INSIEME CONTRO IL BARATRO – NUMERO 2 – IL PARTO PODALICO DEL NUOVO MODELLO DI FILIALE
Questa volta scriviamo noi per fare il punto sul nuovo modello di servizio.
Prossimamente riprenderemo con la pubblicazione dei vostri contributi, quindi continuate a seguirci e scriverci quello che accade nei vostri punti operativi.
Chi non sembra stancarsi di scrivere sono i clienti: sulla rubrica Specchio dei Tempi de La Stampa sono apparse quattro lettere in due settimane di clienti che criticano pesantemente le modalità di servizio allo sportello.
Decisamente un notevole livello di gradimento per il nuovo modello di filiale!
Intesa Sanpaolo ha fatto partire lo scorso 19 gennaio l’ennesima rivoluzione organizzativa. Il nuovo modello di servizio ha avuto un impatto molto pesante sull’intera struttura e conseguenze molto serie sulla vita lavorativa dei colleghi. Dire che è stato fatto con i piedi è un mero eufemismo…
Sebbene sia presto per esprimere giudizi definitivi, vanno almeno segnalati gli errori più evidenti e macroscopici di un progetto elaborato a tavolino da società di consulenza che non hanno la benché minima esperienza diretta nella gestione della clientela e sono totalmente indifferenti, sia alle sorti dell’utenza, che alle vicende dei lavoratori.
Il modello ha fatto a pezzi la rete, tagliandola in tre segmenti, denominati territori: retail, personal, imprese. Fisicamente le filiali personal continuano in genere a convivere a fianco o sopra le filiali retail e tutti (personal e imprese) ne utilizzano, come prima, i servizi transazionali. Le filiali imprese sono state ridimensionate nel numero e le filiali personal includono distaccamenti decentrati (spesso di un solo gestore). Il caos organizzativo che ne è seguito è rilevante e sarà riassorbito solo con tempo e fatica. Le filiali retail hanno un serio problema di conto economico, perché il loro perimetro include la clientela meno redditizia, e la loro attività è fortemente dispersiva. Intanto, come recita il bilancio 2014, nell’anno sono state chiuse 270 filiali.
Però già si sa (ma non si ha il coraggio di dirlo) che 650 filiali chiuderanno entro al fine del 2016 e quindi il cantiere è aperto e l’assetto precario: la rete sarà ulteriormente ridimensionata. In questo marasma impressionante l’azienda ha ritenuto necessario implementare il “progetto accoglienza”, proseguire l’inarrestabile chiusura delle casse e modificare varie volte orari di lavoro e di sportello.
Il disorientamento della clientela è al massimo grado, così come le difficoltà di adattamento ai canali remoti che vivono le fasce più anziane (e più preziose) dei risparmiatori. Tuttavia la logica del piano industriale 2014-2017 spinge a chiedere l’impossibile, a prescindere dallo stato disastroso in cui si muove l’economia del paese e dalle condizioni allarmanti in cui opera quotidianamente la rete.
L’azienda ha esaltato le nuove opportunità che vengono offerte ai 1000 nuovi direttori, ma è evidente a tutti che in realtà si tratta di un grande demansionamento di massa che di fatto sbriciola gli accordi sugli inquadramenti e compromette quello che resta dei vecchi percorsi professionali. Restano fortissime incognite su come funzionerà effettivamente la macchina organizzativa, la turnazione, la copertura degli orari flexi, la collaborazione tra “territori” e tra filiali, il mantenimento dello “spirito di gruppo”.
L’azienda ha il coraggio di sostenere in sede ufficiale un “aumento del grado di soddisfazione delle persone del Gruppo, cresciuto di 23 punti percentuali rispetto al 2013” (pag. 8 del consuntivo risultati dell’esercizio 2014), mentre invece nei posti di lavoro si vive tutto un altro film:
– la perdita di ruolo, professionalità ed identità da parte dei gestori Small Business, che si trovano a gestire un numero di clienti più elevato (a volte raddoppiato!), in condizioni più difficili (sia in termini di condizione lavorativa, che di obiettivi commerciali);
– la perdita di ruolo, professionalità ed identità da parte dei Direttori attuali, messi di fronte alla prospettiva di una dequalificazione oggettiva, a capo di agenzie ridimensionate, o di un cambio mansione, ovvero di un vero e proprio demansionamento;
– la perdita di flessibilità operativa da parte delle filiali Personal, dove l’organizzazione dei turni (filiali flexi) o la sostituzione per ferie/malattia/corsi, è diventato un problema ancora più serio di prima;
– i carichi di lavoro delle filiali retail, soprattutto quelle flexi, dove si continuerà a scaricare il transazionale di tutti, ma che saranno investite da richieste di risultati commerciali strabilianti, particolarmente centrati sui clienti “Banca 5”, che resta una scommessa ancora virtuale (nonostante l’aumento sbandierato dei ricavi, pari a 12 euro pro-capite per cliente).
