UBI BANCA – CHI VUOL ESSER LIETO SIA?
"I risultati del 2012 sono stati possibili grazie alla finanza e al taglio dei costi. (…) sfruttando anche la LTRO della BCE abbiamo preso una posizione aggiuntiva di circa 12 miliardi che ci ha premiato". Dichiarazione di Victor Massiah, AD di UBI Banca ai microfoni di Class Cnbc riportata da Milano Finanza del 14/3/2013.
Le parole del top manager di UBI avallano le tesi ma soprattutto le preoccupazioni che avevamo indicato nel nostro volantino "UBI Banca: si salvi chi può!" e suonano di una gravità inaudita: una banca commerciale, a maggior ragione se di radice popolare, che fa utili non attraverso l'attività propria di intermediario creditizio, ma tagliando i costi (soprattutto del personale) e facendo speculazione finanziaria è, alla faccia di tutti i requisiti di patrimonializzazione, fortemente a rischio. Se aggiungiamo il recente annuncio riguardo all'acquisto di azioni proprie destinate al sistema incentivante dell'Alta Dirigenza (del controvalore di 1.745.550,00 euro) e la proposta di un dividendo di 5 centesimi per gli azionisti, si compone ai nostri occhi un mirabile esercizio di trasferimento di ricchezza dal lavoro alla rendita e ai bonus dei manager. Mentre molti colleghi si crogiolano in quelle certezze che, ancora non si sono accorti, gli sono state di fatto già sfilate da sotto il sedere e mentre i sindacati firmatari, miopi più che mai e intontiti dalle massicce dosi dell'insulina dei privilegi di casta, di cui vengono ampiamente riforniti, si gongolano delle conquiste strappate alla controparte ma poi, guarda un po', fatte proprie dalla stessa, si aprono ampi spazi di incertezza nel futuro di ognuno di noi.
Gli sforzi della BCE non hanno portato gli sperati benefici all'economia reale, con gli investimenti nei settori produttivi e nelle opere pubbliche, che dovevano dare l'avvio al circolo virtuoso: + lavoro = + stipendi/utili = + domanda interna = + lavoro = + stipendi/utili ecc …, ma un effetto l'hanno avuto: le iniezioni di liquidità (LTRO) a tassi irrisori a solo appannaggio del sistema bancario, se da una parte hanno puntellato il debito pubblico dall'altra hanno consentito un margine di utile esclusivamente alle aziende di credito al quale esse hanno affiancato, con l'attività di intermediazione che ristagna, quello derivante dalla finanza speculativa e il taglio dei costi, in primis quello del personale.
Analisi simile quella di Pietro Saccò su l'Avvenire del 17/03/2013, secondo il quale "senza questa strabiliante performance finanziaria il +20% dell'utile operativo si sarebbe trasformato in un misero – 3,8%". Risultato che, secondo gli ultimi avvisi di Bankitalia, non avrebbe portato alla distribuzione né di dividendi agli azionisti, né di bonus suppletivi ai manager e che sarebbe stato ancora inferiore se non corroborato dai tagli al personale fin qui succedutisi.
Se l'economia reale è in sofferenza acuta imprigionata in una spirale deflazionistica che impoverisce il 99% del paese a puro vantaggio della speculazione finanziaria, una banca popolare di queste dimensioni (dopo il tracollo di MPS, la terza in Italia per capitalizzazione) che opera quasi totalmente nel mercato domestico dovrebbe, in un'ottica di lungo periodo, essere seriamente preoccupata e impegnata nella ricerca di una via d'uscita sistemica attraverso la spinta dei propri lavoratori, delle forze sindacali, dei territori di riferimento e le espressioni di una dirigenza responsabile nelle sedi opportune, a cominciare da ABI e Bankitalia per finire al Ministero del Tesoro e in Parlamento.
E invece? Si raschia il fondo del barile: in alto si spartiscono il grosso, da basso le briciole. Ma che "del doman non v'è certezza" è vero solo per i lavoratori.
Gruppo UBI Banca
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