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TASSAZIONE ASSEGNI DI ESODO 2016

Com’è noto l’Agenzia delle Entrate ha inviato, da fine aprile in avanti,  un avviso bonario con richiesta di versamento di imposte per gran parte degli 11.000 ex-bancari che erano in esodo nel 2016, con riferimento agli assegni di esodo erogati in quell’anno e rendicontati nel CUD 2017.

I sindacati firmatari e l’ABI sono intervenuti su INPS ed Agenzia delle Entrate per ottenere un provvedimento di sospensione o di revoca degli effetti dell’avviso bonario. A tutt’oggi non si intravedono soluzioni e continua il rimpallo di responsabilità, mentre la scadenza dei 30 giorni per pagare si avvicina rapidamente. L’incontro con ABI programmato per il 31 maggio si colloca oltre i termini di scadenza previsti per molti avvisi già pervenuti, mentre gli interessati necessitano di risposte urgenti.

Non è ancora chiaro se si tratta di un semplice errore procedurale dell’INPS nel segnalare all’Agenzia delle Entrate la natura del reddito percepito nel 2016 dai lavoratori, o se invece l’Agenzia delle Entrate abbia cambiato interpretazione alla normativa fiscale sugli assegni di esodo, che verrebbero così equiparati al TFR e come tali sottoposti a riliquidazione della tassazione separata.

Si tratterebbe di un cambiamento radicale, che stravolge una prassi applicata per almeno 20 anni, e che finirebbe per alterare con effetto retroattivo le condizioni pattuite a suo tempo per consentire alle banche (e alle Poste) un costo fiscale agevolato nel mandare in esodo i lavoratori “in esubero”.

Se si tratta di un errore, va sanato rapidamente. Se si tratta di una nuova interpretazione, va messa a carico delle banche, cui competeva il carico fiscale. Se si tratta di un pasticcio contrattuale, che includeva una norma poco chiara, le parti firmatarie se ne assumano la responsabilità e i relativi costi, senza conseguenze economiche per gli esodati.

I lavoratori in esodo devono continuare a ricevere un importo netto, corrispondente alla pensione che avrebbero preso alla rispettiva finestra, comprensiva dei contributi.

Il tempo stringe ed il terzo comunicato dei firmatari non fa altro che riassumere la situazione di stallo. L’avviso bonario non può essere impugnato perché non è una procedura esecutiva. Si può presentare all’Agenzia delle Entrate la “richiesta di esercizio dell’autotutela”, come da modello che alleghiamo, ma questo non interrompe i termini per l’eventuale emissione di una cartella esecutiva, con inclusi sanzione e interessi.

Le strade sono sostanzialmente due:

1) Chiedere la rateizzazione e pagare la prima rata trimestrale, inviando contemporaneamente la richiesta di esercizio di autotutela e accompagnare il pagamento con una comunicazione in cui si disconosce il debito e ci si riserva di richiedere il rimborso (la motivazione può essere quella riportata nel comunicato: ““la riliquidazione dell’imposta non è dovuta poiché l’erogazione dell’assegno deve avvenire al netto come è previsto dal regolamento del Fondo di Sostegno al reddito e dalla sentenza della Corte di Cassazione sezione Lavoro n° 18128 del 22 agosto 2014”). Prima del pagamento della seconda rata, è auspicabile un chiarimento o la soluzione del problema.

2) Respingere il pagamento ed avviare una contestazione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, con contestuale diffida alla banca di provenienza e all’INPS. Questa opposizione legale non blocca automaticamente l’emissione di cartelle esecutive, quindi va ponderata attentamente. Chi deciderà per questa seconda opzione può rivolgersi ad uno studio legale che ha approfondito la tematica. Per ottenere informazioni ed avviare la procedura è necessario collegarsi al sito:

https://www.iacoviello.it/bancari/2021/la-tassazione-dellassegno-desodo/

Nello stesso tempo consigliamo di contattare il nostro sindacato per ottenere tutte le informazioni utili (rischi inclusi).

Se non dovessero arrivare soluzioni positive in tempi brevi, diventerebbe inevitabile il ricorso a mobilitazioni, presidi e iniziative di protesta, in ogni sede opportuna, verso questa vera e propria ingiustizia.

