Si sono svolti il 18 e 24 settembre scorsi due ulteriori incontri tra ABI e sindacati firmatari per la ripresa della trattativa sul CCNL. La delegazione ABI, guidata da Profumo, si è presentata al primo incontro con uno studio di Prometeia, che ribadiva analisi e previsioni ormai note e stranote, vaticinando i soliti disastri occupazionali (12.000 esuberi previsti nel settore nel prossimo triennio), conseguenza di scarsa redditività, carenza di patrimonio, cambiamenti strutturali del business, ridimensionamento della rete fisica e altre amenità.

Il sugo del discorso è stato chiarito bene nel 2^ incontro: l’ABI chiede tempo per verificare l’esito degli stress test (fine ottobre) e intanto monitorare l’andamento del conto economico delle aziende nel secondo semestre. Nel frattempo chiede di prorogare la validità del contratto fino al 28 febbraio e si rifiuta di procedere alla tabellizzazione  dell’EDR fino al 1^ marzo 2015. Gli aumenti del rinnovo 2012 resterebbero così sterilizzati ai fini del TFR e delle altre poste aziendali, anziché essere inseriti in busta paga a tutti gli effetti dal 1^ luglio 2014, come era scritto nell’accordo. Solo il ripristino degli scatti d’anzianità con effetto 1^ agosto 2014 ha trovato attuazione.     La commissione tecnica istituita tra le parti ha definito l’impatto economico dei due provvedimenti: la tabellizzazione dell’EDR costa 80 milioni, il ripristino degli scatti d’anzianità circa 60 milioni. Una  cifra non certo proibitiva, per un sistema che ha ripreso a fare utili  e che si può finanziare allo 0,15% presso la BCE in quantità praticamente illimitata… Tuttavia l’ABI è rimasta ferma sulle sue posizioni ed anzi ha minacciato di disdettare il contratto (un’altra volta?) alla scadenza del 30 settembre, in caso di rifiuto sindacale a concedere il rimando della tabellizzazione.

Quello cui punta l’ABI è un obiettivo più grosso e più ampio. Dopo aver trangugiato a malincuore l’innalzamento della tassazione sulla rivalutazione delle quote della Banca d’Italia (decisa dal governo Renzi per finanziare gli 80 euro di detrazione fiscale), le banche si aspettano grandi cose dal rottamatore e dal suo ministro del welfare Poletti. L’arroganza del premier che attacca frontalmente il lavoro, il sindacato, la concertazione non si potrà forse applicare brutalmente nel nostro settore (che ha gestito le ristrutturazioni e le espulsioni di decine di migliaia di bancari sempre con gli accordi ed il consenso delle parti sociali), ma può certo fornire un contesto molto più favorevole alle richieste delle banche in tema di flessibilità, assunzioni, mercato del lavoro. Da qui a marzo il Jobs Act può diventare realtà e spianare la strada a politiche ben diverse in tema di gestione degli esuberi, mobilità, demansionamenti, apprendistato, contratti a termine e persino controlli a distanza sulla prestazione lavorativa.

L’ABI deve mediare tra situazioni aziendali molto diversificate: da una parte la ripresa dei mercati e delle attività di intermediazione titoli hanno fornito il carburante per chiudere un buon primo semestre per le banche “sane” e soprattutto per le due principali, Intesa Sanpaolo e Unicredit, che insieme hanno realizzato il 93% degli utili del settore; dall’altra si sono ulteriormente acuiti  i problemi  di quelle banche che hanno già dovuto ricorrere ad aumenti di capitale imponenti (forse ancora insufficienti) e si trovano oggi nella drammatica urgenza di fornire un ritorno immediato ai nuovi/vecchi azionisti (Monte Paschi, Carige, Banca Marche, ecc.) . Qualcuno si spinge a ipotizzare una nuova grande ondata di fusioni.  Per tutti cresce intanto il problema dei crediti inesigibili, con le sofferenze che sono decollate ormai oltre i 170 miliardi di euro.
Cresce quindi la tentazione di affrontare questa situazione di difficoltà attraverso la destrutturazione contrattuale, scaricando sul costo del lavoro e sui lavoratori il peso dell’aggiustamento. Svuotare il CCNL e sostituirlo con accordi aziendali o di gruppo diventa quindi un obiettivo importante,  talvolta esplicitato in modo aperto o diretto, altre volte perseguito attraverso escamotage meno plateali.
La linea che sembra aver scelto Profumo appare più flessibile rispetto alle durezze di Micheli: non va sottovalutata comunque la pesantezza della posizione dell’ABI, che punta ad ottenere da questo contratto una riscrittura radicale dell’impianto di tutele e garanzie sedimentato nel settore da decenni di contrattazione.
Adesso le parti osserveranno una pausa per le riunioni dei direttivi ed il congresso della Uilca previsto a cavallo del fine mese. Sono stati messi in agenda altri due incontri per il 6 e  l’8 di ottobre.
 
La trattativa non è ancora decollata e siamo fermi alle schermaglie iniziali: i lavoratori hanno diritto ad un rinnovo contrattuale vero, che consenta un recupero del potere d’acquisto e la soluzione dei molti problemi aperti nel settore, dal presidio dell’area contrattuale, alla difesa dell’occupazione, dallo sblocco dei percorsi, alla ripresa di controllo sull’orario effettivo.
Non sarebbe tollerabile un rinnovo dettato ancora una volta dall’ABI, come quello precedente; il negoziato deve affrontare, senza rinvii,  i problemi dei lavoratori e dare risposta alle loro esigenze. Il rischio che abbiamo di fronte è invece chiaro: dover constatare che la piattaforma dei firmatari era un semplice specchietto per allodole da esibire nella passerella delle assemblee, anziché uno strumento per riconquistare il terreno perduto.
 
Per sventare soluzioni al ribasso e difendere i loro interessi, i lavoratori  devono prepararsi ad affrontare una fase conflittuale a sostegno delle proprie rivendicazioni, supportata da  una consultazione assembleare  che spieghi a tutti la portata della posta in gioco.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Credito e Assicurazioni

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