filialebaIl nuovo modello partito in ISP nello scorso gennaio ha aperto scenari devastanti per tutte le realtà della rete. Bisognerà provare ad esaminare analiticamente tutti i problemi aperti nel contesto lavorativo di ogni figura professionale: il cassiere delle filiali estese/hub/tradizionali, il gestore Banca5, il gestore retail, il gestore small business, il gestore e gli addetti delle filiali imprese.

Cominciamo dal consulente personal, che in apparenza sembrava dover affrontare un  cambiamento minimo rispetto alla condizione di partenza: permanenza della clientela pregressa, stabilità fisica nella precedente sede, supposta continuità di mansioni.

La realtà si è dimostrata piuttosto diversa dalle aspettative.

In primo luogo la partenza è avvenuta nella più totale improvvisazione: nessuna istruzione specifica, rotazione selvaggia dei responsabili, nomina dei direttori con sostituzione generalizzata, spostamenti di consulenti comunicati all’ultimo minuto, passaggio di consegne inesistente, scoperta quasi casuale di una “guida al cambiamento” per la filiale personal.

In secondo luogo si sono scoperti i “buchi” tecnici nell’operatività standard:  difficile  e  laborioso  consultare  i  rapporti  rimasti  nella  filiale retail; vietato fare operazioni di cassa anche sporadiche e detenere valori dalla richiesta molto frequente come carnet assegni o carte; impossibile spedire la posta tramite vetturabile, o richiedere la modulistica necessaria in autonomia;   impraticabile la consultazione dei precedenti archivi di pratiche di successione, o il richiamo della memoria nelle proposte di pricing e via dicendo, in innumerevoli procedure diventate ormai inaccessibili.

In terzo luogo è stato necessario cominciare a duplicare tutto: la gestione degli assegni, la sistemazione delle partite varie, dei non contabilizzati, delle pensioni, degli storni, le quadrature dei titoli, l’archiviazione delle pratiche, i controlli, le spedizioni delle polizze e tutto quello che caratterizza l’esistenza quotidiana di una filiale ordinaria.

In quarto luogo si è dovuto cominciare a fare dei lavori di cui non si ha alcuna esperienza: i prestiti, i mutui, le pratiche di fido, la prenotazione delle carte con procedura PEF, le rinegoziazioni, la fornitura di tutti quei servizi che erano e sono tradizionalmente di competenza del retail. Il ritmo impressionante che ha assunto il fenomeno della rinegoziazione/surroga dei mutui ha poi finito per mandare in tilt anche le strutture centrali che, molto teoricamente, dovrebbero supportare le filiale prive di autonomia procedurale. Anche le risorse dedicate a questo compito si sono spesso rivelate improvvisate, inadeguate e impreparate ad un compito così delicato, in cui contano precisione e tempestività per presidiare i clienti e intercettare opportunità di mercato, in un contesto altamente competitivo.

Tutto questo è avvenuto e avviene senza la minima base di formazione e affiancamento, senza avere nessuno che possegga le competenze da trasmettere internamente agli altri per “osmosi”, senza alcuna pianificazione della necessaria attività formativa di specializzazione.

In quinto luogo si è dovuto fare fronte ad un’impennata senza precedenti dei volumi richiesti nei collocamenti mensili, con monitoraggi costanti, settimanali, giornalieri, orari. Da gennaio a marzo abbiamo visto decollare il budget assegnato da 100 a 130 e poi 150. Questa percentuale si è stabilizzata anche per aprile al massimo livello richiesto. Se nel corso del

2014 ogni gestore personal si trovava a dover collocare prodotti ad alto

valore aggiunto per un totale di 500-700.000 euro al mese (a seconda della consistenza del proprio portafoglio), dal 2015 è subito partito con una base minima richiesta di 1.000.000 di euro e poi è arrivato, al punto massimo,   attorno al milione e mezzo al mese. Per i portafogli più consistenti, quelli che superano i 70-80 milioni di euro, viene richiesta una redditività aggiuntiva di circa 25.000 euro al mese, una cifra pari a quella richieste ai consulenti del Private Banking (che però hanno portafogli standard da 120-130 milioni di euro!). Solo a partire da giugno abbiamo registrato un parziale dietro-front, destinato certamente a durare poco…

Questo budget “sfidantissimo”, come è stato definito correttamente da uno dei  più  lucidi  capi  Area  Personal,  viene  dato  per  scontato  ormai  ogni mese, ed anzi ad esso si aggiunge la richiesta di lavorare a tutto campo anche sugli altri prodotti per fare sviluppo: carte, polizze casa, polizze auto, prestiti personali, mutui, offerta a distanza.

Lo stress che ne consegue è di dimensioni impressionanti: la proiezione totale sulla parte commerciale della prestazione lavorativa finisce per fare trascurare quasi completamente la cura degli aspetti amministrativi, la regolarizzazione  formale  dei  documenti,  la  trasmissione  di  quelli  che vanno spediti e la gestione di quelli che vanno archiviati.

Le filiali si trasformano in magazzini stipati di documenti in sospeso che nessuno ha più il tempo di ordinare e seguire.