 

CUB-SALLCA

PRESSIONI COMMERCIALI: UN VIRUS ANCORA SENZA VACCINO

 

Le (op)pressioni commerciali non hanno mai cessato di rovinarci la vita e l’umore, minando la qualità del lavoro e calpestando l’etica professionale.

Ad ogni inizio d’anno riprendono con rinnovato vigore, ancora più forte dopo un anno pandemico vissuto dai vertici aziendali con malcelato contenimento della consueta aggressività.

Non si deve accettare questa situazione intollerabile. Serve innanzitutto un processo spontaneo di “igiene mentale”: il budget non deve rovinarci la vita e diventare un’ossessione deleteria. Respingiamo le pressioni al mittente e restiamo uniti di fronte ai responsabili aziendali, che ci vogliono divisi, isolati, competitivi, per avere più controllo e potere.

Il miglior punto di forza è la coesione del gruppo, la solidarietà tra lavoratori, la qualità delle relazioni (anche con la clientela).

Non sempre è facile e per questo abbiamo riassunto in forma sintetica quello che è utile sapere (e ricordare) per difendersi meglio.

Siamo ben consapevoli che solo una vertenza estesa, partecipata, determinata, potrebbe portare a cambiamenti duraturi.

Nel frattempo si possono attivare difese individuali e collettive avendo sempre cura di documentare comportamenti illegittimi di taluni responsabili, come potrete leggere nell’allegato.

Piccolo manuale di autodifesa contro la “banca ad una dimensione”

 

BANCHE ITALIANE: DALLA FORESTA PIETRIFICATA AL GRANDE TAGLIO DEL BOSCO

La fusione tra Intesa Sanpaolo ed UBI, lanciata nel 2020 e in corso di realizzazione, ha modificato gli equilibri nel sistema del credito.

La crescita dimensionale richiesta ai principali Gruppi passa attraverso operazioni di concentrazione organizzate, che portano a forti economie di scala, taglio dei costi, chiusura degli sportelli, desertificazione del territorio.

Ai disastri della gestione privata si rimedia sempre con i soldi pubblici, facendo pagare il conto a contribuenti e lavoratori.

La caduta del governo e la sua sostituzione con un gabinetto presieduto da un banchiere sistemico di lungo corso, come Draghi, rischia di eliminare ogni resistenza residua al pieno dispiegarsi di logiche di puro mercato.

In questa crisi di estrema gravità servirebbe invece un sistema del credito orientato a finanziare progetti strategici qualificati e il tessuto economico di prossimità, con criteri anche sociali e sostenibili.

In allegato la nostra analisi e le nostre proposte.

Accordi pre-natalizi: una strenna poco accattivante

Pochi giorni prima di Natale sono stati firmati in sede ABI due accordi sindacali.

Il primo integra i protocolli precedenti in tema di prevenzione e contenimento del COVID-19, il secondo avvia la sperimentazione per le assemblee da “remoto” per i lavoratori in smart working.

Pur rispondendo ad esigenze specifiche, con soluzioni parziali, gli accordi sono ben distanti dall’affrontare seriamente la grave situazione lavorativa, in particolare nella rete filiali di un po’ tutte le banche.

Le situazioni di forte tensione, di insoddisfazione e di impedimento allo svolgimento dei servizi più elementari mette in seria difficoltà gli addetti allo sportello, di fronte ad una clientela sempre più esasperata. Una clientela che non riesce neanche più a mettersi in contatto con la propria banca, visto il moltiplicarsi di milioni di telefonate inevase, sia in agenzia che ai call-center.

Se ne esce solo con una riorganizzazione del modello di servizio, con previsione di massicci piani di assunzione, per rimpinguare gli organici.

Non sarebbe fuori luogo una ripresa della pratica assembleare (magari con modalità nuove) per tutti i lavoratori e non solo per quelli in lavoro agile: c’è bisogno di sindacato e di democrazia anche e soprattutto in pandemia!

Buona lettura (in allegato o qui sotto)

 

Sono stati firmati, poco prima di Natale, due verbali in sede ABI: il primo contiene un’integrazione al protocollo 28/4/2020 sulle misure di prevenzione e contenimento del COVID-19; il secondo definisce un accordo quadro sperimentale per lo svolgimento delle assemblee “da remoto” per i lavoratori “agili”.

