Viviamo un momento storico cruciale. La crisi dovuta ad un debito pubblico da ripagare con una moneta che non ci appartiene e su cui non abbiamo sovranità, l'EURO, ci sta travolgendo. Le politiche di austerity del governo, dagli apparenti buoni propositi, non fanno che aggravare la recessione colpendoci come cittadini in maniera inaudita. La riforma Fornero ci ha allungato la vita lavorativa e ne ha aumentata l'aleatorietà.
Le banche, complice lo spread, la sfiducia generale, l'impoverimento sociale, chiudono, alimentando il circolo vizioso, i rubinetti del credito: fanno utili col trading e la liquidità della BCE e scaricano la colpa di bilanci inferiori alle (loro) aspettative e dei provvedimenti governativi sulle nostre, già cariche, spalle. La nostra banca che, nonostante tutto, fa bella mostra nei comunicati periodici e nelle dichiarazioni dei suoi amministratori, di una granitica solidità patrimoniale e di utili in ripresa (i dati del terzo trimestre confermano la discreta semestrale), non fa eccezione e somma a questa crisi quella dovuta ad un matrimonio mal riuscito tra la gestione popolare, tradizionalmente attenta anche ai dipendenti, e quella privatistica, che ha occhi solo per il profitto.
L'eccezione, rispetto agli altri gruppi bancari, l'ha fatta invece l'andamento della trattativa riguardante queste nuove "tensioni occupazionali". I 50 giorni previsti dalla procedura sindacale sono trascorsi senza entrare nel merito delle questioni, restando sulla generica enunciazione relativa alla riduzione dei 115 milioni di euro.
Allo scadere dei termini con un nulla di fatto (il 17 ottobre) ci si poteva aspettare un po' di tutto: dalla proroga della procedura finalizzata al raggiungimento di un accordo, all'attivazione della famigerata legge 223, dalla disdetta dei contratti integrativi ad altre forme di pressione.
Invece? Nulla. Nessuna ricerca di convergenze, nessun tipo di sollecitazione, nessuna rappresaglia aziendale. Nel vuoto di quei momenti la domanda è nata spontanea: che sia stato tutto uno scherzo?
I rappresentanti dei lavoratori dal canto loro hanno indetto a ridosso della scadenza procedurale un calendario di assemblee giunto in questi giorni a conclusione. Una scelta che ci trova d'accordo nel metodo ma perplessi nel merito.
D'accordo perché abbiamo sempre ritenuto fondante per un sindacato che sia degno di questo nome mantenere una stretta relazione con la base, rimettersi al voto sovrano delle assemblee in merito alle scelte da effettuare e chiederne la ratifica in caso di accordi al ribasso (accettandone anche la ricusazione). D'accordo perché sono certamente anche un modo per dare un segnale all'azienda sulla sensibilità dei lavoratori riguardo al proprio futuro.
Le perplessità derivano invece dal fatto che queste assemblee, ricche di spiegazioni concernenti una trattativa pressoché senza contenuti (sic!), non hanno espresso le uniche
cose che potevano e dovevano: una piattaforma resistente su cui chiedere il mandato ai lavoratori, ma soprattutto l'impegno a tornare in assemblea per una consultazione democratica prima di qualsiasi accordo peggiorativo, insomma una linea del Piave di cui dover dare conto ai colleghi.
Nella pratica si sono invece risolte, in molti casi, in una celebrazione delle sigle presenti, trasformando il tutto in trovata pubblicitaria, con inviti ad iscriversi ai sindacati firma-tutto e a diventare azionisti UBI per partecipare al voto dell'assemblea dei soci.