I rischi di smarrimento o di irregolarità salgono a livelli estremamente preoccupanti, tanto più elevati quanto più la situazione di mercato dovesse cambiare di direzione, come in effetti riscontriamo ora con la Grecia sempre più vicina al default. La stessa percezione del rischio di mercato era diventata flebile, in una situazione di crescita quasi ininterrotta e prolungata, come quella del primo trimestre 2015. L’abbassamento dei tassi di inflazione e di interesse che ha portato a rendimenti negativi l’investimento monetario e a rendimenti vicino allo zero per quelli obbligazionari aveva spinto verso la proposizione di soluzioni di investimento molto più rischiose di quanto il risparmiatore ( e magari lo stesso consulente)  possa percepire! Quando i mercati si incaricheranno di farci tornare alla realtà, come in parte sta già avvenendo, ne vedremo delle belle…

Se  la  situazione  descritta  è  quella  generale  e  diffusa,  occorre  rilevare come le cose siano messe ancora peggio in quelle filiali dove ci sono portafogli scoperti, con lunghe assenze del personale in servizio per maternità obbligatoria o anticipata, per lunga degenza, per mancata sostituzione di persone trasferite, per carenza di organico strutturale. Anche l’esperienza dei gestori distaccati e di quelli “itineranti” dimostra la difficoltà di funzionamento di un modello organizzativo così frantumato.

In un contesto del genere è davvero sorprendente constatare come gli obiettivi di budget siano stati raggiunti, almeno per il passato recente,  in modo  regolare,  o  addirittura  in  largo  anticipo  rispetto  al  previsto.

L’impressione è che l’introiezione dei meccanismi, della logica, della filosofia del budget, come valore assoluto e totalitario, sia ormai pienamente avvenuta. Chi ha scelto o è stato scelto per questo lavoro non ne mette in discussione il funzionamento. Semmai ci si sente inadeguati se si è in ritardo o in difficoltà rispetto all’obiettivo da raggiungere. In molti casi si somatizza. Si perde il sonno, il benessere psico-fisico, la stabilità emotiva e, nei casi più patologici, la salute mentale. Ci si sente frustrati e falliti. Ma dato che non ci sono alternative, si deve andare avanti, senza lamentarsi, senza cercare aiuto, senza condividere, senza reagire. Al massimo si chiede al sindacato di intervenire, ma “dall’esterno”, da sopra, senza doversi esporre in prima persona, senza metterci la faccia.

Per quanto siano grandi le difficoltà e le resistenze individuali, dobbiamo provare  a  costruire  una  rete,  un  terreno  di  discussione,  liberare  uno spazio e cintarlo per usarlo come trincea. Dobbiamo iniziare a parlarci e mettere in comune esperienze e difficoltà, perché è l’unico modo per costruire le basi di una difesa collettiva.

Dobbiamo individuare gli strumenti contrattuali e legislativi che possono essere utilizzati come supporto. Adesso che è giunto a conclusione il rinnovo contrattuale, possiamo fare il punto su quello che già esiste e quello che può essere usato di più e meglio.

Innanzitutto il protocollo per lo sviluppo equo e sostenibile, richiamato nell’articolato dell’ipotesi d’accordo. E’ poco più che un richiamo, è vero, ma segnala un problema che riguarda tutto il settore, e non solo poche banche, più scorrette o aggressive delle altre. E’ un chiodo a cui si può attaccare qualche cordicella.

Poi ci sono gli osservatori aziendali come il Comitato Welfare cui è possibile fare pervenire segnalazioni di comportamenti non in linea con l’etica dichiarata. Poi c’è   il Codice Etico e la sezione della Corporate Social Responsibility che redige il Bilancio Sociale. Poi ci sono le contraddizioni tra livelli gerarchici diversi, che si possono sfruttare per riportare a più miti consigli i responsabili più scatenati nelle politiche commerciali aggressive.

Infine c’è il Codice Civile e la distinzione tra doveri verso l’azienda derivanti dal nostro rapporto di lavoro subordinato e l’obbligo di risultato, cui sono tenuti solo i lavoratori autonomi. Tutti, e in particolare i Quadri

Direttivi,  devono  seguire  le  direttive  aziendali  con  diligenza  e obbedienza, ma nessun lavoratore dipendente è tenuto all’obbligo di risultato.

Ribadire   l’esistenza   di   diritti   derivanti   dalla   legge   può   aiutarci   a difenderci, prima di tutto dalla paura e dalle minacce grossolane che spesso vengono espresse nei confronti dei venditori non abbastanza allineati.

Infine c’è la denuncia pubblica, che certo non deve esporre i lavoratori alle ritorsioni aziendali o a provvedimenti sanzionatori disciplinari, ma che può pesare molto sull’immagine di aziende che ci tengono ad essere percepite  dall’opinione  pubblica come  socialmente  ed  eticamente corrette e che non tollerano sbavature su questo terreno. Qui la vera arma è la deterrenza, cioè la minaccia di usare uno strumento che loro temono, per ottenere interventi decisi verso i responsabili dei comportamenti scorretti.

Non è vero quindi che non si può fare nulla: c’è semmai tutta una gamma di strumenti che   si possono usare, magari con la necessaria gradualità, per   non   esasperare   il   clima   di   filiale,   ma   certamente   e   in   modo determinato per ottenere modifiche nei comportamenti lesivi della dignità dei lavoratori. Ne va della nostra salute, della nostra serenità, del nostro benessere: la condizione lavorativa, il clima aziendale e l’ambiente di lavoro  devono  restare  la  sede  dove  l’individuo-lavoratore  realizza  se stesso come essere sociale, senza costrizioni, senza umiliazioni, senza imposizioni degradanti.

Siamo un anello fondamentale nella “creazione di valore”, per l’azienda e per i suoi azionisti: rivendichiamo il diritto di essere qualcosa di più che un terminale commerciale in cui scaricare tutta la mercanzia da vendere in giornata.

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