Unicredit. La voce del padrone
“Se non puoi convincerli, confondili” (Harry S. Truman)
A tutti prima o poi nella vita capita di interrogarsi sui grandi quesiti esistenziali: chi sono, cosa sto facendo, perchè lo faccio, che senso ha la vita e via dicendo.
Lo stesso problema, se di problema si tratta, capita ragionevolmente anche sul posto di lavoro. Ed è veramente difficile non essere assaliti da dubbi esistenziali su base quotidiana nella realtà del nostro lavoro. Veniamo rassicurati quasi di continuo: siamo una banca paneuropea solida, scandisce con sguardo fisso e glaciale il nostro nuovo Amministratore Delegato, e supereremo indenni le piccole difficoltà presenti per incamminarci su un radioso futuro. Ma ciò che ci circonda e soprattutto il modo in cui si evolve è tale da far vacillare anche le certezze più salde.
Malfunzionamenti continui, continui disservizi, disorganizzazione, un piano industriale che contiene una sola grande sicurezza: altre migliaia di persone da estromettere con modesto e precario rimpiazzo, altre centinaia di agenzie da chiudere. Esternalizzazioni fatte, possibili e future, con conseguente scadimento della qualità della risposta alla Rete, ribaltata sul cliente finale. Una strategia commerciale basata unicamente sul mantra ossessivo delle vendite e della loro rendicontazione per settimana, per giorno, per ora. Un pressing costante sulle figure manageriali intermedie, perchè venga trasmesso da queste sulla base.
Cadute di tono scandalose, come colleghi che scoprono dal portale cosa dovranno fare dal primo di marzo; nemmeno più lo sforzo di scrivere lettere di trasferimento o fare colloqui, modifiche all’organigramma decise centralmente con l’accetta e comunicate in modo impersonale ai dipendenti, come fossero semplicemente dei pacchi da spostare da un punto all’altro.
Lo stesso avviene a molti clienti, che si troveranno chiuse le agenzie di riferimento ma ancora non hanno avuto comunicazioni ufficiali; abbiamo poi agenzie chiuse per ristrutturazione i cui colleghi sono inviati presso le agenzie in chiusura, senza porsi il problema di come possano lavorare.
La situazione non è migliore negli uffici di sede, dove ognuno si domanda per quanto rimarrà nel Gruppo prima di essere “incartato” e ceduto a qualche società creata ad hoc, o se la lavorazione di cui si occupa non sarà decentrata all’estero, stanti i noti successi di UPA Romania e delle lavorazioni affidate in esterno.
Il management attuale ha buon gioco ad attribuire le colpe alla “mala gestione del passato” e alla crisi che attanaglia il paese. In verità è qualcosa che abbiamo già visto: non a caso l’esordio al timone del precedente amministratore delegato è coinciso con altre perdite monstre seguite da esuberi, tagli al personale, ai premi, a tutto ciò su cui si poteva risparmiare. Ora la liturgia si ripete e c’è legittimamente da domandarsi quale sia il futuro di questo nuovo, ennesimo piano industriale. A leggere la descrizione che ne viene fatta nel prospetto informativo dell’aumento di capitale più imponente nella storia della borsa italiana l’unico punto fermo è la riduzione del costo del personale e speriamo che basti. La frase “fino a compromettere la sussistenza dei presupposti per la continuità aziendale” ricorre un po’ troppo spesso per parlare di nubi passeggere.
In questa situazione ci sarebbe da aspettarsi una presa di posizione decisa da parte di chi, finora, ci ha sempre esortato a chinare la testa e accettare “i migliori accordi possibili”, almeno finchè la testa l’abbiamo ancora attaccata al collo. E’ difficile imputare ai lavoratori qualcosa come 13 miliardi di perdite e tutti gli utili che si possono fare non potrebbero ripianarli in anni. Ma si esulta per successi clamorosi come l’ottenimento di qualche centinaio di euro di VAP, per lo sblocco della trattativa sugli inquadramenti, conclusa peraltro con risultati che hanno del ridicolo, per chi si prendesse la briga di leggere a fondo (per esempio, arrivano a garantire l’area 3 livello 3 a un consulente personal con SEI anni di esperienza).
In un’azienda che vacilla pericolosamente e soprattutto sembra avere le idee chiare su un unico punto, ovvero far pagare il conto a dipendenti e clienti, si gettano sulle briciole. Responsabilità, spirito di sacrificio o ennesimo tentativo di “tirare a campare” firmando qualsiasi cosa venga messa davanti?
Abbiamo perso già molto e molto possiamo perdere ancora. Noi crediamo che l’unica speranza per un vero cambiamento di rotta sia ricorrere ad ogni possibile strumento di tutela della nostra professionalità e della nostra stessa esistenza come categoria; veniamo continuamente messi in discussione da ogni nuovo piano industriale che prevede di “trasformarci” nelle cose più varie e fantasiose, quando le esigenze dei clienti sono sempre le stesse, come del resto le nostre.
Vi chiediamo di segnalarci scorrettezze, abusi, pressioni, intimidazioni; vi consigliamo di tenere gli occhi bene aperti, farvi e fare domande e non accettare nulla come una tragica, ineluttabile necessità. Tutto ciò che vediamo ora non è che il ripetersi in condizioni peggiorate di un pessimo film già visto, e considerando che cosa abbiano da perdere le singole parti in gioco domandiamoci a chi convenga davvero cercare di cambiare il finale.
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