennizzo sulla base della valutazione discrezionale del giudice.
Questa, a grandi linee, è la situazione sull'art. 18 sulla base dell'attuale decreto.
Oltretutto saranno più facili persino i licenziamenti collettivi: per questo tipo di licenziamenti ci devono essere due comunicazioni da parte del datore di lavoro, quella in cui annuncia la decisione generale, con il numero dei licenziati, e poi quella finale, grazie alla quale il singolo conosce i criteri per i quali è finito tra i licenziati.
Ora la prima comunicazione, anche se scorretta, non sarà più impugnabile per errori procedurali, perché si intende «sanata dall'accordo sindacale» eventualmente raggiunto (con qualche sindacato compiacente?).
La seconda è impugnabile dal singolo lavoratore, ma l'errore procedurale non darà più luogo al reintegro, ma solo a un indennizzo da 12 a 24 mensilità.
Inutile ricordare che la tesi per cui la libertà di licenziare dovrebbe favorire l'occupazione fa il paio con quella per cui allungare l'età per il pensionamento favorisce i giovani.
Siamo in presenza di aberrazioni ideologiche dell'oligarchia dominante, veicolate da mezzi di (dis)informazione compiacenti. Il decreto Fornero riguarda anche altri aspetti del mercato del lavoro che meritano attenzione.
In sintesi, il fatto che si dica che si assumerà prevalentemente con l'apprendistato, definito una forma di contratto a tempo indeterminato, è un'altra beffa visto che, come noto, a nessun apprendista viene garantita la conferma alla scadenza.
Riguardo la lotta al precariato, le norme sono molto confuse e la sostanza è che poco cambierà rispetto a prima. Riportiamo, a questo proposito, una sintetica dichiarazione del giurista Pier Giovanni Alleva: "Poco infine è stato fatto per i precari: il primo contratto a termine e il primo interinale di 6 mesi sono stati addirittura liberalizzati, è stata tolta la causale. Il cocoprò è stato riportato ai paletti originari, con la necessità di un vero progetto. La partita Iva, se si dimostra che lavora in sede, ha il 75% del reddito da un unico datore o ci lavori per 6 mesi l'anno, viene trasformata in cococò e poi eventualmente in subordinato".
La questione di fondo è che questa partita, giocata sulla pelle viva dei lavoratori, è oggetto di un osceno teatrino tra ABC della politica (Alfano, Bersani, Casini) e del sindacato (Angeletti, Bonanni, Camusso).
La materia è certamente complessa, ma i lavoratori devono fare uno sforzo per capire cosa sta succedendo e noi cercheremo di tornare sull'argomento con ulteriori approfondimenti.
E' necessario che i lavoratori scendano in campo su questi temi senza lasciarli nelle mani di politici e sindacalisti molto attenti alla prossima scadenza elettorale e molto meno ai diritti di chi lavora.
In attesa di iniziative del sindacalismo di base, ben vengano le mobilitazioni, ma avendo sempre ben chiari quali sono gli obiettivi da rivendicare.
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