UBI BANCA – DICIOTTO MINUTI
Calcolando che 828 sembrerebbero essere le risorse con i requisiti per accedere alla pensione direttamente o con l'accompagnamento del fondo esuberi, tanti sono, molto grossolanamente, i minuti di lavoro giornalieri che i 18.300 e rotti lavoratori superstiti del Gruppo UBI dovrebbero in teoria sacrificare per far ottenere alla banca l'agognato risparmio indicato nel piano.
Calcoli teorici a parte, il rischio a cui andremo incontro sarà quello che, cavalcando la crisi e nonostante una semestrale con i conti in netto miglioramento, vengano messi in discussione temi delicati come i Contratti Integrativi e venga, di conseguenza, innescata una lotta fratricida in campo sindacale tra le varie componenti territoriali (film già visto).
Ma leggiamo i comunicati unitari: se lo scopo è quello di seminare terrore e rassegnazione centrano pienamente l'obiettivo. Lo spauracchio della legge 223 sui licenziamenti collettivi, da sempre agitato quando c'è da strappare il consenso dei lavoratori su firme discutibili, fa bella mostra di sé in prima linea. Qualunque tipo di intervento su qualsiasi argomento sarà sempre meglio che perdere il posto di lavoro, una logica che garantisce la "vittoria" in ogni caso. Della serie: "comunque vada sarà un successo". Si richiedono poi, giustamente, sacrifici ai vertici, col rischio però, che quella che per i top managers sarà una spuntatina alle unghie costituirà l'alibi per procedere nei nostri confronti, e nella migliore delle ipotesi, ad una prima incisione propedeutica ad amputazioni più decise: pensiamo al contratto nazionale, già disastroso, da disastrare, ai CIA costruiti in anni di trattative da "revisionare" d'amblé, senza avventurarci nelle infinite e fantasiose possibilità che gli ultimi accordi sindacali "millederoghe" hanno reso possibili. Insomma c'è solo da decidere se fermarsi a polsi e caviglie o lasciare sul tavolo (operatorio) pezzi più importanti, e soprattutto su quale segmento di platea far ricadere la scure.
La sensazione è che, nonostante le bellicose dichiarazioni ai giornali da parte di alcune sigle del primo tavolo, la mannaia aziendale non troverà alcun ostacolo, al massimo una "guida" in cui inserire la lama. Il silenzio è totale. Dell'esercito di sindacalisti, titolare di una montagna di ore di permesso retribuito, nessuna traccia. Ma forse è meglio così: evitiamo di sorbirci in anticipo le giustificazioni di rito.
A nulla serve elencare i privilegi, le storture, i paradossi che albergano impuniti in un gruppo in crisi di identità. Una crisi che si aggiunge a quella che investe il paese ed il settore, e che deriva dalla lotta intestina, di cui avemmo già a dire, che vede tra le due anime, quella popolare e quella privatistica della s.p.a., la seconda vincere ai punti. Dicevamo a nulla serve: non c'è vera volontà di intervento. Sono stati chiari nei loro enunciati. Non interessa se imperversano inspiegabili promozioni, straordinari a go-go, ipertrofiche auto aziendali, procedure costosissime, lavorazioni esternalizzate dai pesanti costi (con pessimi ritorni) e quant'altro: fa parte della sacrosanta discrezionalità aziendale. Si devono perciò chiudere, e/o accorpare, e/o trasferire uffici, filiali e persone, e procedere allo smantellamento sistematico di ciò che è stato conquistato, o perlomeno convenuto, soprattutto a scapito della massa anonima dei lavoratori (per gli appartenenti alle varie cordate vale il discorso sulla discrezionalità). Poi l'Ufficio Ratifiche Sindacali non dovrà far altro che il suo dovere: firmare, magari (meglio) facendo prima un po' di baccano mediatico, ma non troppo.
Vogliamo ricordare che la maggior parte degli appartenenti a quella massa lavora per gli istituti del gruppo (che hanno cambiato vertici e insegne più volte) almeno da "qualche" lustro, che per
un periodo ci si è pure identificato, qualcuno ha magari anche creduto alla storia della grande famiglia, prima di disilludersi, fatto sta che l'azienda appartiene più a costoro che a quei managements con cui si trovano immancabilmente e periodicamente a fare i conti, i quali dopo qualche anno, terminate le scorribande, prendono il volo per nuove terre e nuove conquiste.
A questo punto cari colleghi una riflessione è d'uopo. E' chiaro che l'azienda intende procedere con le sue asettiche amputazioni e redistribuire la ricchezza recuperata dalle nostre tasche come meglio crede. E' presumibile che cercherà di far leva sui campanilismi e gli interessi particolaristici delle sigle sindacali delle varie aziende mettendoli l'uno contro l'altro. E' probabile che tenterà di creare, con un precedente, i presupposti per lo smantellamento di istituti che devono essere intoccabili in questo frangente. E' altrettanto chiaro, almeno per noi, che non cambieranno idea facilmente e che le cose in futuro, purtroppo, non potranno che peggiorare (per qualcuno sono finiti i tempi della governance popolare, per altri non sono mai nemmeno cominciati). Neppure la volpata di chiedere una poltrona nel Consiglio di Sorveglianza, incanalando il malcontento delle maestranze in assemblea piuttosto che in piazza, da parte di alcune sigle sindacali può portare da qualche parte in termini di benefici ai lavoratori (se non per le stesse sigle in questione).
Sarà possibile questa volta uscirne alla "meno peggio" ? Fosse anche, potrebbe essere l'ultima: i segnali sono pessimi a tutti i livelli. Il prossimo boccone da ingoiare, potrebbe essere avvelenato.
Ora, come sempre, sta tutto nelle VOSTRE mani. Sì, perché senza di voi la situazione non può avere nemmeno la speranza di cambiare. C'è chi una scelta l'ha già fatta. Una scelta di sacrificio e di esclusione ma anche di coerenza ed onestà intellettuale che estranea dal pantano delle contraddizioni e dell'autoreferenzialità in cui sguazzano le sigle firmatarie. Ma sia chiaro che senza di voi, senza il vostro appoggio e partecipazione nessuno potrà far niente. Possiamo offrirvi la nostra organizzazione per esprimere un dissenso magari ignorato (possiamo indire scioperi e manifestazioni di protesta assolutamente regolari se necessario), ma esso deve maturare dentro di voi insieme alla consapevolezza di una giusta e ormai indifferibile scelta (pena il mutismo e la rassegnazione) e la assoluta necessità dell'azione. Il futuro dipenderà anche dalle vostre singole decisioni.
In verità crediamo che segnali di coesione e determinazione si dovevano porre in atto già molto tempo fa, per la precisione in occasione della cessione di ramo d'azienda di UBI alla società di servizi, quell'infausta estate del 2007. Ma in ogni caso sarà sempre "meglio tardi che mai".
Ora si tratta di aspettare di vedere le prime proposte concrete e i primi risultati della trattativa.
Noi restiamo profondamente convinti che qualunque accordo debba essere discusso e votato dai lavoratori prima di diventare definitivo.
Vedremo se è rimasto da una parte un barlume di dignità e dall'altra di ragionevolezza.
Gruppo UBI Banca
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