Per valutare l’accordo raggiunto potremmo partire dal commento apparso su La Stampa del 29 giugno: soddisfatto il numero uno di Unicredit, Federico Ghizzoni: l’intesa, dice, “offre un importante contributo alla ripresa economica e occupazionale del Paese. In questo modo la nostra banca può continuare a giocare il ruolo di motore della crescita”.

Ricordiamo che Ghizzoni è stato recentemente insignito della carica di Cavaliere del Lavoro, nomina giunta poco dopo la notizia che lo stesso era stato inquisito (forse un requisito indispensabile per acquisire la nomina?) per bancarotta in relazione al crack Divania.

La banca “motore della crescita”  sta collezionando infatti denunce per usura e derivati, ha esternalizzato circa 700 lavoratori di Ubis, continua a chiudere filiali e sta drasticamente peggiorando la qualità del servizio alla clientela: è questo il contesto in cui va valutato l’accordo.

Un accordo che comprende, a latere, una lettera d’intenti aziendale per stabilizzare 570 apprendisti e assumere 800 giovani nel biennio 2014-15.

Sull’altro piatto della bilancia vi è la garanzia che usciranno 2.400 lavoratori entro il dicembre 2018, mentre verrà aperta una seconda procedura per far uscire altri 2700 lavoratori, con un saldo occupazionale negativo di meno 4.300. Questa seconda parte della trattativa sarà da negoziare in separata sede e ripartendo da zero, mentre le rinunce sin qui accettate sono definitive, come ogni altro peggioramento contrattuale visto finora.

La prima tranche di uscite prevede un incentivo (variabile in base all’età: si va dalle 6 mensilità per chi ha 63 o più anni, fino alle 13 mensilità per chi ha 56 anni o meno anni) per chi matura il diritto alla pensione entro il 31 dicembre 2018. L’adesione va data entro il 15 ottobre 2014 altrimenti vi sarà la risoluzione del rapporto di lavoro senza erogazione d’incentivo (quindi la volontarietà resta del tutto teorica).

Su base volontaria, nell’ultimo anno di lavoro, sarà possibile chiedere di ridurre l’orario settimanale a 25 ore, oppure di non lavorare un giorno alla settimana, oppure di non lavorare per nulla. Il periodo sarà interamente coperto dalla banca per la contribuzione previdenziale, mentre il Fondo di Solidarietà pagherà circa il 60% dello stipendio per la parte di orario non lavorato.

Sono previste agevolazioni per chi potesse riscattare gli anni di laurea (ma è bene valutare attentamente le condizioni) e la possibilità per le lavoratrici di andare in pensione con 35 anni di lavoro e 57 anni di età anagrafica: attenzione però, sono previsti ulteriori incentivi ma la penalizzazione sull’importo della pensione sarà forte e definitiva.

Sono previsti impegni aziendali molto generici che rischiano di restare sulla carta. Ci riferiamo in particolar modo alle iniziative di insourcing ed alle riduzione di appalti e consulenze che potrebbero segnare una svolta nella politica aziendale fino ad ora perseguita. Lo ammettiamo, dubitiamo della reale volontà e possibilità di un cambio di strategia aziendale. Prima di tutto perché finora le operazioni di outsourcing già realizzate avevano come   obiettivo reale  il contenimento dei costi, che in banca significa una cosa sola: riduzione del personale. Secondo perché da quanto abbiamo appurato (si veda al proposito il brillante volantino della RSA Fisac di Ubis Roma), nel Gruppo Unicredit regna un caos organizzativo tale per cui non si è neppure in grado di stilare un elenco delle società che lavorano in appalto/subappalto (stiamo parlando di un margine d’errore enorme, che supera il 50%). Come si può allocare il lavoro dall’esterno ai dipendenti del Gruppo se non si ha neppure una minima idea di “chi fa che cosa”  per Unicredit?