Ci sembra che gli accordi siglati siano ben poco incisivi rispetto ad una situazione che è andata incancrenendosi man mano, evidenziando tutte le lacune degli accorgimenti organizzativi adottati per gestire l’emergenza.

Di fronte ad una situazione mutevole, che rischia di protrarsi per ancora diverso tempo, sarebbero state necessarie misure forti per affrontare seriamente le difficoltà emerse nel modello di servizio della clientela, tuttora impossibilitata ad accedere agli sportelli in modalità accettabili.

La suddivisione tra zone rosse, arancioni e gialle, prevista dal DPCM 3/12/2020, non può essere seguita da provvedimenti aziendali altalenanti, che aumentano la confusione e rendono impossibile una coerente gestione del servizio di sportello.

La “riconquistata” previsione degli appuntamenti per le “zone rosse” non è certo sufficiente per risolvere tutte le questioni che danno periodicamente origine a gravi tensioni con la clientela davanti alle filiali.

La prevenzione dei rischi per dipendenti e clientela è la principale priorità, ma proprio per questo è necessario predisporre uno schema di servizio che consenta di soddisfare l’ampia domanda di accesso agli sportelli, rimasta disattesa per i ben noti motivi.

La chiusura delle filiali, la soppressione ossessiva dei servizi di cassa, la scarsa attenzione a tutto ciò che non rappresenta un “successo” commerciale, hanno evidenziato tutti i propri limiti proprio all’esplodere della pandemia. Le banche non sono riuscite, neanche alla distanza di molti mesi, a recuperare il ritardo e mettersi in sintonia con le reali ed attuali esigenze della clientela.

Ci sembra quindi del tutto fuori luogo la soddisfazione con cui i sindacati firmatari ribadiscono la centralità della contrattazione in questa fase: cosa significa, quando si contratta sul nulla?

Né sono sufficienti, a ribaltare questo giudizio, gli altri due risultati “ottenuti” nei verbali pre-natalizi: l’impegno a riconsiderare (entro gennaio) le esigenze di lavoro agile per i lavoratori “fragili” o con problemi legati alla genitorialità e l’intesa sperimentale (fino al 31.03.2021) per le assemblee da remoto da organizzare per i lavoratori che lavorano a distanza.

Il primo elemento è la naturale applicazione delle indicazioni contenute nei decreti legislativi. Il secondo (l’accordo sulle assemblee) risponde ad un bisogno certamente sentito, come emerso anche dal questionario sullo smart working che abbiamo realizzato come CUB-Sallca nei mesi scorsi; tuttavia ci sembra alquanto strumentale e retorico sottolineare “l’inderogabile valore della democrazia sindacale anche in questo periodo emergenziale” quando per anni non sono state indette assemblee e sono stati gettati alle ortiche i diritti individuali alle 10 ore annue, pur in presenza di problemi gravi ed accordi “pesanti”.

Non possiamo sorvolare sul fatto che le Organizzazioni Sindacali, uniche titolari del diritto a indire assemblee, negli ultimi anni hanno fatto di tutto per non esercitare questo diritto, che li avrebbe esposti al confronto con i lavoratori. L’assenza di confronto ha portato a una caduta del vincolo di mandato, consentendo alle Organizzazioni Sindacali di trattare e firmare accordi non condivisi con la propria base, rendendo lacunoso e sfuggente il rapporto tra lavoratori e propri (pseudo) rappresentanti. Ne è derivato un grave danno sul piano della fiducia nella propria forza contrattuale e nel funzionamento di meccanismi democratici nei processi decisionali.

Di fronte all’emergenza Covid, l’impossibilità di riunirsi in presenza e il diffondersi dello smart working peggiorano una situazione già deficitaria: l’accordo prova ad affrontare il problema, ma va ripensato il sistema di regole (o meglio la sua applicazione concreta) per rendere effettivo il diritto del lavoratore a discutere collettivamente sia dei propri problemi, sia degli obiettivi e delle proposte sindacali.

La partecipazione è un valore e le assemblee sono un diritto, che però va utilizzato in modo costante e continuativo, se si vuole difendere l’abitudine a discutere e sindacare: staremo a vedere l’utilizzo che si farà di questo diritto, appena conquistato, da parte delle organizzazioni firmatarie che (lo ripetiamo) detengono in esclusiva la facoltà di chiedere l’indizione delle assemblee dei lavoratori…

CUB-SALLCA

PICCOLI RISULTATI, GRANDI SODDISFAZIONI

 

Spesso tra i lavoratori e le lavoratrici prevale una stato di rassegnata passività, dovuta anche all’errata convinzione che non si possa far nulla contro lo strapotere aziendale. Invece un po’ di determinazione e la conoscenza della normativa possono portare a qualche piccolo, ma importante, risultato.

