Prima ancora che venisse siglato il verbale per aggiornare l'accordo sul fondo esuberi, il 31 luglio scorso, Intesa Sanpaolo ha diffuso sull'intranet aziendale un documento che aveva poco prima consegnato ai sindacati trattanti.

Bollata come "inopportuna" sui volantini ufficiali, l'iniziativa dell'azienda merita comunque attenzione e una buona dose di senso critico: è la prima volta che Micheli "scavalca" i sindacalisti e si rivolge direttamente alla platea dei suoi sottoposti. Evidentemente pensa che i primi non siano più tanto capaci di mantenere il controllo, come dimostra peraltro la vicenda del CCNL, bocciato senza appello nelle assemblee dei lavoratori tenutesi nella nostra azienda. Probabilmente pensa anche che i lavoratori, immaturi, non abbiano ancora "capito" la gravità della situazione e quindi non siano ancora pronti ai "veri sacrifici". Sarà bene dunque dimostrare a Micheli che abbiamo capito dove vuole andare a parare e che, semplicemente, faremo quanto è in nostro potere per fermarlo.

Il documento rappresenta un classico esempio di deriva manageriale, nel quale l'analisi è al servizio di un approccio ideologico predefinito, per intortare un uditorio che si vorrebbe supino e totalmente acritico. Ripete cose note e scontate, sostenute da un allarmistico "al lupo, al lupo", finalizzato a creare le condizioni per ottenere dai lavoratori (o almeno dai loro rappresentanti) ulteriori pesanti sacrifici, utili solo per raggiungere obiettivi di breve periodo e giustificare così stipendi e premi insensati elargiti ai dirigenti. La struttura ricalca (o ricopia) un documento analogo presentato poco tempo prima da Micheli in sede Abi, al punto che le peculiarità aziendali quasi si perdono nella marea di considerazioni valide per l'intero sistema bancario.

Guarda caso, proprio negli stessi giorni, la pubblicazione del bilancio semestrale di Gruppo ha evidenziato "risultati positivi" ottenuti con una "redditività sostenibile" ed ha enfatizzato la solidità dei conti di Intesa Sanpaolo. I dati evidenziano peraltro una ripresa di redditività di quella Banca dei Territori che si vuole ad ogni costo ridimensionare e castrare, a partire dalla decapitazione del vertice.

Persino il livello delle slides presentate è di qualità mediocre. Grafici poco chiari, mancanza di riferimento alle fonti, caratteri illeggibili, refusi… sembra un documento tirato fuori all'ultimo minuto, in fretta e furia, per fornire uno strumento e un alibi ai sindacati firma-tutto, da distribuire in categoria e preconfezionare un quadro allarmistico.

La situazione non migliora quando si passa ai contenuti, sia per quello che c'è, sia per quello che manca.

E' scontato che la scarsa redditività delle banche italiane sia altamente correlata con il Pil italiano, perché le nostre aziende hanno dimensione domestica, essendosi ben guardate dal diversificare i propri mercati di riferimento, un po' per la scelta di essere "banca del Paese" e un po' perché all'estero ci hanno rifilato delle notevole "sole" (come nel caso di Unicredit ) o ci hanno almeno provato (Dexia-Sanpaolo).

L'ovvia conseguenza è una redditività in calo nel settore, ma che ancora consente generose elargizioni agli azionisti, che vengono così tacitati da un management sempre più autoreferenziale e sempre, rigorosamente, alieno da ogni autocritica. Nessuno ha mai sbagliato niente? Come si costruivano gli utili in passato? Perché ci sono tanti banchieri sotto inchiesta penale e qualcuno anche agli arresti domiciliari? Chi ha scritto i piani industriali della stagione 2007/2009, finiti nel ridicolo? E che dire di quelli 2011-2013, morti prima di nascere?

Per restare in tema, è assolutamente incredibile l'affermazione riportata a pagina 6, che sostiene che "l'industria bancaria non guadagna il giusto" … Ovviamente ci si guarda bene dal dire quanto sia questo "giusto"!!!

Vogliamo fare il confronto con i settori industriali? Allora spiegateci dove sono finiti i 25 miliardi di euro di utili fatti dalle banche nel 2007/2008, o dove sono finiti i dividendi elargiti a piene mani dopo le fusioni…  Anziché enfatizzare il ROE od analizzare la redditività degli azionisti limitando l'arco temporale all'ultimo anno, parliamo di indicatori di medio periodo e andiamo a vedere chi ha sbagliato nel prevedere scenari irrealistici, distribuire il capitale "in eccesso" e poi chiedere aumenti di capitale per rimanere a galla…

Perplessità analoghe emergono quando si parla della redditività pro-capite: il valore aggiunto per dipendente sarebbe in discesa costante dal 2006. Subito dopo però il documento riconosce che la produttività nel sistema bancario è salita del 15% nel periodo 2003/2006 e addirittura del 23% nel periodo 2006/2011! E l'andamento degli organici non è certo estraneo a questo processo: in ISP i 61.753 addetti del 2006 sono scesi a 54.252 nel 2011 (- 7.500). Se la produttività è salita e l'organico è sceso, forse i problemi di redditività non derivano dal fattore lavoro, ma da altre componenti (impiego del capitale, perdite su crediti,  governance pletorica, consulenze ed appalti)… Non sarebbe il caso di spiegare un po' meglio queste incongruenze?

