E la chiamano contrattazione…
Il 3 di agosto scorso le organizzazioni sindacali trattanti hanno firmato nel Gruppo Intesa Sanpaolo il rinnovo del contratto di secondo livello. Il rinnovo è andato in onda secondo le regole ormai collaudate dopo l’accordo quadro del 24.10.2011: nessuna piattaforma elaborata, discussa e approvata dai lavoratori; nessuna informazione su un’eventuale piattaforma presentata dai sindacati; nessuna notizia diramata prima dell’annuncio della firma sull’accordo. Ormai è proprio il caso di dire che aziende e sindacati se la cantano e se la suonano per conto proprio, mentre ai lavoratori non resta che la presa d’atto finale. La democrazia sindacale è stata definitivamente azzerata e non c’è più neanche la parvenza di qualcosa che ci assomigli alla lontana.
Del resto duole riconoscere che gran parte del contenuto economico che una volta era negoziato nella contrattazione integrativa è stato nel tempo riassorbito da altri accordi, o meglio da altre iniziative aziendali, come il PVR, il LECOIP ed ora anche il sistema incentivante legato alla tutela, che vedono i sindacati come semplici appendici firmatarie, anziché soggetti propositivi di una contrattazione vera.
Partendo da questo presupposto, e tenendo conto del carattere straordinario degli eventi che hanno coinvolto e stravolto il Gruppo nell’ultimo anno (dall’assorbimento emergenziale delle banche venete, alla dimensione enorme del piano esodi, dalla temerarietà del piano industriale 2018-2021, alla cessione degli NPL con lavoratori inclusi), non stupisce che al contratto di 2^ livello sia rimasto ben poco da trattare.
E dire che la vastità e profondità dei problemi che ogni giorno assillano i lavoratori del Gruppo non sono certo irrilevanti o difficili da vedere e conoscere. Affrontarli davvero però urterebbe contro gli interessi dell’azienda e minerebbe quel quadro idilliaco che anche i sindacati, aziendali o nazionali, tendono ad accreditare come modello da seguire, fatto com’è di accordi pervasivi, contrattazione continua, taglio dei costi, obiettivi sfidanti, produttività del lavoro, pressioni commerciali, utili e dividendi corposi per gli azionisti, premi succulenti per i manager. Meglio quindi concentrare la “contrattazione” sugli argomenti marginali e lasciare mano libera all’azienda sulle cose che le stanno davvero a cuore.
Il rinnovo del contratto di secondo livello avrebbe al contrario potuto rappresentare un’occasione seria per discutere del triennio straordinariamente difficile che abbiamo alle spalle e mettere al vaglio del giudizio assembleare una gestione sindacale verticistica e impermeabile alle istanze di base. Si sarebbe potuto costruire un rapporto di forza basato sulla capacità di ascolto delle priorità urgenti dei lavoratori, in modo da aprire una vertenza partecipata e sentita da parte dei soggetti direttamente coinvolti dai processi di cambiamento organizzativi e commerciali.
Si sarebbe dovuto, ad esempio, affrontare il tema degli straordinari non pagati, che continuano su cifre esorbitanti (sebbene l’azienda si rifiuti di comunicarne l’ammontare): equivalgono a potenziali posti di lavoro e nuova occupazione, per cui peraltro contribuiamo (inutilmente) con una giornata lavorativa annua.
Sarebbe stato utile anche riproporre la questione degli orari estesi e dei turni, che sono sempre più ingestibili con la riduzione degli organici in atto e sempre più incoerenti con lo spostamento delle attività sul digitale, asse portante del nuovo piano industriale. La nostra proposta (fare sì che ogni lavoratore/trice non debba fare più di un turno serale e più di un turno al sabato ogni mese) avrebbe costituito una buona base di partenza.
Si è invece preferito ancora una volta “saltare” la base e firmare la lista delle richieste aziendali, per bieca collaborazione subalterna alla realizzazione del Piano Industriale. Una strada che porta il lavoro ad essere, sempre più, fattore produttivo puro, soggetto esecutivo di decisioni altrui, oggetto di contrattazione, più che protagonista del proprio futuro. Un esito davvero penoso delle grandi stagioni di lotta del passato, che si basavano su una pratica di confronto democratico esteso e che producevano ben altri risultati.
Non è possibile continuare così: l’autismo delle organizzazioni sindacali può finire solo se c’è una reazione decisa dei lavoratori. Metodi e merito delle trattative devono cambiare di segno, se vogliamo fermare questa deriva vergognosa.
I risultati di queste disastrose scelte strategiche sono contenuti negli accordi raggiunti, che ci limitiamo a sintetizzare nella scheda tecnica allegata, con qualche commento critico a margine (in corsivo).
ALLEGHIAMO ANCHE IL VOLANTINO COMPLETO
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