In generale il processo che si sta mettendo in modo apre un problema molto serio e pericoloso: la “divisionalizzazione” spinta della banca. L’azienda divide Retail, Personal e Imprese, come ha già fatto per le divisioni Private Banking e Banca Prossima. La giustificazione ufficiale è quella di volersi concentrare sui singoli “Business” per renderli più profittevoli, o almeno averne una rendicontazione economica puntuale e distinta. E’ evidente che in questo modo si mina in modo determinante uno dei punti di maggiore stabilità dell’azienda in questi anni turbolenti: la diversificazione e la suddivisione del rischio.
Di fronte all’andamento ciclico dei vari segmenti, la compensazione dei risultati dentro il bilancio complessivo aveva consentito negli anni una certa tenuta e stabilità degli assetti, occupazionali e patrimoniali, in grado di fornire sicurezze non da poco.
Adesso le cose rischiano di cambiare in senso opposto: un segmento che va male potrà essere tagliato per scelte contingenti; un’attività redditizia, al contrario, potrà essere venduta per fare cassa e soddisfare esigenze momentanee di liquidità. Si perde di vista la visione strategica, in cambio di una focalizzazione esasperata sui risultati di breve.
Tutto il processo viene inserito in una cornice gestionale di riduzione dei costi, per cui delimitare e ridimensionare le filiali ha lo scopo essenziale di ridurre i livelli degli inquadramenti, attuali e soprattutto futuri, in attesa che il CCNL in discussione possa “capitalizzare” a pieno i processi di demansionamento già attuati per via di fatto. E’ l’azienda oggi a “praticare l’obiettivo” facendo carta straccia di regole e accordi.
Si tratta quindi di affrontare di petto le questioni più rilevanti della riorganizzazione, sul piano contrattuale e sindacale. Mappare le ricadute sugli inquadramenti, pretendere livelli adeguati di formazione, rafforzamento degli organici, gestione dei trasferimenti, monitoraggio sui demansionamenti, rispetto delle condizioni di sicurezza, contrattazione dei turni e degli orari di lavoro, ripristino delle indennità retributive e via dicendo, per riprendere in mano un effettivo controllo sull’organizzazione del lavoro che l’azienda vorrebbe ridisegnare in modo unilaterale.
Non è un caso che ora venga annunciato un nuovo sistema incentivante, che premierà, tra le altre cose, soprattutto il “metodo commerciale”: è ripetuto due volte, nella comunicazione di Barrese sull’Intranet del 17 febbraio, non sarà un caso. Non è un caso per due motivi: uno degli aspetti evidenti e ricorrenti del nuovo modello di filiale è l’ulteriore aumento delle pressioni commerciali. Inoltre indiscrezioni giornalistiche dicono che proprio Intesa Sanpaolo preme, nella trattativa per il contratto nazionale, per non riconoscere il recupero salariale dell’inflazione.
Mettendo insieme i due aspetti è chiaro che la controparte vuole ampi spazi discrezionali sulla retribuzione: le questioni aperte con il CCNL e i processi di riorganizzazione aziendale camminano insieme con un puntuale sincronismo, fermare le aziende su entrambi i terreni diventa un’esigenza non più rinviabile.
Ed allora, in presenza di risultati di bilancio brillanti con distribuzione di ricchi utili agli azionisti, perchè non rivendicare una congrua elargizione di Vap in moneta sonante, a prescindere dagli esiti dei giochi sui derivati del Lecoip che arriveranno tra tre anni? Contrattare la retribuzione per tutti è l’unico modo per contrastare la discrezionalità aziendale.
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