LAVORARE DA CASA. SI’ MA DEFINIAMO LE REGOLE
Continuano a giungerci spunti dal mondo delle sedi
Ci scrive un collega con un recente passato in filiale ed esordisce così: indubbiamente si sta meglio, ma sempre più crepe si allargano.
Come già sottolineato dalla stessa nota del SALLCA, il personale, dati gli esodi e l’età media alta, tende ad assottigliarsi. Dal 2018 ad ora nessuno è stato sostituito. Da quasi 20 persone, nel mio ufficio, ci ritroviamo in 10 ed a breve andranno via altri.
Vorrei però porre l’attenzione su un altro aspetto legato al lavoro domiciliare, di fatto divenuto obbligatorio per la dichiarata pandemia.
Nel corso di questo bizzarro anno il sottoscritto (e non solo) ha avuto diversi problemi: dapprima la mia connessione casalinga (che ogni lavoratore deve avere e pagarsi senza nessuna indennità, mentre il buono pasto non viene riconosciuto, avendo così una perdita secca sul salario, anche al netto di eventuali risparmi sui costi di trasporto) in molte occasioni ha manifestato problematiche, quindi mi veniva suggerito dai miei responsabili di cambiare operatore internet (con cui, come fatto notare ai miei responsabili, mai ho avuto problemi quando si trattava di utilizzare il mio PC personale), oppure, sempre a mie spese, installare presso il mio appartamento dei ripetitori… cosa che non ho fatto. Inutile ricordare che cambiare operatore spesso comporta il pagamento di penali come, ad esempio, nel mio caso.
I tecnici dell’ Help desk suggerivano (mettendolo altresì per iscritto) che l’azienda avrebbe potuto fornirmi una semplice SIM (quindi una connessione Wi FI aziendale) per risolvere il problema. La richiesta dei colleghi tecnici è stata a più riprese respinta perché “non in linea con la policy aziendale”.
Mi viene cambiato il PC (grazie anche al sacrificio dei colleghi coordinatori di struttura che lo hanno prelevato dalla sede per portarmelo), tuttavia il cavo (fornito a suo tempo dall’azienda) necessario a collegare il PC al secondo monitor (che il sottoscritto ha comprato di tasca sua ed essenziale per il tipo di lavorazione che svolgiamo), adatto al modello precedente che aveva l’apposita porta, risulta non adatto al modello nuovo.
Faccio presente la cosa chiedendo un cavo che mi sostituisse il precedente (che, ripeto, mi fu dato dall’azienda), o un semplice convertitore, la risposta è stata che dovevo acquistarlo a mie spese e che l’azienda non fornisce questo tipo di materiale (sic). Al che ho osservato che, se il precedente cavo era stato fornito dall’azienda, non si capisce bene come mai ora non mi può essere fornito di nuovo. Su questo permane il mistero, mi viene risposto che anche gli altri hanno fatto così…
Da notare che nella mia regione non si ci si può muovere fra comuni se non per motivi di lavoro e che nel mio comune non vi sono negozi informatici, quindi, se avessi seguito le loro istruzioni, avrei pure potuto rischiare un verbale salato.
Facendo resistenza (che io preferisco alla resilienza aziendalista) ho ottenuto che il mio responsabile mi fornisse il monitor con cavo adatto all’uopo prelevandolo dall’ufficio (quindi già presente).
Scrivo questa mail perché vorrei chiedere a tutti i sindacati di far notare all’azienda l’esigenza di colmare il vuoto normativo circa le forniture aziendali di cui devono dotarsi i lavoratori in lavoro domiciliare. Anche l’azienda trae vantaggio da questa modalità di lavoro. Il vuoto normativo spinge responsabili (spesso in buona fede, o che si rendono disponibili a fare più del dovuto per ovviare alle varie problematiche) a trovare o suggerire soluzioni poco convenzionali.
Da parte mia, sebbene, come scritto sopra, abbia trovato poco indicate le proposte dei miei colleghi responsabili per ovviare a problemi tecnici, devo, per dovere di trasparenza, dire che sono stati loro stessi, a loro spese, a portarmi con la loro auto i materiali nuovi e ritirare quelli vecchi senza nessun rimborso benzina (faccio notare come la fornitura di materiale di lavoro al dipendente da parte dell’azienda sia l’abc della legge che regola i rapporti di lavoro).
Siccome non scrivo certe righe solo per me, ma per tutti, dico che anche questo lo trovo poco giusto, rivendicando le giuste tutele anche per loro.
Se l’azienda colmasse questi vuoti di normativa, si eviterebbero situazioni comunque poco piacevoli ed inutili.
Ancora una nota a margine relativa a Strongauth, l’applicazione che ognuno di noi dovrebbe scaricare sul PROPRIO cellulare per poter accedere da remoto ai servizi aziendali. Ebbene, anche in questo caso, il collega che non possiede lo smartphone è invitato a procedere all’acquisto di tasca sua.
Gli altri sono quasi costretti a scaricarsela, perché “altrimenti potresti perdere il diritto allo smartworking”. Insomma questo “smartworking” è smart solo dal punto di vista padronale, mentre per il lavoratore ho l’impressione che sia più croce che delizia.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A.Intesa Sanpaolo
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