(A proposito del piano industriale)

Quattordici miliardi di euro. Questo il risultato dell'ultima "pulizia nei conti" in casa UniCredit: praticamente un punto di PIL, o il maggior gettito dell'IMU nel 2013. Confrontato con i numeri dell'azienda l'importo è anche più impressionante: UniCredit capitalizza in borsa 35 miliardi (due volte e mezza la perdita) e ha avuto ricavi (lordi) per 24 miliardi. L'ultimo anno chiuso in utile, il 2012, ha registrato 860 milioni di euro di risultato positivo: meno di un sedicesimo della perdita attuale. Eppure il tono dell'annuncio è stato trionfalistico, come se finalmente ci fossimo affrancati da una pericolosa spada di Damocle, e i mercati finanziari, che come si sa sono giudici imparziali, hanno salutato con un forte rialzo le previsioni di un ritorno a grandi profitti in tempi brevissimi superato questo "piccolo" scoglio. Tutto molto bello, se fosse vero. Un'espressione attribuita nientemeno che al Financial Times, ma, ammesso che sia tutto bello, è molto difficile che sia vero. Vediamo perchè.

Innanzitutto è sintomatico notare come, con vezzo tipicamente mediterraneo, i disastri correnti siano attribuiti a fattori unici, irripetibili e del tutto fuori dalla responsabilità dell'attuale management. Ci si affretta poi a dimostrare in modo incontrovertibile (o almeno ci si prova) che passata questa "nuvoletta" passeggera tutto ritornerà a funzionare come prima, anzi meglio.

Il Financial Times fa garbatamente presente che questa perdita cancella tutti gli utili degli ultimi DIECI anni (quelli dell'era Profumo col ROE a due cifre, per capirci…), ma sembra che nessuno riesca a ricordare che solo due anni fa, nel 2012, in questo stesso periodo si consumava un altro bagno di sangue il cui conto, modesto in paragone all'attuale ("appena" 9,2 miliardi di perdite), richiese un aumento di capitale, il terzo in tre anni. Tant'è vero che il "clamoroso rialzo" del titolo che ha accompagnato la pubblicazione dei risultati 2013, secondo alcuni, sarebbe da attribuirsi al fatto che non sono stati annunciati ulteriori aumenti di capitale nonostante le perdite ingenti. Ed è appena il caso di notare che anche nel 2012 si era pronosticato un rapido ritorno all'utile, con un preciso piano industriale che avrebbe dovuto produrre utili e dividendi… già nel 2013.

Ora come allora le perdite sono accompagnate da un altro dato a noi un po' più familiare: gli esuberi. 5200 allora, più di ottomila oggi: si chiudono filiali, si vendono pezzi a destra e a manca, si quota in borsa qualsiasi cosa possa essere appetibile; immobili da conferire a fondi vari probabilmente non ne abbiamo più da tempo (forse è per questo che ci affrettiamo a costruire nuove scintillanti palazzine…), però si può sempre tagliare sui dipendenti: in fin dei conti c'è la crisi, qualche sacrificio lo dovranno pur fare… e allora via i premi, via il sistema incentivante, niente inquadramenti o trasferte, anzi cominciamo a risparmiare anche sulla cancelleria e sulla carta igienica. Di rinnovare il contratto, ovviamente, non se ne parla.

E intanto il carrozzone, come nella canzone di Renato Zero, va avanti, ma soprattutto vanno avanti le sue regine e i suoi re. Che non rinunciano certo a distribuirsi premi generosi, o a "regalare" delle autentiche fortune alle società di consulenza. E' notizia recente che, tramite un aumento di capitale dedicato, verranno distribuiti a 150 top manager di Pioneer (150 top manager in una società con 2000 dipendenti…) 22 milioni di euro. Se la matematica non è un'opinione sono quasi 150mila euro a testa: lo stipendio annuale di tre dipendenti "normali". A fronte di cosa esattamente? Non è dato saperlo.

A questo punto la domanda spontanea è quanto possa durare tutto ciò. Se il nostro piano industriale sembra discutibile al Financial Times, per chi vive la realtà quotidiana di agenzie completamente ingestibili o di uffici di sede in preda al caos è a maggior ragione veramente difficile non farsi cogliere dallo sconforto. Soprattutto quando si vede che continuiamo a commettere sempre e sistematicamente gli stessi errori: oggi scontiamo la scelta scellerata di aver pagato carissimi degli investimenti quanto meno rischiosi, e di aver concesso credito a chi non lo meritava. Come pensiamo di sistemare i conti? Mettendoci a vendere qualsiasi cosa, investendo delle fortune in tecnologie che i nostri clienti usano malvolentieri, e soprattutto facendo mutui e carte di credito a chiunque.

Sarà interessante nel 2016, posto che il management sia lo stesso e non sia andato a fare danni altrove, vedere se una volta di più saranno invocati eventi imprevedibili e straordinari che hanno compromesso un piano industriale così ben congegnato.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Gruppo UniCredit

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