E’ accaduto, ad esempio, che venisse mandato il controllo medico ad un collega in malattia, il quale è risultato assente ma in grado di giustificare l’assenza con una motivazione assolutamente valida, già riconosciuta come tale in sede Inps.
Nonostante ciò, l’azienda ha addebitato una giornata di mancata retribuzione al collega.
Dopo una lettera del nostro avvocato ed una risposta in cui, ancora, pretendevano di avere ragione (mai ammettere gli errori, vero?) ma volevano mostrarsi magnanimi, la giornata è stata riaccreditata.

Interessante anche il caso di un collega che è stato trasferito e passato ad altro incarico quando gli mancavano pochi giorni al completamento del percorso ed al consolidamento della relativa indennità.
Anche in questo caso, dopo una risposta interlocutoria (mai ammettere di avere torto), l’indennità è stata consolidata.

Non è sempre necessario iniziare un’azione legale per fare valere i propri diritti, talvolta basta essere determinati a non farseli calpestare. Se poi viene in supporto un’azione sindacale ferma e coerente, qualche risultato arriva. Noi siamo per provare sempre a difendere i diritti, se anche i sindacati “riconosciuti” facessero altrettanto forse staremmo un po’ meglio.

Alcuni colleghi che, quando ad aprile venne pubblicata la richiesta aziendale di programmare almeno 6 giorni di ferie nel mese, non intendevano sottostare a questo sopruso, hanno presentato il piano ferie completo (seguendo i nostri suggerimenti e come da normativa aziendale ) ignorando la richiesta.
Nonostante qualche telefonata “motivazionale” dal Personale, chi ha tenuto la posizione ha potuto fare le ferie regolarmente programmate, senza doverle sprecare (se non gradite) quando l’Italia era in pieno lockdown ed era vietato persino leggere un libro su una panchina.

Infine, mentre per un certo periodo ci sono stati ostacoli (talvolta ci sono ancora) a fare lo smart working, vi sono anche stati casi di colleghi in filiale che venivano forzati a chiederlo. E’ stato sufficiente ignorare le sollecitazioni aziendali a compilare la lettera di richiesta e la cosa non ha avuto seguito.

Nonostante uno scenario di normative sempre più sfavorevoli per i lavoratori e la firma da parte dei sindacati al tavolo di accordi sotto dettatura aziendale, tuttavia alcune garanzie e alcuni diritti esistono ancora.
Con il nostro aiuto si possono far valere, quando ci sono le condizioni: basta essere determinati a farlo.

La sigla del nostro sindacato, S.A.L.L.C.A., significa Sindacato Autorganizzato, che implica un’azione attiva e partecipativa dei lavoratori, che devono essere in grado di far valere i propri diritti con la piena assistenza dell’organizzazione sindacale, sotto tutti gli aspetti.

Per questo serve rafforzare il sindacato di base, che trae la sua legittimazione dai lavoratori, non dalla controparte: lanciamo un appello all’iscrizione alla
Cub Sallca, ma anche all’attività sindacale, per chi vuole provare a impegnarsi in prima persona nella tutela delle condizioni lavorative.

 

CUB-SALLCA

COVID: USO E ABUSO DI UNA PANDEMIA

L’emergenza corona-virus ha prodotto un forte impatto sull’organizzazione del lavoro, i turni di lavoro, i servizi offerti dalle banche.

La necessità di tutelare addetti e utenti ha comportato una forte restrizione dei servizi di massa, creando spesso momenti di tensione e di scontro all’esterno e all’interno della rete filiali. Le chiusure di filiali e i vuoti di organico legati agli esodi non consentono, già di per sé, di fornire servizi adeguati.

Il riemergere di forti pressioni commerciali rischia di peggiorare ulteriormente la situazione, discriminando tra clientela “di pregio” che viene privilegiata perché redditizia e clientela di massa che viene del tutto abbandonata a sé stessa.

