UNICREDIT – DAL CONTRATTO NAZIONALE ALLE EMERGENZE DI GRUPPO
“Ma quanto siamo bravi, ma quanto siamo forti”. I Sindacati firmatari, come si può leggere sulla stampa nazionale di questi giorni, si autocelebrano per il grande lavoro svolto in occasione del rinnovo del contratto di categoria ed invitano i lavoratori – ci sembrerebbe strano il contrario – ad approvare la piattaforma in votazione nelle prossime assemblee.
Tra i sindacalisti c’è chi addirittura si lascia andare a dichiarazioni entusiastiche tali da affermare di aver costretto i banchieri in un angolo e di aver messo in rotta l’ABI, obbligandola alla ritirata.
Cosa in realtà i banchieri abbiano ceduto non è dato a sapere, visto che nulla di quanto sbandierato con la piattaforma proposta dai sindacati firmatari è stato ottenuto. Quindi, più che di una grande vittoria, pensiamo si debba parlare di un pessimo pareggio, uno squallido zero a zero. E giocando pure male.
Avevamo un seguito tra i lavoratori (ed i due scioperi riuscitissimi sono lì a dimostrarlo!) e la vetrina di Expo ci avrebbe permesso di avere maggiore visibilità. Ed invece si è optato per mantenere il (pessimo) contratto del 2012.
Ma al di là del deludente rinnovo contrattuale, il peggio deve ancora venire.
Già, perché all’orizzonte si prospettano nuove fusioni e ristrutturazioni, il che si tradurrà in nuovi inevitabili esuberi. Con una certezza in più e, manco a dirlo, a favore dell’ABI: un CCNL che offre un quadro chiaro e vantaggioso alle banche fino al 2018.
E nel frattempo gli istituti di credito non stanno certo con le mani in mano. Prendiamo per esempio Unicredit e le nuove metodologie di lavoro (Smart working e Teleworking). Avevamo già più volte ribadito che l’assenza di un accordo sindacale avrebbe favorito l’Azienda e penalizzato i lavoratori. E l’Azienda non perde certo occasione per alzare l’asticella delle proprie richieste.
Abbiamo saputo infatti che, a decorrere dai prossimi nuovi dodici avvii di attività in telelavoro, sarà chiesto ai colleghi di avere in dotazione una linea ADSL privata presso l’abitazione da cui opereranno. A fronte dell’utilizzo di detta ADSL privata si darà corso al rimborso forfettario di 20 euro mensili. Per chi è già in telelavoro si passerà alla nuova modalità al momento del rinnovo del contratto.
Al di là della questione economica (che potrebbe in realtà anche favorire i lavoratori), ciò che ci lascia perplessi è sapere che Unicredit paga per le proprie linee dati costi che sono al di sopra del valore di mercato. Dove sono i tanto sbandierati risparmi che si dovevano realizzare con il passaggio alla rete Fastweb? Sono questi i risparmi ottenuti con l’esternalizzazione dei colleghi e dei servizi in VTS ed AT&T?
Ma cosa ancora più grave è che, dopo aver eliminato i buoni pasto per Smart Worker e
Teleworker, si impone un nuovo servizio a carico dei lavoratori.
Il prossimo passo? E’ probabile che si chiederà ai lavoratori di utilizzare un PC personale. Ormai quale famiglia non ha un pc in casa? E se non ce l’hai (come per l’ADSL) te lo compri….
Questo a riprova che Smart working e Teleworking non sono nuove modalità di gestione del lavoro ma dei “benefit” che l’Azienda concede a propria discrezione ai lavoratori.
E mentre ai lavoratori si chiede di cedere sempre qualche pezzo (di diritti e salario) c’è chi, come Federico Ghizzoni, CEO di Unicredit, si aumenta il compenso del 30% e pensa di investire – ancora – i nostri soldi in nuove operazioni di acquisizioni nell’Est Europa. Speriamo non facciano la fine dei due miliardi di euro sperperati in Kazakistan.
Quello di Ghizzoni è un sostanzioso aumento che lo porta ad essere il banchiere più pagato in Italia (staccando di quasi 1 milione di euro il numero uno di Banca Intesa) .
Forse è per questo che nelle Agenzie è stato lanciato un nuovo servizio a pagamento che noi potremmo definire “un obolo per Ghizzoni”: convincere i clienti a farsi rilasciare la “carta d’identità del patrimonio immobiliare”. Al solo costo di 10€ e partendo dai dati catastali (senza quindi visionare l’immobile) viene rilasciata una valutazione dei propri immobili e terreni. Peccato che non scrivano che è una valutazione indicativa, con un valore medio per la vendita, ma bensì una valutazione di mercato (cosa che fra l’altro le Agenzie Immobiliari fanno gratuitamente). Complimenti a chi ha pensato questa politica commerciale. Ed a tale proposito c’è da chiedersi se le banche sono autorizzate a svolgere tale servizio.
Comunque quello che ci chiediamo è se , partendo dal principio di equità distributiva sancito nel CCNL in via di approvazione, ciò significherà un analogo aumento per tutti i lavoratori del Gruppo. Noi ne dubitiamo. Il passato insegna.
In realtà noi ci accontenteremmo che si ponesse fine alla politica di esternalizzazioni selvagge, un concreto impegno del Gruppo contro lo stress lavoro correlato, un maggior investimento su formazione e crescita professionale dei lavoratori e garantire quella mobilità infragruppo sempre decantata negli accordi sindacali e poco – per non dire mai – applicata.
Ma per poter dar corso a tutto ciò occorrerebbe una classe sindacale meno propensa a sottoscrivere accordi a tutela dei loro dirigenti e più attiva a tutelare i diritti dei lavoratori.
A questo proposito, ricordate quella pessima pagina di vita sindacale nel Gruppo di cui si era occupato persino Il Fatto quotidiano? Nel 2012 il quotidiano pubblicava, con tanto di nomi e cognomi, l’elenco dei sindacalisti Fabi, Sinfub e Uilca “risparmiati” dall’accordo sui pensionamenti “volontari”, che poi tanto volontari non erano. Le sigle sindacali avevano firmato un accordo che mandava a casa 600 bancari anziani e costosi con il sistema del prepensionamento. A casa senza il loro consenso ma, come detto, con la benedizione di tutte le organizzazioni sindacali (ad esclusione delle RSA FISAC del Lazio: né quella di UBIS, né quella di UNICREDIT – RETE hanno firmato l’accordo del novembre 2012, nonostante fossero le uniche titolate a farlo, come prevede la Legge 223, perché solo nel Lazio c’erano 5 o più persone licenziate).
Ebbene in pochi mesi già 2 dei lavoratori ricorrenti in giudizio contro Unicredit hanno vinto la causa di licenziamento per palese discriminazione (ovvero non vi erano i requisiti di obiettività e razionalità nella scelta dei lavoratori da “cessare”).
I lavoratori insomma non erano “tutti uguali” e nella scelta di chi mandare a casa
Unicredit ha adottato una buona dose di discrezionalità scegliendo appunto chi salvare. Per chi ogni giorno lavora nel Gruppo Unicredit c’è di che essere preoccupati….
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