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Secondo un articolo pubblicato sul quotidiano La Repubblica, dal titolo fin troppo evocativo[1], nei prossimi anni da qui al 2020 sono previsti 20-25mila esuberi nel settore. In un altro articolo[2], che illustra le linee di un accordo tra l’ABI e il governo per gestire le prossime ristrutturazioni, il numero dei tagli al personale arriva ad ipotizzare 50mila esuberi. Al di là delle cifre ballerine, l’elemento strutturale su cui convergono gli articoli menzionati e le voci dei più informati osservatori, è che siamo alla vigilia di un processo che cambierà radicalmente le caratteristiche del comparto. Nulla di nuovo potrebbero affermare i diretti interessati, i lavoratori. Alle svolte epocali, alle trasformazioni dal sapore quasi apocalittico, l’orecchio dei bancari è ormai avvezzo. Così come forse uno sbadiglio potrebbe strappare l’ennesima discussione sul nuovo modello di banca, che si trascina ormai da lungo tempo, tema che viene trattato in stretta correlazione con l’annuncio dei forti dimagrimenti di cui sopra. Mai fidarsi però dell’apparente fluire degli eventi, lasciandosi cullare dall’ipnotica ripetitività di quelli che ci appaiono sfibranti deja-vu.

Per la prima volta, stando alle notizie di stampa, l’accordo tra governo e parti sociali includerebbe un sostegno economico pubblico per rendere possibile un esodo di tali proporzioni bibliche. Questa novità seguirebbe quella di carattere normativo che ha permesso di allargare la possibilità dei prepensionamenti da 5 a 7 anni prima della maturazione dei requisiti per andare in pensione. Finalmente potrebbe dire qualcuno. Era ora.

Ma l’illusione dura il tempo di una lettura che non ha bisogno neanche di andare a cercare troppo tra le righe, potendo soffermarsi già semplicemente su quanto alcuni attori del dibattito, non si fanno scrupolo neanche più di mascherare con le consuete sottili formule linguistiche, di chi è abituato a propinare tempeste con le parole di chi annuncia il sereno. Può succedere allora di trovarsi di fronte ad un mondo alla rovescia, in cui Eliano Omar Lodesani, Chief Operating Officer del Gruppo Intesa Sanpaolo e presidente del Comitato Affari Sindacali e del Lavoro di Abi, arrivi a richiedere, con un accorato appello da sindacalista, l’ascolto del governo per trovare le possibili soluzioni nell’interesse dei…lavoratori, mentre Lando Sileoni, segretario generale della Fabi, si soffermi, con l’afflato avveniristico del più rampante tra gli amministratori delegati, sul programma d’azione che per lui deve prevedere un “riprendersi funzioni, fare consulenza fiscale, previdenziale, conquistare nuove attività. Come del resto succede nel modello americano”.

Ma come si fa a diventare americani? Niente paura, ce lo spiega Andrea Airoldi, che dobbiamo ringraziare per la solidarietà che dimostra fin dall’uso dei verbi riflessivi che lo dipingono come uno di noi, nonostante sia senior partner della società di consulenza Roland Berger (i cervelloni che elaborano i piani industriali e il nostro futuro, sgravandoci di simili preoccupazioni): “Non ci sono alternative: bisognerà ridursi e trasformarsi”- dice il nostro solidale consulente – “da qui a dieci anni mi aspetto che le filiali siano meno della metà e anche molto del personale in rete e al centro adibito all’operatività sarà superfluo, sostituito da processi digitalizzati e da clienti sempre più indipendenti. Sta per partire una rivoluzione del lavoro in banca come quella nell’industria italiana degli anni ’70-80.”

Oltre al solito mantra della mancanza di alternative, un passaggio importante il nostro consulente ce lo offre quando avanza un’analogia con le ristrutturazioni industriali degli anni 70-80. Interessante notare innanzitutto che questa analogia è anche sulla bocca degli esperti del settore, che nell’introdurre la necessità del sostegno statale, parlano di “una misura straordinaria per un momento straordinario visto che il comparto sta attraversando una crisi paragonabile a quella vissuta dal manifatturiero alla fine degli anni Settanta”.