Quando poi questo processo viene guidato da una regia neanche troppo occulta, tocca ai lavoratori difendere un modello di banca inclusiva e sostenibile.

Quello che vale per Intesa Sanpaolo, può essere esteso, in misura più o meno accentuata, a tutto il resto del sistema bancario.

Buona lettura.

CUB-SALLCA

 

CIAO FIORELLA E GRAZIE DI TUTTO!

DA SEGRETERIA CUB-SALLCA

Ieri, 22 settembre, si è spenta dopo lunga sofferenza la nostra compagna Fiorella Remondino.

Era stata assunta nel 1977 dall’allora Sanpaolo di Torino e ci ha accompagnato con la sua militanza per oltre 40 anni, fino all’esodo di qualche anno fa. Durante quegli anni si è spesa personalmente in tutte le battaglie sindacali della nostra categoria e della nostra realtà aziendale, con generosità e coerenza.

Anche dopo il pensionamento ha proseguito il suo impegno e la sua partecipazione attiva sul piano politico e sociale, garantendo la sua presenza costante a tutte le iniziative e le manifestazioni importanti.

Durante la vita lavorativa aveva partecipato alla nascita di ALLBA e poi alla costruzione della CUB-SALLCA, dedicando parte del suo tempo alla gestione tecnica e amministrativa dell’organizzazione.

In seguito ha avuto un ruolo importante nella ripresa dell’iniziativa femminista, partecipando allo sviluppo di Non Una di Meno.

A tutti mancherà il suo sorriso, la sua critica intransigente, la passionalità profusa nei suoi interventi radicali, il richiamo alla concretezza.

Aveva solo 63 anni.

CIAO FIORELLA E GRAZIE DI TUTTO!

 

 

BANCA POPOLARE DI BARI: UN PIANO DI SOPRAVVIVENZA DOPO IL DISASTRO.

Si è finalmente voltato pagina nel percorso di salvataggio della Banca Popolare di Bari.

Ancora una volta dopo il fallimento “privato” di una Banca Popolare, gestita da 60 anni dalla stessa famiglia, successione dinastica compresa, con perdite pari a 1,144 miliardi di euro, deve intervenire il sistema bancario, nel suo complesso, ed il settore pubblico, in via prevalente, per evitare il baratro.

La messa in sicurezza dipendeva dall’adesione dei 70.000 soci, che dovranno rassegnarsi a recuperare le briciole.

I lavoratori pagano errori e reati altrui, con un accordo sindacale che produce 650 esuberi e 91 filiali da chiudere.

Oltre ai tradizionali strumenti utilizzati in tali casi (esodi ed incentivi al prepensionamento), qui ci sono rilevanti novità, ovviamente peggiorative, data la situazione.

Si incentivano i lavoratori a licenziarsi di propria iniziativa, si riduce l’orario di lavoro (ma anche le paghe…), si trasformano rapporti di lavoro a tempo pieno in rapporti a tempo parziale, si avviano trasferimenti passivi pesanti, più tutta una serie di misure che realizzeranno, nel complesso, risparmi per 67 milioni di euro.

Mentre la magistratura prosegue il suo corso, resta da spiegare come l’assenza di una seria vigilanza istituzionale e la latitanza di uno stringente controllo sindacale, abbiano potuto produrre un simile disastro, dove i lavoratori devono accettare condizioni capestro, sotto il ricatto occupazionale.

Buona lettura.

 

Banca Popolare di Bari.

Un piano di sopravvivenza dopo il disastro.

I soci della Banca Popolare di Bari hanno approvato nell’assemblea del 30 giugno, la trasformazione della banca in Spa e la consegna del controllo societario a Medio Credito Centrale e Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, i due soggetti che ricapitalizzando la banca per un totale di 1,6 miliardi di euro, la possono salvare dal fallimento e metterla in sicurezza.

Per i soci che avevano partecipato agli aumenti di capitale 2014-2015 la perdita quasi totale del capitale investito sarà compensata, in misura molto parziale, dall’indennizzo transattivo di 2,38 euro ad azione (valevano 9,50 euro nei tempi andati…) e dalla attribuzione di un warrant, a valere su una ipotetica e futura ripresa dei corsi delle azioni. Perché la delibera di salvataggio fosse valida, doveva votare a favore il 50% dei soci, rappresentanti almeno il 60% del capitale sociale. Come già per Carige nello scorso settembre, ci sono stati dubbi ed incognite fino al voto finale, ultima spiaggia per prevenire un fallimento totale: il sì ha vinto con il 97% dei votanti.

