All'incontro del 18 giugno con i sindacati del primo tavolo l'azienda si è presentata con una mano tesa che si è presto trasformata in uno schiaffone. Prima, alla luce delle modifiche del governo Monti alle norme pensionistiche, ha dichiarato superato l'accordo sugli esuberi del 29 luglio 2011. Restano nel fondo solo 800 colleghi che avevano maturato il diritto alla pensione entro il 31-12-2011. Al primo luglio non uscirà più nessuno e, udite, udite, chi era già uscito nei primi mesi del 2012 verrà riassunto!!
Dopo aver dichiarato anche la disponibilità a rivedere la partenza dei nuovi orari di filiale, la controparte ha ribadito che i risparmi previsti nel piano industriale e andati in fumo con i mancati esodi (dei 300 milioni previsti solo 50 verranno ottenuti con gli 800 in esodo) andavano comunque perseguiti. Alle parole sono seguite i fatti con la consegna di una lettera di avvio di una nuova procedura, prevista dal CCNL, su occupazione e riorganizzazioni aziendali, in cui vengono individuati gli strumenti per ottenere i risparmi previsti: sospensione dell'attività e riduzione d'orario, revisione del sistema degli inquadramenti ed attribuzione delle mansioni, mobilità territoriale, applicazione degli orari di lavoro e di sportello previsti dal nuovo CCNL, flessibilità delle articolazioni individuali di orario e ricorso al part time, oltre che fruizione delle ferie e delle ex festività. Inoltre resta sul tavolo il progetto aziendale di chiudere un migliaio di punti operativi.
Di fronte a questo scenario agghiacciante persino i "concilianti" sindacati del primo tavolo hanno dovuto dar seguito alla procedura avviata proclamando lo sciopero per il 2 luglio, finalizzato al ritiro della procedura e al mantenimento degli accordi di armonizzazione in scadenza al 30 giugno.
Finalmente, verrebbe da dire,   e saremo in prima fila nella sacrosanta mobilitazione, ma tenendo gli occhi aperti. Non ci piace che gli stessi sindacati abbiano manifestato "la consapevolezza della crisi in atto". Abbiamo tutti presente l'attuale contesto economico, ma non è accettabile che la dirigenza aziendale racconti quello che vuole secondo convenienza: all'assemblea degli azionisti la banca è solida, al tavolo sindacale si piange miseria per attaccare i diritti dei lavoratori. 

Per questo diciamo subito che non saranno accettabili  accordi al ribasso sul modello contratto nazionale (l'azienda voleva 100, gli abbiamo concesso solo 50 per cui abbiamo vinto). Già gli accordi di armonizzazione lasciarono per strada qualche pezzo, ma gli astuti sindacalisti firmatari dissero che alla scadenza dei vari accordi sarebbe stato possibile ottenere un contratto integrativo di gruppo. Infatti…

Va sollevata con forza la questione delle responsabilità per le difficoltà in cui versa la banca. Colpa solo della crisi dei mercati finanziari? Ovviamente non si può negare che il contesto sia difficile, ma dobbiamo chiederci se il management che ha guidato la fusione di Intesa Sanpaolo (e ancora prima il gruppo Intesa)  sia esente da responsabilità. Ricordiamo che il curriculum di Corrado  Passera (grazie al quale evidentemente è stato chiamato al governo come ministro allo "sviluppo")  è fatto di pesanti ristrutturazioni con tagli di personale ovunque sia passato con il suo seguito di fidati manager: Olivetti, Poste Italiane e Intesa, prima di diventare Intesa Sanpaolo. Quanto  è stato subito dai lavoratori del gruppo ex Sanpaolo era già stato sperimentato dai colleghi di Bav, Cariplo, Comit e altre banche del gruppo Intesa. Da sempre un'azione sistematica per annullare le vecchie culture aziendali, umiliare i lavoratori e le loro professionalità, introdurre procedure macchinose e cervellotiche, distruggere uffici e procedure funzionanti per adottare le direttive suggerite dalle "illuminate" consulenze di McKinsey.

