Sin dalla sua costituzione, il consorzio ISGS si è caratterizzato per una gestione del personale sul filo della pressione continua. Il modello organizzativo di Intesa Sanpaolo, così come quello delle altre banche, scopiazza esperienze anglosassoni che tendono a separare la Rete dai back-office ed accentrare le lavorazioni  per risparmiare sui costi  della loro esecuzione. L'idea di fondo, da realizzare in tendenza,  è che nella Rete ci siano lavoratori di serie A, addetti al commerciale e pagati in base ai risultati ottenuti,  mentre nei back-office ci siano lavoratori di serie  B, pagati meno, perché in diretta concorrenza con lavoratori di paesi a minor costo del lavoro.

Le conseguenze più evidenti di questa impostazione si sono viste nel trasferimento ai back-office di molte lavorazioni di cassa, che prima venivano effettuate in linea, in modo tempestivo ed efficiente, con grande semplicità esecutiva e piena soddisfazione della clientela.      Anche i rapporti ufficiali ammettono ormai la farraginosità, le duplicazioni, lo spreco ed il degrado qualitativo di tale organizzazione del lavoro, con l'invito implicito a tornare indietro e porre correttivi ragionevoli (es. il bonifico singolo da trattare allo sportello, come prima). Per amor di carità, non vogliamo citare il disastro evidenziato nei picchi di lavorazioni dell'Imu, della Tares e della Mini-Imu, non sempre o non del tutto attribuibili alla responsabilità della banca, ma comunque meritevoli di approcci più razionali ed efficaci nella gestione di carichi di lavoro eccezionali.
Quanto invece sta prevalendo nella complessiva gestione di ISGS è piena responsabilità della banca e delle sue scelte, talvolta al limite dell'auto-lesionismo, spesso o quasi sempre carente nel rispetto delle persone e delle loro esigenze.

Ci riferiamo al continuo processo di riorganizzazione degli hub, prima annunciato per luglio e poi sospeso, agli spostamenti di lavorazioni da un polo all'altro, alle incertezze che caratterizzano i poli di Lecce e Potenza (dove si erano assunti 4 anni fa lavoratori con contratti peggiorativi in deroga), alle gravi conseguenze nello smantellamento dei poli specialistici estero e alle difficoltà dei centri di eccellenza mutui.
Mentre la Rete boccheggia, ancora sotto shock per la partenza degli orari estesi, prima che venissero recuperate le risorse con le fusioni e le chiusure annunciate, nei back-office si deve fare i conti con progetti di riorganizzazione apparentemente indecifrabili, come i nomi impossibili che li caratterizzano: Lean On, per esempio.
In realtà il progetto è molto decifrabile: mira a recuperare delle risorse, almeno una su sette, per ogni ufficio o reparto lavorativo, aumentando del 13% la produttività di quelli che rimangono.
Ma detto in questo modo, non è elegante: si possono scatenare reazioni o resistenze, innescare polemiche e attriti.
Bisogna invece mettere in piedi un progetto molto più sofisticato, che dia la parvenza dell'oggettività, dell'analisi puntuale, della mappatura dei processi, per convincere le persone coinvolte della necessità del cambiamento.
Quello che si vuole cambiare sono la mentalità ed il comportamento dei lavoratori, in modo che lo snellimento degli organici non sia fine a se stesso, un momento transitorio da superare con un colpo di reni, ma l'assunzione di un impegno al miglioramento continuo, da proseguire anche quando i "navigatori" abbiano fatto rotta verso altri lidi.
Il progetto prevede infatti l'arrivo, negli uffici da riorganizzare, di una squadra di "navigatori", che durante la loro permanenza interloquiscono con gli SPOC (single point of contact), responsabili locali e interni del progetto, cui compete il poco invidiabile compito di fare da filtro tra chi guida il cambiamento e chi lo deve subire.
I navigatori hanno compiti specifici, definiti naturalmente con termini inglesi, per rendere tutto più "americano" (Voice of the Customer, Process Efficiency, Performance Management, Organization & Skills, Mindset & Behaviors).
C'è chi deve rappresentare le esigenze del cliente utente, chi deve vivisezionare il processo produttivo, chi deve individuare gli sprechi da eliminare, chi deve definire i passaggi migliorativi, chi deve intuire pensieri, paure e minacce inconsce, chi deve raddrizzare i comportamenti.
In buona sostanza: diagnosi, prognosi, terapia. Naturalmente tutto questo va inserito nel contesto di un cambiamento culturale, per imparare ad "essere più appassionati, coinvolti e soddisfatti nel lavoro svolto quotidianamente" nonché "essere focalizzati sulla responsabilizzazione", e attraverso il lavoro di squadra e la collaborazione con il team leader arrivare ad una cultura della performance per un "miglioramento della produttività di circa il 13% al fine di agevolare la nuova struttura organizzativa".
E  siamo finalmente arrivati a dove volevamo arrivare… Non sono necessari mesi di lavoro, riunioni,  lavagne  e squadre congiunte di navigatori e di SPOC per capire che nel processo produttivo esistono porosità e procedure che potrebbero essere snellite. Quello che non è accettabile è lo spirito con cui viene fatto questo lavoro, teso al puro risparmio di costi, effettuato attraverso la riduzione dell'organico ed il taglio all'occupazione.

Ancora meno comprensibile è la situazione di squilibrio che esiste tra i diversi settori del consorzio, con presenza, da una parte, di lavoro straordinario e sabati lavorativi, ricorso ai consulenti esterni e spostamento di lavorazioni in Romania, mentre da altre parti si lamentano eccedenze di organico ed esuberi.
Questo mentre tutti gli impegni che a livello contrattuale erano stati assunti per garantire il rientro delle lavorazioni esternalizzate sono rimasti totalmente disattesi.
Paradossale, in questo contesto, è poi la situazione drammatica della Rete, delle filiali minimali e delle filiali con orario esteso, dove talvolta i clienti devono attendere ore per poter effettuare banali operazioni di cassa.
C'è quindi un problema molto grave di organizzazione complessiva e di distribuzione degli organici e dei carichi di lavoro.
Se nel Gruppo si dichiarano centinaia di esuberi (in Mediocredito, Mediofactoring, Banca Monte Parma, annunci di chiusura di poli di back-office), non si capisce perché le filiali debbano lavorare in continuo affanno e che riescano a stare in piedi soltanto con lo sfruttamento dei lavoratori e prestazioni straordinarie non pagate.
E' ora di porre fine a questo controsenso e ritornare ad affrontare le questioni in modo serio e ragionevole: il piano industriale previsto per marzo deve essere concretamente orientato all'incremento dei ricavi, alla crescita di prodotti e servizi e all'espansione dell'occupazione. Bisogna impiegare i lavoratori là dove servono ed assumerne altri per sostituire gli esodati. C'è molto da fare e si deve tornare a investire sul personale,  guardare avanti e superare la crisi.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Gruppo Intesa Sanpaolo

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