Altri impegni che Unicredit si è assunto sono collegati alla limitazione delle pressioni commerciali, multipolarità per ridurre i disagi della mobilità territoriale. Un po’ come Maometto che spostava le montagne, così anche il lavoratore del Gruppo dovrà armarsi di pazienza ed accettare di essere spostato – se possibile “virtualmente” – là dove il lavoro esiste. Se il lavoro non va dal lavoratore, il lavoratore dovrà andare da lui. Non solo, ma dovrà essere pronto ad accettare (o meglio subire) un demansionamento. La nuova politica di Unicredit con il benestare dei Sindacati prevede infatti distacchi e demansionamenti a discrezione aziendale e senza possibilità di replica da parte del lavoratore.

E’ questo il modello di banca del futuro che hanno in mente i sindacati firmatari? C’è di che essere veramente preoccupati.

E’ prevista una stretta sugli straordinari (non si potranno fare o semplicemente non verranno compensati?) e sulla fruizione integrale nell’anno di competenza di ex festività, ferie e banca ore.

Verrà pagato il Premio Variabile di Risultato nella forma di Premio Speciale Una Tantum nella misura  di 840 Euro lordi “cash”, aumentabile a 1.140 Euro se erogato in forma di premio sociale (spendibile dal 2015).

Nel contempo però l’azienda ha disdettatto le previsioni di pagamento dei premi di fedeltà al compimento dei 25 e 35 anni; cosa accadrà realmente non è ancora dato sapere. L’unica certezza è che dal 1^ Luglio queste liberalità cesseranno d’esistere. Che fine faranno i nostri soldi che l’Azienda ha già accantonato non è dato sapere (per i premi relativi al 25° sembrerebbe che confluiscano in un Fondo, ma come e quando potranno essere utilizzati dai lavoratori, lo scopriremo solo vivendo).

Insomma, rispetto alle ipotesi di misure unilaterali prospettate dall’azienda, i sindacati aziendali parleranno di contenimento dei danni, ma il risultato finale sarà l’ulteriore degrado delle condizioni lavorative, l’ennesima perdita di diritti normativi ed economici. Sembra particolarmente ingiustificato il trionfalismo con cui vengono presentati i “risultati” della “trattativa”, ovvero perdite certe molto pesanti (il solo premio di fedeltà per il 25° anno oscilla fra le due e le tre mensilità nette, perse per i neoassunti, si vedrà per chi era  sul punto di maturarlo) contrapposte a benefici incerti: le assunzioni, i risparmi sulle consulenze, la riduzione delle pressioni commerciali e quant’altro sono solo belle intenzioni dichiarate: ricordiamo quante assunzioni avrebbe dovuto portare, anche grazie ai NOSTRI soldi, l’ultimo rinnovo contrattuale?

Purtroppo non c’è da aspettarsi molto quando chi ci rappresenta nella trattativa parte dal presupposto che l’azienda abbia diritto e ragione di fare ciò che vuole, e da parte nostra non si possa fare nulla. Sarebbe bene che costoro ricordassero che il pessimo risultato di bilancio di quest’anno è poco imputabile ai lavoratori, e molto più alle scellerate scelte della dirigenza, che non è stata certo parca nel distribuirsi premi sotto varie forme; e che le assunzioni di nuovo personale non sono una grazia che il datore di lavoro concede, ma una logica necessità che da noi, fra parentesi, è stata forse un po’ trascurata. Ed è vero che è nella piena facoltà dell’azienda abolire tutte le liberalità (o le “inefficienze salariali”, come vengono definite dai banchieri, definizione a cui i sindacalisti firmatutto sembrano adeguarsi senza problemi).

E’ altresì vero che è nostra piena facoltà smettere di fare straordinari (specie se gratuitamente, come troppi continuano a fare danneggiando se stessi e i colleghi), smettere di assumerci responsabilità non previste, smettere di fare i salti mortali per conciliare gli aspetti commerciali con quel minimo di decenza che (si spera) ci permette di camminare per la strada come persone normali, senza essere aggrediti o segnati a dito.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Gruppo UniCredit

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