Propedeutico all’esito positivo della vicenda, doveva esserci l’accordo con i sindacati, per tagliare i costi e realizzare i necessari risparmi, su costo del lavoro ed altri costi operativi: condizione essenziale posta dai Commissari, dall’esecutivo e dai vertici di Bankitalia per finanziare il salvataggio. E l’accordo è arrivato nei tempi e nei termini previsti, come avremo modo di vedere.

Ma prima di arrivarci, converrà fare un po’ di storia, per ricostruire il percorso che ha portato all’ennesimo clamoroso fallimento  in campo bancario, con un costo per il bilancio dello stato che è salito ormai, a conti fatti dopo tutti i salvataggi realizzati,  ben oltre i 10 miliardi di euro. Risorse che avrebbero potuto essere impiegate diversamente; senza contare le decine di miliardi perdute dai risparmiatori, il più delle volte del tutto incolpevoli.

Fondata nel 1960, cresciuta in modo esponenziale a partire da inizio anni ’90, controllata da sempre dalla famiglia Jacobini, gestita per periodi alterni anche da Vincenzo De Bustis (ex. d.g. del MPS e presenza costante nei crack bancari più noti), la Banca Popolare di Bari ha commesso alcuni errori che sono poi risultati fatali. Tra essi gli acquisti a caro prezzo di 43 sportelli ISP nel 2007 e le 43 filiali  di C.R. Orvieto nel  2008, seguiti dalla rovinosa acquisizione della Tercas (che controllava Caripe) nel 2014, dietro autorizzazione di Banca d’Italia e con il sostegno del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, che intervenne con 330 miliardi di euro, fondi in seguito censurati dalla Commissione Europea come aiuti di stato in violazione della normativa Antitrust: l’inizio della fine.

Un’indagine partita nel 2017 in seguito ad una denuncia di un dipendente (ora si direbbe un whistleblower) porta allo scoperto le false informazioni sociali fornite nei prospetti per gli aumenti di capitale del 2014 e del 2015. I vertici vengono sanzionati pesantemente e si comincia a fare luce sui veri conti della banca. Il bilancio 2018 chiude con 420 milioni di perdite e la crisi è ormai conclamata.

In questo susseguirsi di azioni concitate, per dissimulare il reale stato di salute della banca, non si può tacere del ruolo a dir poco imbarazzante dei sindacati trattanti. Almeno due episodi meritano di essere citati.

Nelle 400 pagine dell’ordinanza del GIP del Tribunale di Bari per il rinvio a giudizio dei vertici della banca per falso in bilancio si legge, precisamente a pag. 371 e seguenti, l’intercettazione tra due dirigenti aziendali a proposito dell’accordo del 2017 per i 514 esuberi della C.R. Orvieto e si legge testualmente, a proposito di un’opera di persuasione della BPB nei confronti dei sindacati: “”in guerra come in guerrasi è comprato i sindacati... non si possono comprare pure l’anima e l’affetto (sembra dire) di tutti quanti mo’ vedremo…”.  Poi tra i 9 esponenti aziendali rinviati a giudizio non ci sono sindacalisti, quindi non risulta emerso nulla di penalmente rilevante, ma certo il contenuto del discorso finito nell’inchiesta apre forti dubbi sull’indipendenza dei rappresentanti dei lavoratori.

L’altro episodio è meno generico ed esplicitamente targato Fabi, come riporta la cronaca locale:  ”A questo proposito c’è il caso di Carmine Iandolo, iscritto alla Fabi dal 2016 (prima era in Fisac, n.d.r), fino a pochi mesi fa responsabile dell’Organo di coordinamento del gruppo Bpb e Cari Orvieto. In un congresso sindacale del 2017 Iandolo dichiarò che la Popolare “è gestita magistralmente dal nostro grande presidente Marco Jacobini con la collaborazione dei suoi figli“. L’affermazione pare abbia lasciato basito lo stesso Segretario Generale Lando Maria Sileoni,  che era presente, e che a frittata ormai fatta ha dovuto ammettere che ” La banca non aveva gli anticorpi. Anche i sindacati di Bari hanno la responsabilità di non aver saputo quello che stava accadendo”. Peraltro non la sola Fabi aveva un atteggiamento condiscendente verso il vertice della BPB, se è vero quanto afferma lo stesso Sileoni: “Aggiungo però una cosa che mi è stata riferita da alcuni colleghi: fino ad alcuni anni fa quando le persone venivano assunte in banca, insieme alla lettera di assunzione gli veniva presentata la tessera di due organizzazioni sindacali. Fra queste non c’era la tessera della Fabi”.

