STATE STREET, EX BANCA DEPOSITARIA: I LAVORATORI VENDUTI DUE VOLTE
Nel 2010 i lavoratori di Banca Depositaria, un settore di lavoro specialistico di Intesa Sanpaolo, vennero ceduti alla banca statunitense State Street.
Ci furono quattro giorni di sciopero in due settimane (i primi due proclamati dalla Falcri, il terzo da noi della Cub-Sallca, il quarto contestuale ad uno sciopero generale indetto dalla Cgil) e cortei a Milano e Torino (le due sedi coinvolte) con l’azienda in difficoltà anche perché i ritardi accumulati nel calcolo delle quotazioni dei fondi (uno dei lavori in carico a Banca Depositaria), a causa delle agitazioni, avevano prodotto richiami e minacce di sanzioni da parte delle autorità di vigilanza.
Ma in ballo c’era un affare da 1,7 miliardi di Euro (un bel contributo alla “solidità patrimoniale” del Gruppo) e serviva un accordo, che alla fine arrivò, peraltro molto contestato e approvato solo grazie al voto dell’assemblea della sede di Milano, condizionata da interventi poco ortodossi da parte aziendale.
L’accordo, per la prima volta nel suo genere, prevedeva un teorico (come vedremo) diritto a chiedere il rientro nel mese di dicembre 2015, richiesta che l’azienda avrebbe accolto nel primo semestre del 2017.
Perché diritto teorico? L’accordo poneva già alcune clausole al rientro, come la possibilità di demansionamento ed il ripristino delle condizioni retributive dell’epoca (cioè con gli scatti d’anzianità e l’inquadramento che “retrocedono” a quelli in essere nel 2010).
Nonostante questi evidenti elementi di continuità (verrebbero persino tenute in conto le vecchie domande di trasferimento), l’azienda ha dichiarato provocatoriamente che chi volesse rientrare verrebbe trattato come un neoassunto con l’applicazione del Job’s Act (ovvero piena licenziabilità).
E per completare l’opera, siccome nell’accordo non erano stati posti limiti territoriali per il rientro, l’azienda ha affermato che lo stesso potrà avvenire su “tutto il territorio nazionale”.
Tutte queste informazioni sono contenute nello scarno e disarmante volantino con cui i sindacati firmatari (alla cui schiera si è unita la Falcri, che nel 2010 era sulle barricate o faceva finta di esserci) rendevano conto dell’incontro fatto con Intesa Sanpaolo, come previsto dall’accordo. Un incontro in cui nessuna sigla al tavolo ha avuto nulla da obiettare, limitandosi a prendere atto delle gravissime posizioni aziendali, che svuotavano, di fatto, la possibilità di scegliere il rientro.
Un atteggiamento che fa il paio con quello delle stesse sigle, presenti in State Street, che hanno comunicato ai lavoratori che ognuna darà assistenza solo ai propri iscritti per preparare, con l’aiuto dei legali, la lettera per l’eventuale richiesta di rientro. Un evidente e vergognoso tentativo di fare campagna di tesseramento, ancora più indecente visto che, in tutta questa vicenda, le tutele fanno acqua da tutte le parti.
Dobbiamo constatare che il primo gruppo bancario italiano, che si vanta del proprio codice etico e di mettere al primo posto la valorizzazione delle persone, continua ad accanirsi contro un gruppo di lavoratori messo sul mercato cinque anni fa e di cui oggi tenta di ostacolare il rientro (al quale, verosimilmente, potrebbero essere veramente interessati solo alcune decine di colleghi) interpretando l’accordo nel modo più restrittivo possibile. D’altronde parliamo dello stesso Gruppo che nel 2012 non esitò a licenziare i giovani colleghi in apprendistato pur di ottenere quanto richiesto nelle trattative aziendali.
A fronte di questo atteggiamento della controparte, brilla per la totale inadeguatezza il ruolo dei sindacati firmatari, aggettivo quanto mai squalificante visto che l’accordo presentava già delle falle (come detto nella clausola di rientro non erano stati posti limiti territoriali) e che di fronte all’intransigenza aziendale hanno opposto solo un rassegnato ed imbarazzato silenzio.
Siamo costretti a commentare con molta amarezza questa storia, ma, così come dall’inizio, non possiamo che ribadire che, fino alla fine, noi saremo a fianco dei nostri colleghi ora in State Street.
Pur consapevoli che aggressività aziendale e inconsistenza del tavolo sindacale (per non dire altro) hanno fortemente ristretto gli spazi di scelta, faremo tutto il possibile perché la volontà di ogni singolo lavoratore venga rispettata. I nostri legali sono già al lavoro per preparare la lettera per chiedere il rientro, che metteremo a disposizione di tutti i lavoratori che ce ne faranno richiesta.
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