Il 28 marzo scorso, Intesa Sanpaolo ha presentato, in contemporanea, i dati di bilancio 2013 ed il Piano d'Impresa 2014/2017. Come già nel caso di Unicredit, di Ubi e persino di Banca MPS, la Borsa ha salutato con forti rialzi l'annuncio dei dati e del piano.
Anche ISP ha "fatto pulizia" nei bilanci, svalutando gli avviamenti per 5,8 miliardi di euro e accantonando per crediti a rischio 7,1 miliardi di euro. L'utile dell'attività ordinaria, pari a 1.218 milioni, è risultato quindi totalmente assorbito da un risultato netto negativo per 4,55 miliardi di euro. Tutti negativi gli indici più significativi del bilancio: proventi operativi netti in calo del 9%, risultato della gestione operativa in calo dell'11%, risultato corrente al lordo delle imposte in calo del 31%.

Un nuovo management tende sempre ad archiviare le perdite come esito degli errori altrui, o come evento straordinario irripetibile, mentre, senza alcun cenno di autocritica,  annuncia un taglio netto con il passato e dipinge un futuro radioso per sé, per l'azienda e per gli azionisti. Per i lavoratori, come è consuetudine in questi tempi balordi, il messaggio è forte e chiaro: "Dovete già essere contenti se vi teniamo"… Il piano industriale di Carlo Messina non si discosta da questo schema, omogeneo per tutte le banche e predisposto da consulenti comuni, se non per dettagli marginali.
La differenza principale sta nella gestione dell'"eccedenza produttiva", cioè dei 4500 lavoratori considerati in esubero. Ma ci arriveremo.

Cominciamo dall'analisi dei dati di bilancio. Il 2013 si è salvato, come esercizio, per due ragioni ben precise: la rivalutazione delle quote della Banca d'Italia (che ha portato 2558 milioni) ed un drastico taglio dei costi del personale (511 milioni di euro, pari a -9,60%). I politici ed i sindacati (firmatari) hanno recepito il grido di dolore delle banche ed hanno fatto la loro parte: insieme hanno portato nelle casse del Gruppo oltre 3 miliardi di euro in più!  Con decisione controversa, potenzialmente impugnabile, la banca ha portato in conto economico la voce relativa alla rivalutazione delle quote di Banca d'Italia. Altrimenti, sarebbe andata ancora peggio…
Risulta in crisi il risultato dell'attività caratteristica: gli interessi netti (8132 milioni) sono calati del 14%, solo parzialmente compensati dal rialzo delle commissioni nette (6149 milioni), salite del 13% (soprattutto gestito e assicurativo).  Sempre meno credito, sempre più distribuzione di prodotti! Gestire il risparmio dei clienti equivale a lucrare commissioni,  lasciando a loro i rischi…

Incerto l'andamento delle banche partecipate estere, con bagni di sangue in Ucraina e Ungheria, mentre la Divisione Corporate e Investment Banking arranca tra crediti incagliati e sofferenze vere e proprie, riducendo del 6,4% il proprio apporto al conto economico.
Il vero cuore del gruppo resta la Banca dei Territori, che ha prodotto 11.134 milioni di euro di proventi operativi netti, con un incremento del 2,6% rispetto all'anno prima. La BdT produce il 68% dei proventi del Gruppo, pur avendo pagato il prezzo più alto in termini di riduzione dei costi.

Se questo è il passato, il futuro è di tutt'altro tenore, almeno se dovessimo credere alle slides  promettenti e accattivanti che accompagnano il piano industriale 2014-2017: impegno a distribuire 10 miliardi di dividendi cumulati agli azionisti (se ora sono 800 milioni annui, significa triplicarli!), 170 miliardi di crediti netti all'economia, 21 miliardi di retribuzioni da distribuire ai dipendenti, 10 miliardi di spesa a favore dei fornitori, 10 miliardi di imposte, oltre 19 miliardi di proventi operativi netti a regime, promessa di riportare il ROE dall'attuale 2.9% al 10%.