È bene ricordare, che le ristrutturazioni richiamate, rappresentano l’avvio di un processo di deindustrializzazione che ha condotto alla distruzione di gran parte del tessuto produttivo del nostro Paese, senza che ai piani lacrime e sangue seguisse un suo successivo rilancio. Se fossimo psicoanalisti parleremmo di lapsus freudiano. Ma non possiamo credere che l’obiettivo sia l’affossamento del settore e la sua totale subordinazione ai capitali di provenienza estera. Non siamo malpensanti. Anche perché se fosse così, potremmo farci un’idea realistica di quella che sarà la nostra vita di bancari, dalle parole che uno dei rappresentanti del capitale globalizzato, l’azionista Bnp Paribas ha riservato alla partecipata Bnl. Non tanto per i numeri pur significativi (700 uscite, 12 giornate di solidarietà, chiusura di altri 100 sportelli, ecc…), ma per la motivazione addotta, che configura la natura dei cambiamenti di cui tutti parlano: la necessità di alzare la redditività.

Con un passaggio magistrale dal punto di vista politico, la questione degli esuberi viene sganciata dal suo contesto naturale, lo stato di crisi, per essere vincolata alla accettabilità o meno del livello dei profitti. Questo principio, che viene introdotto con un cavallo di Troia ideologico di quelli destinati a segnare le coordinate dei rapporti tra capitale e lavoro dei prossimi anni, sarà la fonte primaria, la Costituzione verrebbe voglia di dire, su cui poi si costruiranno contratti collettivi e aziendali, fino ad arrivare alla più minuta delle disposizioni idonee ad avere un impatto sulla realtà lavorativa. Tutto dovrà uniformarsi ad un livello arbitrario e variabile di profitto. In barba a quel resta dell’attuazione del principio costituzionale della funzione sociale dell’attività di impresa, il ruolo del lavoro viene completamente estromesso dai processi decisionali. Mai siamo stati così tanto merce.

“Questo è un business di persone, il prodotto si copia in poco tempo”, precisa il manager Lodesani. Da numeri, da merce, ritorniamo il perno del sistema. Qual è la verità?

Lo scenario è quello costruito in trent’anni di politiche economiche, aziendali e, soprattutto, culturali. La gestione dei benefici del progresso tecnologico, che nel nostro settore si manifesta con l’uso sempre più massiccio della multicanalità e con la digitalizzazione dei processi produttivi, è sottratta ad un pur sia minimo rapporto dialettico tra parte datoriale e rappresentanti dei lavoratori. Lo spostamento dei lavoratori da un segmento produttivo seriale (back office) ad uno relazionale (consulenza) in realtà si esprime in un’organizzazione del lavoro formalmente nuova, che utilizza il supporto delle nuove tecnologie, per mascherare il più bieco e vetusto sfruttamento delle energie psicofisiche dei lavoratori, con un contenuto schiacciato sul solo aspetto commerciale. Tra queste contraddizioni della narrazione manageriale, vanno inserite le leve con cui scoperchiare un disegno, che ci condurrà ad una subordinazione ancora peggiore. Come? Costruendo un’agenda minima che coinvolga noi lavoratori, un primo passo di un generale ridisegno del pezzo di esistenza che trascorriamo sul posto di lavoro. Come CUB-SALLCA del MPS, proponiamo di discutere sui seguenti punti:

  • L’assunzione di un ruolo paritetico dei lavoratori rispetto ai rappresentanti delle imprese, nella gestione delle ricadute determinate dal progresso tecnologico, interrompendo una latitanza che ai profitti conseguiti con la contrazione dei costi operativi, ha favorito il mantenimento di una ingessata struttura degli orari di lavoro (che anzi ha avuto sussulti in senso estensivo, e la cui flessibilizzazione sul modello del settore del commercio, è posta con disinvoltura accanto ai più arditi scenari fanta-bancari…).
  • Il coinvolgimento sostanziale dei lavoratori nella definizione dei nuovi profili professionali (e della conseguente formazione), rendendoli funzionali a soddisfare l’offerta di servizi sempre più qualificati di consulenza globale, indirizzati ad attività economiche svolte in linea con uno sviluppo ecologicamente e socialmente sostenibile.

Questo sforzo, deve partire dalla capacità autorganizzativa dei lavoratori. Unica strada per non essere più convitati di pietra nelle discussioni riguardanti il nostro futuro. Noi della CUB SALLCA ci siamo.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Monte Paschi

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[1] Addio al mito del “posto in banca”: così il bancario cambia mestiere, La Repubblica, 10 ottobre 2016

[2] Banche, accordo tra governo e Abi per 50mila prepensionamenti, La Repubblica 12 ottobre 2016

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