UNICREDIT – MONDI LONTANISSIMI
Quasi non passa giorno senza che il nostro portale riporti qualche premio prestigioso che abbiamo vinto, come importante riconoscimento del nostro primato fra gli istituti bancari esistenti in Italia, in Europa, nel sistema solare. E quasi non passa giorno senza che qualche zelante “controllore” si inventi nuovi adempimenti, nuovi moduli da compilare, nuove acrobazie da superare per poter svolgere la nostra attività quotidiana.
Probabilmente le due cose sono strettamente connesse: come scritto più o meno ovunque e costantemente ripetuto nelle giornate a ciò dedicate (perché in Italia è inconcepibile che un servizio al pubblico non sia disponibile per un’assemblea sindacale, ma per dire alla clientela che facciamo una giornata di riflessione sui nostri valori la banca può chiudere TUTTE le Agenzie) UniCredit ha un sistema di valori e di regole e lo applica in modo inflessibile e preciso. C’è anche un termine per questo, naturalmente in inglese, ed è “compliance”, ovvero “conformità”. Ha altre sfumature più sinistre (per esempio “compiacenza” o “condiscendenza”) ma non addentriamoci troppo. Il cielo è già pieno di gufi.
Purtroppo quasi non passa giorno ultimamente senza che apprendiamo dai giornali i nuovi exploits realizzati da alcuni nostri dirigenti, tanto disinvolti nell’uso degli SMS, e, a giudicare dai dialoghi riportati dai media in cui emerge una creatività veramente inusuale, la cosa persisterà abbastanza a lungo, inquadrandosi peraltro in un generale clima di malaffare che non ha risparmiato probabilmente nessuna banca italiana, a parte forse qualche cassa rurale (noi però anche in questo ci distinguiamo).
Potremmo liquidare la cosa con la solita alzata di spalle ma non va bene. Non va proprio bene. Non va bene che si debba subire un martellamento ossessivo e quotidiano sulla famigerata compliance per poi scoprire dai giornali cosa succede ai piani alti, dove sembra che le regole non esistano. Non rileva che si stia indagando, non ci sia nulla di definitivo, né nessuno sia ancora condannato o siano cadute teste: i fatti citati sono troppo precisi perché qualcuno se li sia inventati di sana pianta e indipendentemente da ciò che verrà fatto (probabilmente niente) sono di una gravità notevole.
Come si relaziona tutto ciò col nostro sistema di valori reale o presunto? Mondi lontanissimi, appunto.
Qualcuno proverà a tirar fuori la ben nota teoria della “mela marcia” in un’organizzazione che di per sé funziona meravigliosamente bene. Ciascuno di noi si guardi intorno e veda se ritiene che sia questo il caso. Considerando, come già detto anche in precedenza, che in questo momento storico, soprattutto nel settore bancario, ci troviamo ad avere a che fare con una classe dirigente abbastanza impresentabile: sono questi gli incontentabili padroni per cui i risultati commerciali non sono mai sufficienti, sono queste le persone che si aumentano i bonus vada come vada, e poi arrivano alle trattative per il VAP con una richiesta di riduzione dei premi “perché c’è la crisi”. E dall’altra parte trovano interlocutori disponibili, spaventati, contenti di portare a casa qualcosa, qualsiasi cosa.
Ne vogliamo una riprova? Nella busta paga di ottobre c’è una voce in detrazione (importo TFR ex CCNL) che riguarda il TFR e ha a che fare con l’applicazione dell’ultimo contratto. Ad essa corrisponde un’altra voce negativa se non si è aderito al fondo pensione, o un minore accantonamento allo stesso se si è aderito.
La “grande vittoria” che, grazie ai nostri scioperi, i sindacati firmatari sono riusciti a strappare al terribile e determinato nemico (80 euro di aumento diluiti in quattro anni e mezzo), così almeno è stato scritto nei volantini e detto nelle assemblee, ha solo un piccolo costo da pagare e riguarda la riduzione della base di calcolo del TFR alle sole voci stipendio, scatti di anzianità e ristrutturazione tabellare. Il resto rimane fuori, e per sapere quale sia il costo effettivo, tra l’altro diversissimo da persona a persona, basta prendere l’entità della suddetta detrazione che compare nella busta di ottobre e dividerla per 13,5: questa è la somma che per effetto del contratto non viene accantonata al TFR, sono soldi effettivamente persi, e quella cifra riguarda solo i primi sei mesi dell’anno.
Non dobbiamo rassegnarci con fatalismo a tollerare cose intollerabili e a pagare col nostro lavoro lussi ed errori di altri. Abbiamo ancora molto da perdere e finché non prenderemo consapevolezza del nostro ruolo sociale e della nostra dignità professionale continueremo a perderlo sempre più in fretta. Da pressioni commerciali e abusi ci si può difendere: segnalateci i comportamenti inadeguati. E quando finalmente le trattative sulla retribuzione non saranno a senso unico forse riusciremo anche a difendere il nostro potere d’acquisto. I lavoratori devono cominciare a preoccuparsi seriamente dei propri interessi… perchè altri i loro li sanno fare fin troppo bene.
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