I pilastri del piano prevedono poi di reimpiegare 4500 addetti, eccedenti, in attività diverse, con un impegnativo programma di riconversione: 3000 almeno dovrebbero andare a rivitalizzare 5 milioni di clienti, attualmente a bassa marginalità, vendendo loro almeno 5 prodotti chiave, in modo da raddoppiarne la redditività. Per gli altri 1500 si profilano soluzioni analoghe, ma in campi nuovi: gestione proattiva del credito, assistenti all'automazione tecnologica, consulenza fiscale e legale, intermediazione immobiliare, biglietteria, viaggi, ecc. L'obiettivo è quindi l'espansione dei ricavi, anziché il ridimensionamento degli organici. Vedremo.

Per intanto procede un drastico taglio delle filiali, con 800 chiusure previste, di cui 300 già nel 2014. La rete filiali, che tanti investimenti ha assorbito negli anni scorsi, viene quindi ridotta di brutto, perché i nuovi canali remoti provvederanno a sostituire il presidio fisico del territorio. Semmai sarà il bancario, abilitato all'offerta fuori sede, ad inseguire o a seguire il cliente al proprio domicilio, o comunque all'esterno del perimetro filiale. Sarà davvero così? Il retail è davvero spacciato? Non si tornerà indietro, al prossimo giro di valzer, per ribadire l'importanza della relazione personale nel garantire efficacia commerciale e fidelizzazione strategica?
Ai posteri l'ardua sentenza. Per adesso registriamo la pervicacia dell'azienda nel respingere qualunque ipotesi di distribuire il VAP per il 2013, sostenendo che non vi siano i presupposti reddituali. Notevole anche la dichiarazione d'intenti di non prevedere accantonamenti per eventuali adeguamenti salariali, connessi al rinnovo del CCNL in scadenza. Anzi, al netto dell'adeguamento inflattivo, si prevede di ridurre i costi operativi di altri 800 milioni di euro e di abbassare il rapporto costi/ricavi di  5 punti, riportandolo dal 51% al 46%.  Come dire: il futuro è roseo, ma non per tutti…
Manager e azionisti, uniti e coesi, pianificano un futuro improbabile, dove trovano posto ricchi bonus per gli uni e dividendi crescenti per gli altri. Per i lavoratori, forse, qualche prebenda, legata a risultati e obiettivi sfidanti, spesso irrealistici,  irraggiungibili e insostenibili, come i budget assegnati in questi primi mesi del 2014. Tutto inserito, magari, come negli ultimi due anni,  in sistemi incentivanti unilaterali, senza comunicazione preventiva, senza confronto sindacale,  erogati con criteri totalmente discrezionali, in base alle scelte del momento del capo azienda di turno.

Un piano d'impresa che non ha alcuna certezza d'esecuzione e che rischia di fare la fine di quelli precedenti (ricordate i  piani di Passera del 2007/2009 o quello del 2011/2015?). Piani basati su previsioni che lasciano il tempo che trovano, visto che tutti quelli che blaterano profetizzano da 6 anni una ripresa che non si è mai vista. La propaganda ha le sue regole e ci vorranno quattro anni per verificare se il piano era credibile e realizzabile: un tempo sufficiente per incassare bonus rilevanti e produrre semmai buoni alibi per gli eventuali flop  previsionali.
Il modello di business proposto non sembra in grado di segnare alcuna inversione di tendenza rispetto al passato: più che una banca al servizio dello sviluppo del paese, sembra una banca orientata a succhiarne la residua linfa vitale, appropriandosi di ulteriori quote di margine economico, per spostarle verso gli azionisti e la rendita…

L'unica certezza, per ora,  è il taglio continuo di stipendi, filiali e magari organici (se il piano si rivelerà un flop),  che si arresterà solo quando  sapremo reagire, con la dovuta determinazione, per difendere i nostri interessi, come lavoratori, in forma collettiva e organizzata.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Intesa Sanpaolo

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