images2Questa ci pare la sintesi di una vicenda durata un anno e mezzo, con due scioperi di categoria (non accadeva da 12 anni) e azioni di denuncia all’opinione pubblica (che hanno dato molto fastidio ai banchieri), due proroghe della scadenza contrattuale, un finale thriller, con rottura delle trattative, ripresa quasi immediata, volata finale alle 5 del mattino del 1 aprile…

I  toni  entusiastici  dei  vertici  dei  sindacati  firmatari  (tornati  ad  un  unico  tavolo, compresa l’ex ribelle Falcri) non lasciano dubbi: difesa l’area contrattuale, tutelata vecchia e nuova occupazione, migliorata la condizione dei neoassunti, ottenuto un aumento di 85 Euro a regime.

E’ davvero così? Le sette paginette e quattro righe in cui si condensa questo rinnovo contrattuale (di cui due pagine di retorica inconcludente sullo stato dell’economia italiana) cominciano già a suggerire qualche dubbio.

 

Area Contrattuale

E’ indubbiamente stata difesa dagli attacchi della controparte e nessuno può svilire l’importanza di questo risultato. D’altra parte, è anche vero che nessun miglioramento  presente  nella  piattaforma  dei  sindacati  firmatari  è  stato ottenuto.

Il mantenimento del contratto del credito in caso di cessione è una tutela fondamentale, ma resta il nodo del controllo societario (come richiesto nella nostra piattaforma) o perlomeno di un rafforzamento della nozione di controllo societario (come richiesto nella piattaforma dei sindacati firmatari) per far cessare lo stato di incertezza e precarietà in cui vivono le migliaia di lavoratori ceduti a società dove la banca  mantiene  una  quota  di  minoranza  (si  pensi  alle  Newco  di  Unicredit)  o nemmeno quella (Fruendo di Mps).

Processi che, come noto, vengono “guidati” da quelle costosissime e utilmente dannose società di consulenza di matrice anglosassone che poi addirittura, ad esempio nell’ultimo caso citato, diventano azioniste di riferimento delle nuove società. Bella quindi l’idea, nella piattaforma dei sindacati firmatari, di introdurre informative sulle società di consulenze alla stregua degli appalti. Peccato che non sia stata neppure discussa!

 

Occupazione e Jobs Act

Questo tema ruota intorno al Fondo per l’Occupazione (FOC) e su questo va chiarito preliminarmente un punto: il FOC è pagato da noi, visto che è finanziato per il 90% attraverso la giornata di ex festività o banca ore sottratta obbligatoriamente ai lavoratori e per il restante 10% dal contributo volontario dei top manager pari ad un 4% dei loro emolumenti.

Il FOC è stato istituito con il rinnovo contrattuale del 2012 per favorire la creazione di nuova occupazione stabile nel settore “incentivando” le banche ad assumere a tempo indeterminato. Ricorderete, nelle assemblee, le promesse dei sindacati firmatari sulle previste 30.000 nuove assunzioni…

In realtà è servito sostanzialmente per rendere più economica la conferma degli apprendisti. Ora il Fondo viene prorogato sino al 31 dicembre 2018 allargando il suo campo d’azione per favorire la rioccupazione di lavoratori licenziati nel settore, la solidarietà espansiva, la riconversione e riqualificazione professionale, l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.

Sono circa 1.200.000 giornate lavorative aggiuntive che la categoria mette sul piatto per ridurre il costo del lavoro.

In caso di nuove assunzioni le aziende valuteranno prioritariamente le posizioni di chi si trova nella sezione emergenziale del Fondo di Solidarietà. Ovviamente non c’è nessun obbligo, ogni banca valuterà se gli conviene assumere un lavoratore già formato (con relativo contributo pagato da noi come lavoratori) o un giovane con il contratto  a  tutele  crescenti  (in  realtà  inesistenti)  con  relativo  contributo  pagato sempre da noi (come cittadini).

E incredibilmente sarà sempre il FOC (cioè noi) a pagare agli attuali apprendisti il parziale recupero salariale (oltre 200€ lordi) rispetto alle tabelle contrattuali (dal -18% al -10%).

E’ comunque ovvio che l’incremento del “salario di ingresso” per i futuri assunti, sprofondato negli anni a livelli imbarazzanti, è una delle poche buone notizie che ci riserva questo rinnovo contrattuale.

Rispetto al jobs act l’accordo di rinnovo prevede che la continuità con le vecchie tutele sia prevista per le cessioni volontarie ed individuali di contratto, per il passaggio in nuove aziende (NewCo) e per le cessioni di ramo d’azienda (questo ultimo caso, peraltro, previsto dalla stessa legge).

Il punto che conferma il mantenimento di ciò che resta dell’art.18 a chi è in servizio al 7 marzo 2015 dovrebbe garantire che anche gli attuali apprendisti avranno questa tutela (non prevista dal jobs act): ci mancherebbe, visto che la loro stabilizzazione è pagata dal FOC…

 

Aumenti contrattuali

Tralasciamo di ricordare la richiesta di 175 Euro di aumenti medi nella piattaforma dei sindacati firmatari: eravamo talmente consapevoli delle difficoltà “di fase” che nelle nostra  piattaforma,  realisticamente,  avevamo  proposto  un  aumento  di  100  Euro uguale per tutti.

