Il tema delle pressioni commerciali ritorna in modo ricorrente e spesso asfissiante in tutte le banche.

In Intesa Sanpaolo il problema è atavico e appesantito dall’adozione di un metodo commerciale particolarmente spinto, in specie sul tema della tutela assicurativa.

I protocolli firmati con le organizzazioni sindacali non hanno frenato le pressioni: ora c’è attesa per un nuovo accordo che dovrebbe recepire i dettami dell’ultimo CCNL.

L’azienda però rimanda sempre e con l’ultimo spostamento rimbalza al definitivo accordo di fusione con UBI previsto per l’autunno.

Auspichiamo naturalmente un accordo di svolta, discusso con i lavoratori, ma non dobbiamo illuderci di poter delegare ad un protocollo, o alla casella “Io-segnalo”, la soluzione al problema.

Come lavoratori e lavoratrici possiamo fare qualcosa in prima persona per difenderci, proteggendo noi stessi, i nostri interessi, la nostra salute mentale.

Nel nostro prossimo intervento daremo indicazioni pratiche per un manuale di autodifesa.

Intanto invitiamo i lavoratori di altre banche, diverse da Intesa Sanpaolo, a farci pervenire le loro esperienze in proposito.

 

 Pressioni commerciali: l’elefante nella stanza.

Nella rete filiali di tutte le banche si parla ormai da tempo delle pressioni commerciali: come riconoscerle e come evitarle. Al di là degli episodi singoli a firma di qualche capo troppo ambizioso, che vanno opportunamente segnalati, si ha sempre più l’impressione (la certezza) che il treno carico di tutte le esose richieste che arriva fino ai gestori, parta da molto lontano.

In Intesa Sanpaolo il mantra da ripetere fino allo sfinimento è “tutela tutela tutela”, ma vengono dati per scontati tutti gli altri “doveri commerciali”, innescando nei lavoratori addetti alla consulenza un meccanismo perverso, tra senso di inadeguatezza e ansia da prestazione.

Tutte le mattine, un gestore si sveglia e sa che per sopravvivere dovrà correre, verso dove non si sa, ma intanto correre. Il telefono squilla, le mail arrivano copiose da clienti e colleghi, il cellulare trilla, le pratiche vanno mandate avanti, le campagne esitate e le polizze vendute. Pena il “commissariamento”. Perché non basta più fare una riunione, controllare le agende per verificare la pianificazione di ogni singolo respiro dei colleghi, servono interventi più incisivi: per esempio condividere gli appuntamenti con i clienti, collegandosi da remoto con lo specialista, in modo che possa cogliere gli spunti e correggerti mentre parli, in una sorta di “Grande Fratello” con tanto di copione, preventivamente esposto, con scenette al limite del ridicolo, durante le riunioni plenarie via Skype.

Inutile dire che il cliente, secondo il modello commerciale aziendale, dopo aver attentamente seguito l’illustrazione della proposta, con avvolgente stimolazione dei suoi bisogni latenti e convinto dai nostri brillanti consigli, non ha scelta (o scampo).

In un contesto già così critico, si inseriscono le giornate a tema, dove convogliare le operazioni programmate coi clienti per dare l’impressione di “buona riuscita” delle idee balzane che, a turno, qualche lungimirante capo propone alla rete, applicando le tecniche della guerra lampo e l’impatto dei gruppi d’assalto.

Questo atteggiamento non è più tollerabile e denigrare la professionalità dei pochi colleghi rimasti a militare nelle filiali, con continue e pedanti richieste, non può far altro che aumentare il malcontento che ormai sconfina spesso e volentieri in un diffuso malessere.

La gravità della situazione è ben riassunta dal rosario degli interventi sindacali che dal Piemonte Nord, al Veneto del Nord-Est, dalla Liguria alla Puglia, dalla Sardegna alla Toscana, dal Lazio alla Sicilia, segnalano la pesantezza delle pressioni e la loro assurdità, in una fase di pandemia non ancora risolta, una situazione insostenibile per lo stato della rete, dopo la fusione con UBI, la chiusura massiccia delle filiali, la rarefazione delle postazioni di lavoro disponibili, la carenza di organico dopo gli esodi biblici.

Mentre la situazione si aggrava, l’azienda rinvia ulteriormente la definizione di un accordo sulle politiche commerciali, con il chiaro intento di sminuire la rilevanza del tema e mantenere in piedi quel modello aggressivo che ha garantito ottimi risultati ad azionisti e manager, la sostanziale impunità per i responsabili commerciali, molti esaurimenti nervosi a gestori e consulenti in prima linea con la clientela ed il “mercato”.

La situazione è intollerabile e chi di dovere (leggasi sindacati firmatari) deve prendere atto della scarsa efficacia degli accordi precedenti in materia e discutere con i lavoratori un cambio di linea che porti veramente risultati concreti e un ridimensionamento duraturo del fenomeno.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo

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