Pochi giorni prima di Natale sono stati firmati in sede ABI due accordi sindacali.

Il primo integra i protocolli precedenti in tema di prevenzione e contenimento del COVID-19, il secondo avvia la sperimentazione per le assemblee da “remoto” per i lavoratori in smart working.

Pur rispondendo ad esigenze specifiche, con soluzioni parziali, gli accordi sono ben distanti dall’affrontare seriamente la grave situazione lavorativa, in particolare nella rete filiali di un po’ tutte le banche.

Le situazioni di forte tensione, di insoddisfazione e di impedimento allo svolgimento dei servizi più elementari mette in seria difficoltà gli addetti allo sportello, di fronte ad una clientela sempre più esasperata. Una clientela che non riesce neanche più a mettersi in contatto con la propria banca, visto il moltiplicarsi di milioni di telefonate inevase, sia in agenzia che ai call-center.

Se ne esce solo con una riorganizzazione del modello di servizio, con previsione di massicci piani di assunzione, per rimpinguare gli organici.

Non sarebbe fuori luogo una ripresa della pratica assembleare (magari con modalità nuove) per tutti i lavoratori e non solo per quelli in lavoro agile: c’è bisogno di sindacato e di democrazia anche e soprattutto in pandemia!

Buona lettura (in allegato o qui sotto)

 

Sono stati firmati, poco prima di Natale, due verbali in sede ABI: il primo contiene un’integrazione al protocollo 28/4/2020 sulle misure di prevenzione e contenimento del COVID-19; il secondo definisce un accordo quadro sperimentale per lo svolgimento delle assemblee “da remoto” per i lavoratori “agili”.

Ci sembra che gli accordi siglati siano ben poco incisivi rispetto ad una situazione che è andata incancrenendosi man mano, evidenziando tutte le lacune degli accorgimenti organizzativi adottati per gestire l’emergenza.

Di fronte ad una situazione mutevole, che rischia di protrarsi per ancora diverso tempo, sarebbero state necessarie misure forti per affrontare seriamente le difficoltà emerse nel modello di servizio della clientela, tuttora impossibilitata ad accedere agli sportelli in modalità accettabili.

La suddivisione tra zone rosse, arancioni e gialle, prevista dal DPCM 3/12/2020, non può essere seguita da provvedimenti aziendali altalenanti, che aumentano la confusione e rendono impossibile una coerente gestione del servizio di sportello.

La “riconquistata” previsione degli appuntamenti per le “zone rosse” non è certo sufficiente per risolvere tutte le questioni che danno periodicamente origine a gravi tensioni con la clientela davanti alle filiali.

La prevenzione dei rischi per dipendenti e clientela è la principale priorità, ma proprio per questo è necessario predisporre uno schema di servizio che consenta di soddisfare l’ampia domanda di accesso agli sportelli, rimasta disattesa per i ben noti motivi.

La chiusura delle filiali, la soppressione ossessiva dei servizi di cassa, la scarsa attenzione a tutto ciò che non rappresenta un “successo” commerciale, hanno evidenziato tutti i propri limiti proprio all’esplodere della pandemia. Le banche non sono riuscite, neanche alla distanza di molti mesi, a recuperare il ritardo e mettersi in sintonia con le reali ed attuali esigenze della clientela.

Ci sembra quindi del tutto fuori luogo la soddisfazione con cui i sindacati firmatari ribadiscono la centralità della contrattazione in questa fase: cosa significa, quando si contratta sul nulla?

Né sono sufficienti, a ribaltare questo giudizio, gli altri due risultati “ottenuti” nei verbali pre-natalizi: l’impegno a riconsiderare (entro gennaio) le esigenze di lavoro agile per i lavoratori “fragili” o con problemi legati alla genitorialità e l’intesa sperimentale (fino al 31.03.2021) per le assemblee da remoto da organizzare per i lavoratori che lavorano a distanza.

Il primo elemento è la naturale applicazione delle indicazioni contenute nei decreti legislativi. Il secondo (l’accordo sulle assemblee) risponde ad un bisogno certamente sentito, come emerso anche dal questionario sullo smart working che abbiamo realizzato come CUB-Sallca nei mesi scorsi; tuttavia ci sembra alquanto strumentale e retorico sottolineare “l’inderogabile valore della democrazia sindacale anche in questo periodo emergenziale” quando per anni non sono state indette assemblee e sono stati gettati alle ortiche i diritti individuali alle 10 ore annue, pur in presenza di problemi gravi ed accordi “pesanti”.

Non possiamo sorvolare sul fatto che le Organizzazioni Sindacali, uniche titolari del diritto a indire assemblee, negli ultimi anni hanno fatto di tutto per non esercitare questo diritto, che li avrebbe esposti al confronto con i lavoratori. L’assenza di confronto ha portato a una caduta del vincolo di mandato, consentendo alle Organizzazioni Sindacali di trattare e firmare accordi non condivisi con la propria base, rendendo lacunoso e sfuggente il rapporto tra lavoratori e propri (pseudo) rappresentanti. Ne è derivato un grave danno sul piano della fiducia nella propria forza contrattuale e nel funzionamento di meccanismi democratici nei processi decisionali.

Di fronte all’emergenza Covid, l’impossibilità di riunirsi in presenza e il diffondersi dello smart working peggiorano una situazione già deficitaria: l’accordo prova ad affrontare il problema, ma va ripensato il sistema di regole (o meglio la sua applicazione concreta) per rendere effettivo il diritto del lavoratore a discutere collettivamente sia dei propri problemi, sia degli obiettivi e delle proposte sindacali.

La partecipazione è un valore e le assemblee sono un diritto, che però va utilizzato in modo costante e continuativo, se si vuole difendere l’abitudine a discutere e sindacare: staremo a vedere l’utilizzo che si farà di questo diritto, appena conquistato, da parte delle organizzazioni firmatarie che (lo ripetiamo) detengono in esclusiva la facoltà di chiedere l’indizione delle assemblee dei lavoratori…

CUB-SALLCA

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