A quasi 6 anni dalla fusione di Intesa e Sanpaolo occorre chiedersi quale beneficio abbia tratto il paese (non parliamo di Torino…) da questa operazione.
La precedente gestione Passera ha assunto connotati che noi, più volte, abbiamo descritto come un "saccheggio" dell'azienda: cessioni di centinaia di sportelli (con dentro i lavoratori), alienazione di immobili, vendita di parti importanti del gruppo (da Banca Depositaria a Findomestic), migliaia e migliaia di esuberi a fronte di un numero ben minore di assunzioni.
Si è assistito anche ad un forte degrado del servizio alla clientela, per quanto in buona compagnia con i principali competitori.

Questo però non ci rasserena e da sempre abbiamo denunciato le pesanti pressioni commerciali sui lavoratori per vendere i "prodotti della casa" e la progressiva riduzione della consulenza per gli investimenti ad una forma di supermercato finanziario.
Anche nell'operatività quotidiana si è assistito ad una sorta di "punizione" verso la clientela che si ostina a presentarsi agli sportelli (spesso è la clientela più anziana, più restìa alla informatizzazione del servizio), con lunghe code in cassa e con l'accentramento delle operazioni, inviate in sede e lavorate in un secondo tempo, con perdite di tempo, crescenti rischi di errori e ritardi nell'invio delle ricevute. Il recente articolo della Stampa sui problemi nell'addebito dell'Imu è l'ennesimo autogol in termini di immagine.
Il rapporto con la clientela viene retto grazie all'impegno di tanti lavoratori che fanno del loro meglio per garantire un buon servizio anche disattendendo disposizioni aziendali assurde ed insensate.

La promozione di Passera ad incarichi "superiori" e l'arrivo del nuovo Ceo, Cucchiani, non pare aver migliorato la situazione, anzi. L'aggravarsi della crisi economica non ci sembra un motivo per proporre medicine che non possono che aggravare la malattia. Tacendo dei propositi di tagli dei costi che andrebbero a gravare sui dipendenti (di questo parliamo in altra sede), una delle idee più brillanti che sta emergendo è quella di chiudere ben 1000 filiali. Non si tratta solo di una piccola razionalizzazione in situazioni dove possono trovarsi filiali adiacenti! Siamo in presenza di un attacco ben più grave, un'autentica distruzione del patrimonio aziendale, non a caso elaborata dalla tristemente nota società di consulenza McKinsey.
Ci chiediamo che senso abbia che le sorti della banca siano nelle mani di una società di consulenza strapagata per dare (cattivi) consigli in una situazione di palese conflitto d'interesse, visto che la stessa attività la svolge per gran parte della concorrenza. L'idea di banca di McKinsey è ben delineata in questa frase estratta da un'intervista del suo "director" al Sole 24 Ore del 6 marzo 2011: "bisogna ridurre i costi ("chiudendo alcune filiali"), cambiare le modalità di relazione con la clientela ("erogando credito al prezzo giusto solo ai meritevoli"), e cedere le attività non strumentali". Leggendo il resto dell'intervista emerge la consueta visione del profitto a breve senza prospettive di lungo termine, la principale causa dell'attuale disastro della finanza globale.

La nostra idea di "banca del paese" è diversa: vogliamo una banca che operi in modo corretto, valorizzi le capacità dei dipendenti, tuteli i risparmi dei clienti, eserciti l'attività creditizia utilizzando la conoscenza delle realtà del territorio in cui opera e non solo freddi modelli di calcolo.

Una banca così sarebbe importante per i lavoratori, per i clienti, per la società.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Gruppo Intesa Sanpaolo

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