Anche quest'anno, secondo una liturgia ormai collaudata, le nostre strutture di rete e di sede sono state rimescolate, accorpate e stravolte in vario grado. Sembra irrinunciabile il fatto di presentarsi al mondo con una "nuova banca" tutti gli anni, anche se la sostanza dei cambiamenti ha ben poco di nuovo e somiglia pericolosamente al restyling di un'azienda decotta.
Chi non ha avuto il discutibile piacere di essere trasferito, ammassato con altre decine o centinaia di colleghi in "batterie di polli" (altrimenti detti "nuovi uffici sperimentali"), o demansionato in ruoli più modesti senza nessuna considerazione per risultati e trascorsi personali potrebbe liquidare con un'alzata di spalle le "novità" e tentare, come si è sempre fatto, di andare avanti col lavoro quotidiano. Sempre più pesante e complicato, ma pazienza; tutti gli anni sono "sfidanti", tutti gli anni ci sono paletti nuovi in mezzo a cui fare lo slalom.
Le novità però quest'anno sono parecchie e non promettono nulla di buono. Chi avesse buona memoria (non ne serve poi molta in realtà) ricorderà che esattamente un anno fa fervevano i lavori che avrebbero portato all'approvazione ("e il modo ancor ci offende", si potrebbe dire parafrasando Dante…) del peggior contratto nella storia della nostra categoria, motivato variamente dall'esigenza di ottenere assunzioni che non si sono viste e tutele che vengono demolite di giorno in giorno.
Ebbene, secondo l'Abi (almeno finchè Mussari era il suo presidente…) questa meravigliosa conquista si sta rendendo insostenibile e le aziende continuano a ripetere in modo ossessivo la litania della riduzione dei costi.
Questa filosofia, nel nostro gruppo, ha un impatto sulla rete, per il momento, limitato alle persone che vanno in pensione e non sono rimpiazzate, si assentano per maternità e malattie e non sono sostituite, vengono adibite ad altre mansioni ma devono svolgere in un modo o nell'altro anche le precedenti, quando se ne presenti la necessità. Non è già poco, considerando che andiamo avanti così da… sempre? I "giovani", in UniCredit, hanno tipicamente quarant'anni di cui venti di banca. Ma questo non basta.
Non potendo massacrare più di tanto gli organici delle agenzie, nonostante l'impegno quotidiano di zelanti personaggi delle Risorse Umane, si ricorre a una formula magica che promette immediati e sostanziosi benefici sui sofferenti conti economici delle aziende: l'esternalizzazione.
Il progetto Newton prevede il conferimento di numerose lavorazioni con i lavoratori che le svolgono, a società di nuova creazione, in cui la banca avrà una quota di minoranza e quindi di fatto si "cambia padrone", a volte persino contratto: il rischio è che questi passaggi siano solo l'anticamera per la perdita del posto di lavoro e per questo si stanno susseguendo scioperi in UBIS, spesso in assenza di informazione tra gli altri lavoratori del gruppo.
Tutto questo accade grazie agli "studi" frutto di consulenze milionarie di gruppi internazionali come Accenture, McKinsey e chi più ne ha più ne metta. Ed è proprio questo il paradosso sconvolgente. Le aziende vogliono tagliare costi, e si affidano a consulenti a cui pagano parcelle da capogiro… per risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Forse nelle agenzie non c'è una percezione diretta e immediata di queste problematiche, ma quando i terminali non funzionano, quando è necessario parlare con molte persone diverse per ottenere una risposta, quando è impossibile ottenere assistenza, la motivazione è una sola: "efficientamento operativo". Con questa espressione, pessima già a livello linguistico, viene definito il ridurre il presidio di meccanismi delicati a un call center in cui pochi operatori e tante musichette devono far fronte a problemi continui di procedure quotidianamente rimaneggiate.
Non è infrequente che nella stessa unità operativa e per la stessa mansione lavorino dipendenti di aziende diverse con contratti completamente diversi. Le stesse aziende di consulenza, come "collaterale" dei loro già fruttuosi contratti, spesso fanno assumere loro dipendenti (di solito come funzionari o dirigenti), per cui sarebbe molto interessante verificare l'entità dei risparmi effettivi che vengono ottenuti, a fronte di personale nostro estromesso dall'azienda, marginalizzato e precarizzato, quando non direttamente espulso (per ora tramite i prepensionamenti… domani chissà. Eutelia insegna). In questo senso è il caso di parlare di "mercanti" e "servi", come in una famosa canzone: non è assolutamente vero che le persone siano tutte uguali, persino a parità di lavoro svolto, e ci sono soggetti che guadagnano sempre e comunque come se avessero un qualche diritto di nascita.
Che fare quindi?
In primo luogo essere consapevoli di alcuni concetti basilari: il datore di lavoro NON può fare ciò che vuole, il lavoratore NON deve accollarsi il rischio d'impresa, nè rispondere di scelte scellerate che non sono state fatte da lui; bisogna essere responsabili e svolgere le proprie mansioni al meglio delle proprie possibilità, come vuole la disciplina civilistica, ma NON fino al martirio. Straordinari non retribuiti, l'assunzione di responsabilità non previste dal ruolo, le eccezioni alle normative, sono tutte iniziative pericolosamente autolesionistiche che non solo non risolvono alcun problema ma creano l'illusione che la situazione sia in qualche modo sostenibile e gestibile, e quindi si possa aumentare ulteriormente il carico.
Poichè l'azienda spende per i suoi consulenti più volentieri che per i suoi dipendenti siano loro a fornire soluzioni effettive ed efficaci, e a risponderne verso (per usare un termine abusato) gli stakeholder.
Più di tutto, non bisogna lasciarsi indurre a pensare che alcune cose "riguardino altri" e non siano rilevanti. Ogni dipendente dell'azienda è un collega e fino a prova contraria il suo lavoro è importante come quello di tutti gli altri. Fanno eccezione unicamente gli addetti ad alcuni uffici il cui lavoro pare consistere solo nel complicare quello degli altri.
Non siamo entità isolate, non siamo una categoria di parassiti, neppure c'è un singolo motivo per sentirsi privilegiati dopo molti anni in cui il nostro potere d'acquisto e la nostra professionalità sono stati fatti a pezzi. Ma se avremo il buon senso di agire di quando in quando come categoria, forse ci renderemo conto dell'enorme forza contrattuale di cui disponiamo, in un Paese che esiste e resiste grazie al risparmio e probabilmente un po' anche grazie all'impegno quotidiano di chi i soldi li maneggia e li fa circolare. Il sindacalismo serve anche a creare questa consapevolezza ed a ridare un senso all'idea di un'azione collettiva per cambiare la realtà.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Gruppo Unicredit

questo post è stato letto4886volte