Si appresta a prendere avvio una difficile trattativa per "accompagnare" alla porta altri 5.482 lavoratori del Gruppo Unicredit (11% della forza lavoro del Gruppo in Italia).
Come si può facilmente intuire,  il vero obiettivo dell'operazione non sarà la razionalizzazione delle attività, ne tantomeno la riduzione della forza lavoro laddove l'azienda sostiene che il lavoro non c'è più, ma semplicemente garantire una diminuzione del costo del lavoro.

Un'operazione che però non avrà benefici sul conto economico; alla fine si tratterà di una "posta di giro"  tra il costo del personale ed il fondo previsione di perdite legate alle milionarie cause che Unicredit sta perdendo un po' in tutta Italia (ed Europa) sulla questione derivati, oltre alle costose cause penali che la banca deve affrontare per difendersi da pesanti accuse come quelle d'essere un'Azienda dedita a prestiti a tassi d'usura.

E' chiaro che i vertici aziendali se non riusciranno a fare cadere le teste dei lavoratori, cercheranno di colpire il cedolino stipendio ed i percorsi di carriera dei dipendenti. In questo l'Azienda è già stata chiara facendo sapere che non si discuterà solo di esuberi, ma anche di riduzione del welfare aziendale e del premio legato alla produttività (se mai ci sarà).

I sindacati firmatutto avranno quindi cinquanta giorni di tempo per dirimere una matassa che non si presenta di  facile soluzione. Già perché il piano esuberi 2014/2018 indica che solo 2.794 dipendenti del Gruppo Unicredit matureranno i requisiti per la pensione.  La metà dei lavoratori da "espellere" andrà cercata altrove.
Senza considerare che per garantire il rilancio del Gruppo i lavoratori, già proni, si dovranno ulteriormente piegare a flessibilità sugli orari e rimodulazione delle mansioni. La ciliegina sulla torta sarà il blocco totale delle assunzioni per i prossimi cinque anni; una grana politica quest'ultima che inficia la già precaria credibilità di sindacati che hanno chiesto sacrifici economici ai lavoratori in cambio di assunzioni che non avverranno mai.

E' inutile inoltre ricordare che tutto ciò che l'Azienda riuscirà a fare passare con questa trattativa si rifletterà (in negativo) sul contratto di categoria in via di definizione.

Quale futuro dunque ci aspetta? L'Azienda ha già dichiarato di non voler utilizzare il Fondo Esuberi, definito troppo oneroso, quindi l'ipotesi migliore che ci si prospetta è di finire come l' Electrolux. L'Azienda svedese ha chiesto agli operai di dimezzarsi gli stipendi per non portare all'estero la produzione; Unicredit chiederà ai propri dipendenti contratti di solidarietà per non licenziare qualche migliaio di lavoratori?

L'alternativa ci sarebbe: eliminazione totale delle milionarie consulenze  ed attribuzione di tali mansioni a dipendenti, con conseguente assorbimento di forza lavoro. Mantenimento delle attività produttive nel nostro Paese evitando di portare altre attività nell'Est Europa (pensiamo per esempio alle centinaia di lavoratori che Ubis assumerà in Romania mentre in Italia dichiara esuberi) ed insourcing di attività appaltate all'esterno. Contrazione dei fringe benefit per i Managers e delle retribuzioni dei Top Manager a non più di 20 volte la retribuzione di un lavoratore medio del Gruppo.

Questi sono solo consigli "spiccioli" ma che dimostrano che, se c'è la volontà,  una soluzione ai tanto esaltati esuberi (e relativi costi) la si può trovare.

Troppo spesso i grandi gruppi bancari si riempiono la bocca di parole come codice etico e responsabilità sociale d'impresa. Se Unicredit resterà su queste posizioni avremmo l'ennesima dimostrazione che si tratta solo di chiacchiere ipocrite e che i lavoratori devono svegliarsi per tornare a lottare e difendere diritti che, un pezzo per volta, stiamo progressivamente perdendo.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Gruppo UniCredit

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