DA SEGRETERIA NAZIONALE CUB-SALLCA
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Il 6 ottobre è partito in Intesa Sanpaolo il piano di azionariato diffuso, cui occorre dare adesione entro venerdì 17 ottobre (in ogni caso vale il silenzio-assenso). Dopo aver aderito al piano, si può accedere (entro il 31/10) anche al LECOIP, il programma  per assegnare, su base volontaria, azioni aggiuntive, data di scadenza aprile  2018, con la garanzia del capitale netto  e la possibilità di godere del 75% dell’apprezzamento del titolo,  in base alla media delle quotazioni di borsa rilevate mensilmente. Rimandiamo i dettagli tecnici alle numerose guide che i sindacati firmatari hanno predisposto per pubblicizzare, con più o meno enfasi, l’adesione al piano. Noi abbiamo scelto di mettere a disposizione degli iscritti la più “critica”(anche rispetto alla sua stessa sigla), quella della FALCRI  della Toscana, a nostro giudizio la più utile, pur non esaustiva. Ricordiamo anche che è possibile, entro il 15 novembre,  recedere da parte di chi ha già aderito.     Quello che vogliamo fare qui è dare la necessaria enfasi agli aspetti più delicatidella questione, per fare il contro canto ai toni strombazzanti con cui (quasi) tutti i firmatari si sono messi a disposizione dell’azienda per garantire la buona riuscita dell’operazione. La pressione ad aderire è molto insistente: insieme ai solleciti, arriva persino un finanziamento agevolato dedicato a chi prende le azioni!

Cominciamo dal principio: l’iniziativa è partita dall’azienda, che riesce anche in questo modo a pagare sempre meno salario contrattato, dopo aver messo in discussione addirittura lo stesso VAP, nonostante i risultati strabilianti ottenuti persino in tempo di crisi, grazie all’abnegazione dei propri dipendenti.

Individualmente, la scelta dell’adesione al piano non modifica in alcun modo la possibilità o meno di ottenere premi aziendali in futuro (non discrimina tra chi accetta e chi no). Il testo dell’accordo, però, afferma testualmente che la cifra investita nel piano di azionariato viene considerata dall’azienda come un anticipo sui futuri stanziamenti per aumenti salariali contrattatiin tutto l’ambito di validità del piano industriale (2014-2017). Quindi, per i sindacati firmatari che fingono di non capire, aver siglato l’accordo equivale ad avere “prenotato” erogazioni del VAP  da realizzarsi con assegnazione di azioni ai dipendenti, quindi aver rinunciato a salario fresco.
La complessità dell’operazione è indubbiamente elevata: la Banca d’Italia ha impiegato quasi 6 mesi per autorizzare, il prospetto informativo consiste di 75 pagine, l’architettura finanziaria (tra certificati Credit Suisse, fiduciaria Sirefid e vendita a termine) è  decisamente sofisticata.
Le ricadute fiscali sono notevoli e possono alterare sensibilmente il livello di tassazione, soprattutto per gli inquadramenti professionali inferiori (ad esempio, già per la figura base dell’assistente alla clientela, il decollo dell’operazione entro il 2014 implica un aumento di reddito figurativo lordo di oltre 5.000 euro). Rimarchiamo che chi ha un reddito lordo inferiore ai 26.000 euro annui rischia di perdere il bonus mensile da 80 euro, chi ha un reddito inferiore ai 40.000 euro lordi rischia di perdere il vantaggio della tassazione agevolata al 10% su VAP e voci retributive legate alla produttività.
 
La distribuzione delle azioni è fortemente sbilanciata verso le figure gerarchiche di comando, con una logica premiale molto diseguale. L’azienda realizza per questa via un forte sventagliamento economico, con un impatto redistributivo nettissimo(la leva base è 0,8 ma può già arrivare a 5,5 per i direttori e a 6 per i coordinatori di mercato). La filosofia di fondo è quella di legare economicamente  il lavoratore al piano industriale, coinvolgerlo nella sua riuscita, fidelizzarlo, trattenerlo o punirlo in caso di inadempienza (un provvedimento disciplinare di sospensione, anche di un solo giorno, può far perdere tutto, così come le dimissioni o il licenziamento): una bella riconquista ideologica!
Sarebbe masochista rifiutare le azioni gratuite: quelle si possono vendere anche subito, non modificano più di tanto il proprio CUD e  se tenute per 3 anni il ricavato non è soggetto a tasse e contributi.
L’adesione al LECOIP è già più problematica: fino ad aprile 2018 non si può toccare niente e bisogna lavorare alacremente per collaborare alla ripresa azionaria del titolo.
I lavoratori hanno il diritto di decidere autonomamente, come è logico. Sarebbe però consigliabile, sul piano sindacale,  una separazione più netta tra gli interessi  dei banchieri e quella dei bancari: si deve ritornare ad un impianto rivendicativo  autonomo e lasciare ad altri il rischio d’impresa.
 
A ciascuno il suo, a partire da una tornata contrattuale, appena agli inizi,  assai delicata, in cui le aziende insistono per forme di remunerazione variabili e incentivanti, a scapito della parte fissa e contrattata del salario.
Gli accordi aziendali devono servire a redistribuire la produttività, restituendo ai lavoratori parte degli utili che hanno prodotto con il loro impegno. Non è certo un obiettivo della contrattazione di secondo livello quello di allargare la base azionariadelle aziende: piuttosto, se hanno soldi da spendere, li usino per ripristinare la contribuzione su TFR e previdenza complementare. E soprattutto pensino a rinnovare il CCNL con aumenti salariali uguali per tutti.

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