Forse abbiamo la memoria corta, forse siamo anche un po' andati vista l'età media della popolazione bancaria o magari noi lavoratori del credito siamo una manica di Tafazzi …
Andiamoci a rivedere (basta uno qualsiasi dei documenti prodotti dal Comitato per il NO) le delizie previste dal nuovo CCNL, a cui aggiungiamo, anche alla luce del recente accordo in Intesasanpaolo (vedi nostro volantino dedicato):

  • che le 32.000 assunzioni in 5 anni promesse per votare SI al CCNL si sono trasformate in 35.000 esuberi per l'intero sistema,
  • che l'eliminazione della precarietà promessa dalla propaganda per il SI al contratto è lungi dall'essere stata raggiunta: in Intesasanpaolo gli apprendisti sono stati usati come arma di ricatto nella trattativa, licenziati e poi riassunti una volta firmato quanto voluto,
  • che l'allungamento dell'orario di sportello previsto dal rinnovo del CCNL giudicato in principio non applicabile o al massimo creatore di nuova occupazione, nella realtà dei fatti sarà applicato e non creerà nuova occupazione (di nuovo Intesasanpaolo farà da apripista),
  • che l'insourcing, strombazzato ai quattro venti, nei maggiori gruppi si è trasformato nell'esatto contrario, cioè in programmi di pesanti esternalizzazioni,
  • che la beffa della decurtazione della base di calcolo del tfr si è estesa al fondo pensione integrativo e alle voci aziendali.

Basta per farci tornare alla realtà?
Sono passati pochi mesi dalla firma di uno sciagurato contratto nazionale che voleva nascondere con qualche patetico trucco di facciata l'ennesima fregatura per i lavoratori ed ecco i maghi dell'illusionismo e del plagio colpire ancora.
Sono anni che i sindacati del cerchio magico usano la legge 223 sui licenziamenti collettivi come spauracchio per costringere i colleghi più lucidi e critici a convergere sulle scelte sindacali supine a cui da tempo assistiamo. Come hanno finito per riconoscere anche alcuni sindacalisti in assemblea, l'azienda si è ben guardata dall'applicarla, scoprendo il bluff sindacale. Perché dovrebbero licenziare i giovani, meno costosi e più ricattabili, quando lo scopo è disfarsi dei vecchi che sono tutto il contrario?
Un altro inganno da aggiungere alla montagna di menzogne spesa a livello nazionale e al susseguirsi di accordi aziendali peggiorativi se non addirittura truffa.
A proposito di accordi truffa: che fine hanno fatto i famosi rientri in UBI Banca dei dipendenti UBI oggetto della cessione di ramo d'azienda a UBISS del 14/8/2007? Ricordiamo che il primo gennaio prossimo avrà luogo il passaggio contrattuale in UBISS e
dopo oltre 5 anni e qualche colloquio-sceneggiata i rientri sono stati ben pochi.
Ora vogliono fare il salto di qualità e diventare manager passando dalla porta di servizio e pubblicizzano a tal fine la partecipazione all'assemblea dei soci. Ma una cosa è giocare la carta del voto capitario, un'altra è usarla per piazzarsi al quadro dei comandi: con quali garanzie per i lavoratori?
Siamo così convinti che un sindacalista seduto sulla poltrona riservatagli dal top management potrebbe fare più che nel ruolo che gli è stato finora proprio? Noi pensiamo che per risolvere i problemi servirebbe invece più coscienza da parte dei colleghi, democrazia diretta e, prima di pensare alle poltrone, rompere il cerchio magico aprendo a nuove realtà e al coinvolgimento e alla partecipazione nelle scelte sindacali di tutti i lavoratori, iscritti e non (così come nel vero modello tedesco), abbandonando le RSA e abbracciando il modello RSU.
D'altronde qualche verifica esiste già: intanto il pessimo esempio nostrano di modello tedesco dato da Banca Popolare di Milano, con i noti episodi di collusione e scambi di favori tra sindacalisti e banchieri. Se poi passiamo al modello originale abbiamo avuto recenti esempi, nei gruppi Commerzbank e Deutsche Bank, di dirigenti sindacali, seduti ai tavoli manageriali, che hanno scambiato il loro benestare ai licenziamenti di lavoratori a favore della propria scalata ai board delle aziende via via più importanti all'interno della galassia societaria.
Avete letto la recente (ed ennesima) interrogazione parlamentare di Elio Lannutti? L'esponente dell'IDV non ha peli sulla lingua e attacca gli amministratori del Gruppo UBI, parlando di "compensi spropositati ai manager", di un "uso sconsiderato delle carte di credito aziendali", di "consulenze per almeno 1 miliardo di euro elargite spesso a parenti e amici", di "svendita truffaldina di diversi beni a favore di amministratori" e dei crac Burani e San Raffaele.