Contando anche quello (al momento sospeso) del luglio 2011, siamo in presenza di 4 procedure di esodo (a partire da quello in buona parte forzoso in Intesa del 2002) in un decennio per migliaia di esuberi, bilanciate, in misura molto minore, da nuove assunzioni;  centinaia di sportelli sono stati venduti con dentro i lavoratori, in alcuni casi su sollecitazione dell'Antitrust (certamente non sgradita), in altri per scelta aziendale; sono stati alienati gioielli di famiglia come Banca Depositaria, Findomestic e numerosi  immobili.

Da tempo denunciamo (basta vedere la ricca raccolta di documenti sul nostro sito) che questa dirigenza sta distruggendo la banca al punto di qualificarci come "aziendalisti", nel senso di preoccupati difensori del futuro di questa azienda. Abbiamo denunciato e contrastato, a più riprese, con i nostri modesti mezzi, la devastazione degli uffici di sede, la creazione del Consorzio, le intollerabili pressioni commerciali (in questo certamente in buona compagnia con altre banche) il degrado del servizio nelle filiali che si condensa nel principio "guai a chi viene a farci perdere tempo se non per comprare i nostri imperdibili prodotti".                            

Così è stato svilito il concetto stesso di "banca dei territori" che presuppone un rapporto di fiducia con una clientela che riconosceva nei marchi storici la banca della propria realtà locale. Nelle filiali assistiamo al sistematico maltrattamento della clientela più anziana (e, casualmente, anche più facoltosa: serve una laurea in marketing per capirlo?), tra cervellotici accentramenti delle operazioni e tragicomiche avventure con il tablet.

Il problema è che in questi anni a denunciare e tentare di contrastare le manovre aziendali siamo stati soli. I sindacati firmatari hanno preferito la strada della "responsabilità" aiutando l'azienda a realizzare una "pace sociale" segnata dalla passività e dalla rassegnazione dei lavoratori. Senza mai vedere un'ora di sciopero sono stati firmati miriadi di accordi, spesso mediocri, a volte pessimi (accordo in deroga sulle assunzioni), sempre messi in discussione dall'azienda nella loro applicazione pratica.

Ora la controparte prova a giocare la sua partita contando sul fatto che il nuovo contratto nazionale ha galvanizzato i banchieri e depresso e passivizzato i lavoratori. Di fronte a questo attacco pesante anche i "pacifici" sindacati firmatutto hanno deciso di battere un colpo e indire uno sciopero, che va fatto, con convinzione. I lavoratori  devono impossessarsi di questa data senza firmare deleghe in bianco a sindacati che, come detto, hanno gravi responsabilità, che all'interno del gruppo Intesa Sanpaolo sono stati sconfitti nelle assemblee sul contratto nazionale ed i cui  vertici dovrebbero dimettersi per poi far votare i lavoratori e verificare chi ha realmente la rappresentanza. Sappiamo che non lo faranno e per questo la pressione dei lavoratori deve impedire la firma di nuovi accordi a perdere e contrastare l'arroganza l'aziendale.

Se il piano industriale (che da subito e da soli giudicammo irrealistico) prevedeva risparmi derivanti dall'uso del Fondo Esuberi, possiamo suggerire come recuperarli: chiudere con le consulenze tanto onerose quanto dannose, a cominciare da quelle di McKinsey: a che servono consulenze nefaste e oltretutto in fotocopia rispetto a quelle date alla concorrenza che utilizza la stessa società? Intervenire sul sottobosco di appalti e consulenze di ISGS: se i lavoratori "esterni" venissero assunti direttamente il risparmio sarebbe garantito ma si andrebbe a toccare un terreno di interessi inconfessabili. Ridurre gli emolumenti al top management non solo per una questione etica ma perché, in un'ottica meritocratica, a chi sta sfasciando la banca si dovrebbero chiedere non solo la riduzione degli stipendi ma le dimissioni!!

Dobbiamo fare capire a questi signori che non gli è più concesso di fare ciò che vogliono. La Cub-Sallca ha, a sua volta, aperto la procedura di sciopero (che copre tutto il mese di luglio) e la mettiamo a disposizione dei lavoratori, se sarà necessario. La crisi, se c'è, va pagata innanzitutto da chi l'ha provocata. Il 2 luglio andiamo a ricordarglielo sotto le loro finestre.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Gruppo Intesa Sanpaolo

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