Ci sono altre chicche. La prima riguarda il numero medio di sportelli ed i ridicoli confronti proposti. Chiunque sa che il principale fattore che guida la scelta dei consumatori nella scelta della banca è la cosiddetta "prossimità". Tale concetto ha spinto le banche, fino a 4 anni fa,  a pagare anche 10 milioni di euro per acquistare un singolo sportello e relativa clientela. La seconda banale considerazione è che il numero di sportelli per abitante dipende principalmente dalla conformazione del paese e dalla distribuzione della popolazione sul territorio, per cui è privo di senso paragonare l'Italia al Nord Europa o confrontarla  con la media europea. La verità è banale: fino allo scoppio della crisi il consulente di tutti (la solita McKinsey) consigliava di comprare sportelli a prezzi impossibili; adesso dice a tutti di chiuderli, proprio quando bisognerebbe fare il contrario. Ora, paradossalmente,  sarebbe il caso di comprare (o di aprire), per occupare gli spazi lasciati sguarniti dalla concorrenza, investire per il futuro, darsi un progetto espansivo.

Giusto per aggiungere rozzezza di analisi a superficialità, il dato dell'attività transazionale riserva ancora ulteriori sorprese. I dati presentati sembrano piuttosto lontani dalla realtà: cosa significa la cifra  di 8 milioni di operazioni al mese a livello di Gruppo, includendo  solo le transazioni derivanti da versamenti/prelevamenti e incassi/pagamenti? Millantando 11 milioni di clienti, è difficile immaginare che questi non facciano neppure un'operazione al mese!!! Un'analisi seria dovrebbe prendere in considerazione la complessità delle operazioni effettuate e non solo la loro numerosità. E' un dato di fatto che molte operazioni sono ora sempre più complesse e delicate in seguito ad innovazioni legislative (antiriciclaggio, usura, Mifid, profilature varie) od all'introduzione di nuove metodologie (rating) o processi di lavorazione; altre sono semplicemente effettuate in modo più lento, ad esempio per l'introduzione di presidi anti-rapina.

Il teorema finale è che per tagliare i costi occorre ridimensionare la rete e quindi chiudere o accorpare moltissime filiali, qualcuno sostiene oltre 1000. Se una qualche forma di razionalizzazione nelle aree metropolitane è condivisibile, la paventata chiusura indiscriminata di moltissime filiali sul territorio ci sembra più un teorema ideologico, che il risultato di un'analisi accurata. Qualcuno ha considerato il pesantissimo prezzo che si andrebbe a pagare in termini economico-reddituali, a causa della perdita di clientela, o le difficoltà organizzative o logistiche nell'accorpare filiali già notoriamente ridotte all'osso in termini di spazi?

A noi preoccupano soprattutto le ricadute sui colleghi, trattati come suppellettili da spostare di qua e di là, senza garanzie e senza consenso. Ancora una volta le professionalità non vengono rispettate e le scelte sono condotte sulla base di un approccio meramente contabile, che comprime ulteriormente la possibilità di una futura ripresa.

Ma perché tagliare proprio le filiali ed in particolare le medio-piccole? Il mantra aziendale adduce un rapporto costi/ricavi troppo elevato, mentre fino a poco tempo fa tutto ciò che faceva raccolta veniva considerato strategico. Vale la pena ricordare che la redditività della rete filiali dipende, in misura rilevante, dalla remunerazione della raccolta della clientela: proprio quella, detto per inciso, che ha consentito all'Azienda di superare le recenti crisi di liquidità. I risultati poco brillanti della rete, in termini di ricavi, derivano dal discutibile sistema di ripartizione interna dei risultati di conto economico: la ridicola remunerazione della raccolta in base al TIT che storicamente ha sempre penalizzato proprio la Banca dei Territori…

Grande ilarità ha suscitato in generale l'analisi dell'evoluzione della retribuzione!Dal grafico stesso si evince come lo stipendio sia cresciuto sempre meno dell'inflazione (ufficiale, beninteso!!) e come solo qualche scatto di anzianità abbia permesso un parziale recupero in termini reali! E' vero che ci viene risparmiato il solito confronto con i bancari europei, che costano meno di noi (eccetto tedeschi e svizzeri), ma è anche vero che non si prende in alcuna considerazione il peso del cuneo fiscale e contributivo. Tutti sanno che l'elevata struttura retributiva in banca dipende, oltre che dalla formazione/qualificazione del personale, dagli inquadramenti, dai percorsi professionali e dalle promozioni: ma sono state per prime le aziende a premere per l'introduzione dei quadri e ad usare le promozioni per catturare consenso. Non ci siamo certo promossi da soli!