Non entriamo nel merito delle gravi accuse, ma si tratterà di un caso il fatto che il senatore Lannutti, che nell'interpellanza si appoggia a lavori e volantini di alcune sigle sindacali, da un paio d'anni bersagli UBI delle sue attenzioni?
E che stia nella Commissione parlamentare di controllo sulla previdenza presieduta da Jannone (il top manager delle cartiere Pigna e deputato del PDL che ha costituito l'Associazione azionisti UBI, di cui è presidente, in aperto contrasto con l'attuale management)?
Tra l'altro Jannone aveva dichiarato tempo fa di aver contattato i sindacati di UBI Banca, alcuni dei quali si erano subito affrettati a smentire la cosa.
Sarà sempre casuale che tra pochi mesi si terrà, a Bergamo, l'Assemblea dei Soci UBI?
E il battage publicitario di alcune sigle sindacali sul diventare soci, un argomento che è diventato summa conclusiva delle assemblee per la cosiddetta mobilitazione?
In primavera è probabile che avremo qualche risposta in merito.
Esiste solo un modo per non alimentare cattivi pensieri: alle denunce sopra esposte dovrà
seguire un conseguente atteggiamento al tavolo da parte delle sigle trattanti: ferma intransigenza e nessun cedimento a concessioni.
Il 21 e il 22 di novembre sono in programma nuovi incontri, dove è probabile che, a tarda notte come tradizione vuole, sigleranno un'intesa.
Chiaramente, avendo già sparato la cartuccia delle assemblee sul niente, i lavoratori dovranno fare a meno di dire la propria in proposito (anche se la situazione potrebbe richiederlo e le ore per le assemblee ci sarebbero…).
E' passata quasi in sordina la notizia delle 70 lettere di licenziamento, con possibilità di riassunzione tra i Quadri direttivi, ad altrettanti Dirigenti del gruppo. Voci insinuano che si tratterebbe tutto di personale ex BPU.
Se così fosse dovremmo pensare ad un regolamento finale di conti rimasti in sospeso dai tempi della fusione tra BPU e BL?
L'intreccio di vicende è tale che gli interrogativi certamente non mancano. Altra singolare coincidenza: la pubblicazione dei conti del terzo trimestre insieme alle altre 6 maggiori banche italiane a oltre 40 giorni dalla sua chiusura. Ci auguriamo che al tavolo i dati positivi verranno fatti pesare a favore dei lavoratori al riavvio della trattativa.
A proposito di trattativa noi siamo sempre stati contrari all'abuso del fondo esuberi e all'uso improprio fin qui fattone dalle aziende con la complicità dei sindacati firmatari, ma riteniamo che sia il massimo concedibile all'azienda, su base volontaria e con una attenta verifica dei carichi di lavoro e degli organici, soprattutto in rete, in modo da non lasciare nelle pesti chi rimane.
Tutto il resto non è giustificabile se non assolutamente volontario compresi gli strumenti che qualche sigla sindacale si è affrettata a mettere a disposizione dell'azienda per aiutarla a risparmiare, come la fruizione totale nell'anno di ferie, ex festivi e banca delle ore (!) e gli "avvicinamenti al luogo di residenza " riguardanti coloro che sono in grande mobilità: gli avvicinamenti devono servire a migliorare la qualità della vita e non ad abbattere i costi aziendali; se era per evitare il disagio ai colleghi perché non si sono svegliati prima?
Chiudiamo riportando una recente dichiarazione fatta alla stampa (Eco di Bergamo 31/10/2012) dal nostro Consigliere Delegato:
"Non seguite quelli che dicono che bisogna ridurre ai minimi i compensi dei dirigenti perché il rischio è quello di abbassare la qualità della gestione aziendale, cosa che comporterebbe dei pericoli".
E se provassimo a sostituire le parole "dirigenti" e "gestione" con "lavoratori" e "operato"?

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Gruppo UBI Banca

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