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Eccoci a commentare il nuovo piano industriale 2017/2020 che di nuovo, a parte il nome,  sembra abbia davvero ben poco.
Gli annunci sono roboanti, le prospettive del gruppo per il CEO Victor Massiah sono quelle da ‘’milleeunanotte’’,  dispensate senza tentennamenti o incertezze.

Di seguito, una breve carrellata degli ambiziosi obiettivi degni di un braveheart del credito:

-utili a 870 milioni nel 2020 (7 volte quelli registrati a dicembre 2015).
-indice Rote oltre il 10%
-maggior copertura sui crediti fino al 60%.
-dividendi distribuiti fino al 40% dell’utile (payout)
-indici patrimoniali in costante miglioramento…e via cantando.

L’ottimismo e’ insomma alla stelle, ma come raggiungeremo questi traguardi in un contesto cosi’ negativo? Rimarra’ in mano ai soliti noti il famigerato cerino o questa volta cambiera’ davvero la musica?
Dispiace constatarlo ancora una volta, ma le ricette sono le stesse di sempre: tagli, chiusure e maggiore flessibilita’.

Vengono annunciati circa 2750 esuberi e solo questo dato dovrebbe irritarci non poco visto che, a causa della scarsita’ di organici, soprattutto nel periodo estivo, molte filiali faticano ad aprire!! A parziale compensazione vengono promesse 1100 nuove assunzioni in 3 anni.
Da sottolineare comunque il dato che il gruppo UBI al 2020 perdera’ circa 4500 dipendenti (24% della forza lavoro) rispetto al 2007 anno della sua nascita!!

Confermata la chiusura di altri 280 filiali, si passera’ quindi dagli iniziali 1922 ai 1250 sportelli (-35%).
I soliti gufi si lamentano perche’ manca personale e cassieri nei punti operativi? Eccoti la soluzione: si realizzeranno 350 filiali cashless  (senza cassiere, anche se sarebbe piu’ corretto tradurre senza contanti).

Macchine vs. uomini, la sfida del futuro…si ipotizza saranno 4 su 10 le filiali interessate alla trasformazione.

Con abile mossa di marketing, per evitare che la clientela si senta lontana ‘’affettivamente’’  e non si riconosca in questo nuovo  ‘’bancone’’, rimarranno tutte le vecchie insegne e marchi delle banche rete fuse nella holding.
Sara’ solo un illusione ottica mentre in realta’ verranno create 5 macro aree che rispecchieranno la presenza storica dei vecchi istituti nei territori di riferimento.
Avremo quindi per il Nord Ovest la BRE, per Milano la BPCI, per Bergamo la BPB, per Brescia il BBS e BVC e per il centro sud Carime e BPA.

Come gia’ successo in passato questi piani industriali cosi ambiziosi  si sono dimostrati dei gran bei castelli di sabbia, pronti a crollare alla prima ondata imprevista, piani a cui non crede piu’ nessuno e forse nemmeno chi li redige.

Lo scenario attuale e le previsioni degli stessi esperti (o almeno così ce li presentano) ci dicono che potremmo vivere ancora per lungo tempo questa fase di tassi ai minimi storici e  cio’  non permettera’  agli istituti di credito grossi margini di guadagno in quella che dovrebbe essere la principale fonte di redditivita’ della banca e cioe’ quella della intermediazione bancaria.
Si  spingera’ quindi ancora di piu’ sulla vendita di prodotti maggiormente  remunerativi,  non sempre nell’interesse del cliente, accompagnati da sempre maggiori pressioni commerciali.

Siamo seriamente preoccupati quando lo stesso amministratore delegato asserisce che nei nostri confronti ‘’sara’ indispensabile un aumento di flessibilita’ e un rafforzamento della quota di retribuzione variabile’’.

Per noi la strada da seguire e’ un’altra, la banca deve tornare ad essere vicina ai reali bisogni dei clienti e non continuare col consueto modello commerciale aggressivo che tanti danni ha prodotto anche nel recente passato.
Il salario deve essere contrattato perche’ quello variabile si accompagna a politiche di vendita poco etiche, in cui il cliente fa la parte  di un limone da spremere e riduce i colleghi a ruolo di meri piazzisti, con sempre meno professionalita’ e sempre maggiore spregiudicatezza.

Forse sarebbe meglio crescere un po’ meno, ma su basi più solide e utili per tutti.

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