Ciò nonostante il risultato ottenuto è veramente sotto ogni limite di accettabilità. La progressiva riduzione e dilazione della prima tranche (25 euro lordi a partire da ottobre 2016!!!) è la conferma più lampante di un “aumento”, ancora una volta, totalmente fittizio in quanto  autofinanziato dai lavoratori stessi con la riduzione della base di calcolo del TFR (vengono considerate le sole voci di paga base, scatti e importo ex ristrutturazione tabellare) che si ripercuote anche (con un’interpretazione estensiva delle aziende) sulla base di calcolo della previdenza integrativa.

Certo nel contratto precedente era andata anche peggio, ma la beffa rimane, con l’aggiunta che il contratto viene prolungato di un anno e mezzo fino al 31 dicembre 2018.

 

Inquadramenti

Su questo punto l’assalto dell’Abi, per ora, non è passato, ma la partita rischia solo di essere rinviata al “Cantiere di lavoro” che dovrà occuparsene nella prospettiva già del successivo rinnovo contrattuale. Ci chiediamo se verranno poste al vaglio dei lavoratori le posizioni sindacali per conferire loro un mandato preciso, ma temiamo di immaginare già la risposta.

Oltretutto la previsione che è stata introdotta di possibili contrattazioni sul tema a livello aziendale potrebbe riservare brutte sorprese.

La fungibilità all’interno della categoria dei quadri permane. Vero che l’Abi avrebbe voluto estenderla ancora di più, ma questo non rende meno grave la cosa.

Ricordiamo che nella nostra piattaforma avevamo chiesto la reintroduzione degli automatismi (tema che fa venire l’orticaria alla controparte) che però è del tutto coerente con il concetto di fungibilità che esiste da tempo nelle Aree Professionali, dove le declaratorie dei livelli non sono ben definite.

 

Un’altra piattaforma cestinata

La soddisfazione delle segreterie sindacali per l’accordo siglato si accentua quando fanno l’elenco delle richieste dell’Abi che sono state respinte.

Noi  che  continuiamo  a  pensare  che  le  trattative  non  debbano  essere necessariamente in perdita, preferiamo ricordare cosa è stato lasciato per strada, senza nemmeno mai essere realmente messo in discussione, rispetto alla piattaforma approvata dai lavoratori e, soprattutto, rispetto alle difficoltà della realtà lavorativa quotidiana.

Il nuovo modello di banca: i sindacati firmatari ci avevano puntato forte (almeno nella propaganda assembleare); resterà in vigore quello amato da banchieri, faccendieri, poteri forti.

Le pressioni commerciali: non c’è assolutamente nulla, non ritenendo di dover neppure commentare le quattro frasi di maniera contenute nell’ipotesi di accordo, che sono la classica aria fritta per coprire il misfatto.

Anzi, l’ulteriore declino del salario reale contrattato, unito alla piena discrezionalità aziendale su percorsi professionali, inquadramenti e formazione, lasciano aperte le praterie alle banche per continuare imperterrite con le consuete pratiche.

I sistemi incentivanti: anche qui, in assenza di reali aumenti contrattuali e di interventi forti sulle politiche commerciali, nulla cambia.

Gli   orari:   sebbene   la   piattaforma   delle   altre   sigle   non   prevedesse   nulla sull’argomento, nella nostra si tornava a ragionare sul terreno della riduzione dell’orario di lavoro e soprattutto sulla necessità di rimettere mano all’eccesso di flessibilità concesse in materia di orari di sportello, flessibilità che le aziende hanno mostrato di saper gestire in modo disastroso per i lavoratori e senza benefici per l’occupazione.

Oltretutto, nel precedente contratto, nella fretta di concedere mani libere alla aziende sugli orari, i sindacati firmatari si sono dimenticati di tutelare il diritto di assemblea che, laddove sono stati introdotti gli orari estesi, è fortemente penalizzato.

Se, quindi, i propositi dell’Abi di spianare il contratto del credito sono stati respinti, nessuno   dei   principali   problemi   della   categoria   è   stato   per   lo   meno parzialmente risolto (fatto salvo, lo abbiamo detto, la riduzione del gap salariale dei neoassunti).

 

La cornice contrattuale nazionale rimane (ed  è  ovviamente  un bene preziosissimo)  ma  è  quella  debole  e  manomessa  da  anni  di  sconfitte  ed arretramenti, quella che ha accompagnato sin qui il costante peggioramento delle condizioni salariali e normative della categoria, quella che consentirà alle banche  quattro  anni  di  contrattazioni aziendali (sino  al  ‘19…)  partendo da rapporti di forza immutati.

Nessuno nasconde che il contesto era ed è difficile, con livelli di disoccupazione insostenibili, un mercato del lavoro devastato ed un governo pregiudizialmente ostile ai lavoratori.

E tuttavia non si sfugge all’impressione che ancora una volta un’occasione sia stata persa e che molte carte potessero essere ancora giocate visto il contesto di sostanziale unità sindacale, il forte e non scontato successo delle mobilitazioni, il discredito dei banchieri mai forte come in questo periodo.

Si è preferita invece la solita partita di scacchi giocata ai vertici e si è deciso per lo stallo.

A questo punto la parola passa alle lavoratrici ed ai lavoratori. Noi pensiamo che questo accordo vada bocciato perché, come detto, vi erano le condizioni per continuare la mobilitazione e raggiungere qualche risultato sostanziale.

In gioco non c’è solo il modello di banca, ma anche il modello di sindacato. Sta ai lavoratori decidere se continuare sulla strada di un ritorno affannoso a politiche di concertazione e collaborazione con i banchieri o tentare la strada, certo difficile e piena di difficoltà, di una linea di contrasto reale alle politiche che da quasi trent’anni stanno portando ad una progressiva svalorizzazione del nostro lavoro.

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