UBIS – VIETARE L’ITALIANO NON FA BENE ALLA FORMAZIONE
Lettera aperta a Gianluigi Robaldo (Relazioni industriali UCI) ed Antonio Beraldi (Relazioni industriali Ubis)
E’ triste ammetterlo ma Unicredit non smetterà mai di stupirci. In negativo ovviamente.
Non risparmia neppure la formazione obbligatoria. Da un lato ribadisce “l’importanza dell’attività formativa in oggetto, in termini di rischi legali, operativi e reputazionali per la nostra azienda” (sono parole dell’Azienda stessa) e dall’altra non rende pienamente fruibili i corsi medesimi.
E’ di questi ultimi giorni la segnalazione ricevuta da alcuni colleghi di UBIS in merito alla fruizione di corsi OBBLIGATORI e disponibili in sola lingua inglese, corsi (con tanto di test finale) distribuiti a pioggia senza neppure preoccuparsi di valutare se i destinatari abbiano una conoscenza della lingua e dei termini tecnici utilizzati tali da poterne beneficiare appieno.
Tutto ciò, oltre ad essere improduttivo, è umiliante e mortificante per le lavoratrici ed i lavoratori che, loro malgrado, non ne possono fruire (cosa che fra l’altro stride con le dichiarazioni aziendali che riferiscono di una riduzione delle ore di formazione linguistica e con l’Art. 2 del Protocollo 28.06.2014 sulle prospettive di rilancio connesse al Piano Strategico 2018). Se a questo poi aggiungiamo il richiamo formale che manager e capi struttura fanno ai lavoratori, la frittata è fatta.
Noi diciamo che un conto è conoscere una lingua straniera, scrivere magari una mail ai colleghi d’oltralpe, altro è sostenere corsi ed esami.
L’atteggiamento di UniCredit è tranchant: l’inglese è utile, internazionale, indispensabile, moderno, in una parola “cool” e quindi tutto quello che si fa in inglese va bene. Poco importa se l’obiettivo che ci si pone di raggiungere sia o meno realizzabile.
Per noi invece ciò è inaccettabile.
E’ quindi palese che UniCredit non crede nell’importanza della formazione e nella crescita professionale dei propri lavoratori (non a caso si investe massicciamente nella consulenza esterna) e non riconosce che le capacità professionali costituiscono un patrimonio fondamentale per i lavoratori e le lavoratrici e per l’efficienza e la competitività del Gruppo.
Per Unicredit, la formazione è solo un abbellimento, una targhetta da inserire in un curriculum o magari un semplice adempimento di legge: la forma è più importante della sostanza. Sbarazziamoci degli equivoci: internazionalizzazione non significa “inglesizzazione”, soprattutto quando si parla di formazione.
Ribadiamo: la formazione è un diritto delle lavoratrici e dei lavoratori, oltre che un’opportunità ed un vantaggio per il Gruppo. Inoltre è opportuno ricordare ai lavoratori che per l’Azienda lo svolgimento dei corsi comporta automaticamente la comprensione ed applicazione di tali tematiche nell’attività lavorativa, scaricando quindi ogni responsabilità per eventuali violazioni in capo al lavoratore.
Chiediamo perciò all’Azienda che si adoperi da subito a rendere pienamente fruibili i corsi a tutte le lavoratrici ed i lavoratori rendendoli disponibili in italiano, evitando altresì i richiami formali a tali adempimenti. Invitiamo tutti i colleghi a non farsi intimidire dai propri responsabili ed a pretendere che la propria professionalità non venga svilita.
Non vorremmo che domani, ove fossero eventualmente mutati i rapporti di forza nel mondo, i nostri illuminati manager ci obbligassero a tenere corsi in cinese od in arabo.
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