Per UBI ennesima chiusura di bilancio confortata dalle dichiarazioni di ottimismo, seppur moderato, dell’AD Massiah. Utile triplicato, cedola a 0,6 centesimi, titolo in crescita: la banca dal passo del “maratoneta”, aspetta a sua detta, l’aggancio della crescita per dar sfogo all’allungo.

A nostro avviso si tratta di un ottimismo di maniera ad uso e consumo della platea: senza entrare troppo nel particolare richiamiamo l’attenzione sul fatto che l’attività di intermediazione, cioè il FARE BANCA, langue e non potrebbe fare altrimenti.

Spinge forte l’attività finanziaria (324,5 mil, 257,3 mil nel 2012), cioè il trading (107,2 mil), le compravendite su titoli (in totale 217,5 mil) la maggior parte di Stato ma tra cui anche la partecipazione in Intesa-Sanpaolo (49,5 mil) e la rivalutazione delle quote di Banca d’Italia (29,2 mil). Influiscono sul bilancio la riduzione delle spese amministrative (- 41,9 mil a/a) e del personale (- 72 mil a/a), i benefici fiscali della Legge di Stabilità (+55,1 mil). Aumentano le commissioni relative ai servizi di gestione, intermediazione e consulenza ma diminuiscono quelle derivanti dall’attività bancaria tradizionale.

Purtroppo, nonostante il fatto che, come rimarcato dall’AD, nel corso dei trimestri si sia mostrata una lieve seppur progressiva ripresa dell’attività core, il cavallo non beve. Pur essendoci i presupposti patrimoniali per un ampliamento degli impieghi, i crediti non si muovono se non per aumentare la quota di quelli deteriorati.

E’ nostra convinzione che sia lo scenario a dover essere completamente rovesciato rispetto alla moda corrente e alle richieste di Berlino e Bruxelles, che vede la sua espressione nel taglio della spesa pubblica (ci riferiamo a quella produttiva), nelle privatizzazioni, nelle austerità seppur mascherate dai recenti giochi di prestigio del neopremier Renzi, nel pareggio di bilancio.

Ci lasciano basiti le dichiarazioni di Sileoni al congresso FABI, partecipatissimo dai banchieri, secondo il quale le banche ed il bancario dovrebbero stravolgere i propri ruoli per dedicarsi ad altre e diverse attività come la vendita di prodotti e la consulenza in materia assicurativa, giuridica, fiscale, sostituendosi a commercialisti e avvocati e sottraendo“quote di mercato a Banco Posta e Poste Vita”.

L’Italia si dibatte nella crisi più grave dagli anni dell’unità, superando di gran lunga quella del 1873 e quella del 1929. Quando nel 1936, dopo 7 anni se ne era usciti, oggi tocchiamo nuovi minimi: ha una disoccupazione a livelli record (oltre il 40% quella giovanile), ha perso il 25% della produzione industriale, una domanda aggregata morente. Certo l’Italia è un paese ancora ricco (per quanto ancora?) ma non è contendendoci le briciole e reinventandosi piazzisti o giocolieri che si esce dalla depressione conclamata in cui ci troviamo. Bisogna recuperare il ruolo economico e sociale delle banche in un sistema che veda forte e autorevole l’intervento dello Stato, della sua spesa a deficit e del suo ruolo di garanzia e regolamentazione.

Qui si va ben oltre il gioco delle parti, oltre la difesa di interessi particolari, è IMPERATIVO un cambio di paradigma per la salvezza del Paese, e, se è vero che da un grande potere derivano grandi responsabilità, NESSUNO può tirarsi indietro, meno che meno i vertici dei sindacati e delle grandi banche che possono dialogare con le istituzioni, ne va dell’Italia intera.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Gruppo UBI Banca

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