Dopo questa lunga cavalcata di luoghi comuni, il documento aziendale, ricorrendo al solito ricatto occupazionale, ribadisce l'innovativa (sic!) impostazione che prevede un recupero di redditività attraverso la semplice contrazione dei costi. Dopo avere  ricordato alle OO.SS trattanti la natura del contratto che hanno firmato e degli strumenti che le Aziende del settore possono attivare, le conclusioni (ma guarda un po'!) richiamano la "necessità"  di moderazione salariale e di un sistema di relazioni sindacali basate sull'adesione alla visione ideologica aziendale. Intanto hanno cominciato a tagliare d'autorità i ticket pasto e le indennità di cassa, hanno sospeso i percorsi professionali ed altre misure previste dagli accordi di armonizzazione… 

Pur essendo abituati a questa protervia,  quello che continua a stupire è la cronica mancanza di una visione d'insieme e di lungo periodo nella conduzione delle banche: nessun piano industriale, nessuna visione del futuro, nessun accenno a strategie di business, nessun accenno alla temporalità delle operazioni. In una parola: nessuna idea

Come al solito si ipotizza di tagliare alla cieca, magari recidendo gangli vitali per la sopravvivenza dell'azienda stessa, oppure operando drastiche riduzioni nella concessione di prestiti alla clientela, misura che aggrava lo stato comatoso dell'economia nazionale.

Tutto è basato su un ossessivo efficientamento dei costi, che però non è legato ad alcuna strategia. Delegare ad un consulente esterno la riscrittura del piano significa perdere conoscenza, profondità, padronanza del ciclo.

Nei sei anni di gestione post-fusione abbiamo conosciuto una riorganizzazione insensata e caotica, nelle sedi come nelle filiali, responsabile dello scadimento del livello del servizio alla clientela.

Le ipotesi di chiusura indiscriminata di filiali anche redditizie, la chiusura di casse in molte realtà dove le code sono esperienza quotidiana, la sinistra affermazione di Cucchiani sulla necessità di operare con l"ossessione" dei risultati, ci fanno pensare che si voglia continuare sulla strada fallimentare già sperimentata negli ultimi tempi.

E' necessario rispedire al mittente il documento e non cedere nulla al tavolo di trattativa, anche riprendendo le mobilitazioni, tanto più che chiudere le filiali in modo indiscriminato è un modo per distruggere valore e creare esuberi "veri". Per uscirne, serve altro.

Serve una strategia di alto profilo e di lunga durata, che identifichi chiaramente le inefficienze, preveda soluzioni di reinvestimento e di riqualificazione del personale, faccia ricorso alle energie e alle risorse interne.

Bisogna smettere di considerare le persone come costi: per rilanciare la banca vanno usate al meglio le professionalità acquisite in anni di esperienza e promosse politiche di crescita per i colleghi più giovani, che oggi rischiano di vedersi bloccati anche i percorsi.

Va costruito un progetto di banca sostenibile, al servizio della ripresa economica, che tenga conto delle potenzialità dei lavoratori, ma anche dei loro diritti e della necessità di invertire la deriva che ha portato le banche, tutte, a questa grave crisi, reddituale e reputazionale.

Impegniamoci tutti per salvaguardare la clientela, difendere il futuro dell'azienda (non  quello dei manager devastatori) e dei nostri posti di lavoro.  Chi pensa solo a remunerare il capitale o a premiare i manager deve rivedere i propri piani. La trattativa che si riapre a settembre dovrà vedere i lavoratori protagonisti e soggetti attivi nella difesa della propria condizione lavorativa, normativa e salariale. 

Soprattutto va ribadito un principio fondamentale: l'insieme degli istituti economici e normativi vigenti a livello aziendale deriva dalla contrattazione sindacale e come tale è indisponibile. Non vogliamo paternalistiche elargizioni concesse dall'azienda, valide fino a revoca e fondate sul buon cuore dell'amministratore del momento. La contrattazione aziendale deve essere INTEGRATIVA del CCNL e DIFENDIBILE a qualunque livello.
Qualunque accordo deve essere discusso e votato prima di diventare definitivo.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
INTESA SANPAOLO

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