CONTRATTO DI II LIVELLO AL MONTE DEI PASCHI: SE NON ORA, QUANDO?
Pochi giorni solari alla fine dell’anno. Altrettanti alla scadenza dell’accordo separato del 19.12.2012, che in questi tre anni ha fatto le veci del contratto integrativo che fu. Pullulare di assemblee? Resoconti puntuali, sulla fervida attività dei sindacati trattanti circa le loro proposte?
Niente di tutto ciò sotto il cielo del Monte dei Paschi.
Di proposte si parla, negli stringati comunicati sindacali. Ma sono quelle aziendali. Le si definisce inaccettabili, provocatorie, irricevibili.
A noi lavoratori non è dato conoscerne il contenuto. Magari giusto per confrontare se la nostra personale contrarietà si conforma a quella espressa, a parole, dalle organizzazioni sindacali. Tutto si svolge, come di consueto, sulle nostre teste. Eventi incontrollabili, ultraterreni verrebbe voglia di dire, di cui però sentiremo la dura concretezza, nella fase in cui esplicheranno i loro nefasti effetti.
In una congiuntura come quella attuale, in cui il tasso generale di democrazia sindacale è ai minimi, nel nostro settore, già storicamente caratterizzato dalla sola presenza delle RSA (elette formalmente, nominate sostanzialmente), senza che sia mai stato possibile per i lavoratori esprimere le proprie preferenze con l’elezione delle RSU (perché i sindacati bancari non ne hanno mai recepito la normativa con un accordo quadro), i lavoratori sono completamente estromessi dal processo decisionale di accordi in cui la parte datoriale è unica protagonista di un rapporto che dovrebbe essere dialettico, ed in cui quindi, alle pretese di ridimensionamento dei diritti e di riduzione del costo del lavoro, bisognerebbe frapporre quantomeno un’efficace barriera e, magari, iniziare ad essere parte attiva, con la capacità di mettere all’ordine del giorno proprie proposte.
In un tale contesto, ai lavoratori residua un raggio d’azione limitato per esprimere il proprio dissenso: la revoca dell’iscrizione a sindacati che, in modi e gradi diversi, sono complici di quanto accade. Vediamo perché.
Il rito lo conosciamo già.
Scaduto il termine perverranno sulle nostre caselle di posta elettronica volantini in cui, pur ancora presente l’indignazione (magari mitigata), l’accento sarà stato spostato non più sulla irricevibilità delle proposte aziendali, ma sulla difficoltà del momento, sul contesto difficile, ecc…
La narrazione dei comunicati sindacali prenderà poi una piega mistica: miracolosamente l’accordo è stato raggiunto.
Naturalmente il lavoratore, dotato di intelligenza, nonostante la bassa considerazione che trapela dagli estensori dei comunicati, si farà subito una domanda: ma come è possibile che per un accordo di cui si conosceva la scadenza fin dal principio dei tre anni in cui è entrato in vigore, si sia arrivati agli ultimi giorni, addirittura alle ultime ore, per trovare un’intesa di rinnovo?
Poi sarà il momento in cui le organizzazioni sindacali chiederanno un vero e proprio atto di fede agli iscritti: credeteci, diranno nei loro comunicati non più indignati ma pragmatici, di meglio non si poteva fare. Se non avessimo firmato, le cose sarebbero andate peggio.
Ora per carità, non vogliamo negare che questo possa essere in parte vero. Peccato che l’accettazione di tutto ciò sarà, appunto, frutto di un atto di fede, non potendo di certo provenire da un’analisi critica di documenti, proposte, controproposte, posizioni, ecc…, elementi che al lavoratore sono rimasti sconosciuti.
Al lavoratore rimarrà in particolare sempre misteriosa, la distanza tra le conseguenze negative delle proposte irricevibili di parte aziendale, e le conseguenze negative ma necessarie prodotte dall’intesa raggiunta.
Certo il panorama dei sindacati trattanti è disomogeneo. C’è chi firma subito gli accordi a perdere. C’è chi resiste e poi firma. C’è un tavolo. Un secondo tavolo. C’è chi magari non firma ben sapendo che, sulla base degli accordi che riguardano in generale tutti i lavoratori (come quello del 10 gennaio 2014), sarà sufficiente che a firmare siano le organizzazioni sindacali che rappresentano il 50%+1 degli iscritti (degli iscritti, badate, non dei lavoratori!).
La domanda che dovremmo porci è: ma tutto ciò si riflette in differenze sostanziali?
Se la risposta dovesse essere negativa, al lavoratore, privato di qualsiasi ruolo e caricato di tutte le conseguenze, non rimane che la possibilità di disconoscere la propria appartenenza a tali sindacati, considerando che ormai è la semplice iscrizione a riassumere la sua volontà.
Chi scrive, con l’adesione al SALLCA CUB, l’unico sindacato bancario che non si è reso compartecipe del forte arretramento normativo ed economico degli ultimi due decenni (in particolare con un coerente rigetto degli ultimi vergognosi contratti collettivi), ha voluto far penetrare questa possibilità di dissenso e costruzione di un’alternativa, nell’immobilità storica delle relazioni sindacali che ha connotato il Monte dei Paschi.
Il SALLCA è un’opportunità. Ma la coerenza dimostrata in questi anni, pagata con la negazione dei diritti sindacali, è condizione necessaria ma non sufficiente, ed ha bisogno che ad essa si coniughi la forza e l’intelligenza dei lavoratori, affinché si possa agire efficacemente. Nelle realtà aziendali in cui maggiore è il radicamento, nelle poche occasioni in cui i lavoratori del credito hanno potuto esprimersi liberamente attraverso un voto, Il SALLCA è andato ben al di là della sua rappresentatività in termini di iscritti, riuscendo ad eleggere 2 membri – su 7! – nel CDA del Fondo Pensioni del Gruppo Sanpaolo IMI –, con il 20% di voti (in pratica, rapportando il risultato all’intero settore del credito, il SALLCA potrebbe essere il terzo sindacato per rappresentatività, se avessimo la possibilità di eleggere i nostri rappresentanti…), nonché un membro sia nel CDA che nell’Assemblea dei Delegati del Fondo Sanitario di Intesa San Paolo.
L’invito rivolto ai colleghi è allora quello di prendere l’unica decisione che ci può permettere di opporci al dilagante autoritarismo aziendale e alla passività e/o compartecipazione dei sindacati firmatutto: revocare la propria iscrizione e provare a costruire, anche qui al Monte, una possibile alternativa. Altrimenti non ci resta che attendere che le decisioni aziendali, tramutate in “accordi”, piovano pesantemente sulle nostre teste, attraverso
i consueti comunicati dell’ultima ora, attività in cui sembra ormai riassumersi l’operato di organizzazioni sindacali sempre più subordinate alle aziende e distanti dai lavoratori.
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