In ogni caso il degrado dei conti della Banca porta al Commissariamento da parte della Banca d’Italia in data 13.12.2019 e poi all’arresto di Marco e Gianluca Jacobini nel gennaio 2020, dopo un ultimo tentativo di distrazione di fondi per milioni di euro, dai conti della banca a favore di conti personali. Il 16 luglio 2020, presso il Tribunale di Bari, partirà il processo penale nei loro confronti, rispettivamente ex presidente ed ex condirettore della Banca Popolare di Bari, accusati di 14 capi d’imputazione tra cui i reati di falso in bilancio, falso in prospetto e false comunicazioni.

Per quanto riguarda i lavoratori, come dicevamo, si è aperta la procedura di confronto che ha portato all’accordo sindacale lo scorso 10 giugno. La gravità della crisi ha prodotto un accordo che chiude 91 filiali (su circa 350) e riduce i costi di circa 67 milioni di euro, portando l’individuazione degli esuberi dai 900 inizialmente richiesti dalla banca ai 650 definiti dall’accordo. Ampia, innovativa e in alcuni casi anche peggiorativa è la gamma degli strumenti utilizzati o utilizzabili. Visto che nel settore tutto rappresenta un “precedente”, sarà bene analizzare nel dettaglio le novità, che potranno essere copiate, in futuro, in situazioni analoghe.

I lavoratori che possono andare in pensione entro il 2021 con “quota 100” avranno un incentivo che va da due ad otto mensilità nette, in relazione ai mesi di anticipo rispetto alla finestra ordinaria.

Le colleghe che accetteranno di andare in pensione con “opzione donna” avranno un incentivo pari a nove mensilità nette.

Avranno la possibilità di andare in esodo con il Fondo di Solidarietà tutti i lavoratori e le lavoratrici che matureranno il diritto alla pensione entro il 31.12.2029. Possono presentare richiesta anche i lavoratori che intendono avvalersi del riscatto degli anni di laurea e che maturerebbero i requisiti nel 2030 e 2031 (il costo del riscatto sarebbe a carico del Fondo).

Le tempistiche di uscita avverranno, con modalità diverse, tra il 30.09.2020 ed il 31.12.2024. I lavoratori che maturano il trattamento di pensione entro il 31.12.2027 cesseranno dal servizio gradualmente, in modo da permanere nel Fondo per 36 mesi. I lavoratori che matureranno il trattamento tra il 31.12.2027 ed il 31.12.2029 usciranno non più tardi del 31.12.2024 (in questi casi si potrà restare nel Fondo per periodi maggiori, fino a 60 mesi).

Qui c’è la prima importante novità: chi sta nel Fondo per più di 36 mesi vedrà dal 1.1.2022 trasformarsi il proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, con orario non superiore al 70%. Rientrerà a tempo pieno solo nel mese precedente l’accesso al Fondo.

Inoltre, ed è una seconda novità,  i lavoratori che aderiscono alle tre opzioni (quota 100, opzione donna, esodo), assegnati a filiali in chiusura e passibili di trasferimento oltre i 70 km, potranno richiedere di essere collocati in aspettativa parzialmente retribuita al 60% per il periodo che va dalla chiusura della filiale alla data di cessazione del rapporto di lavoro.

Sia per gli uni che per gli altri (cioè chi passa al part-time con il 70% e chi va in aspettativa pagata  al 60% della retribuzione) l’azienda verserà a previdenza complementare aggiuntiva il 10% della differenza netta, cioè della perdita retributiva subita.

Una terza importante novità rappresenta la previsione, per chi NON ha i requisiti per accedere né  al Fondo di Solidarietà né al trattamento pensionistico, di risolvere il proprio rapporto di lavoro (cioè di licenziarsi) per accedere alla parte emergenziale del Fondo. In questo caso, come sappiamo, il Fondo prevede un’integrazione al trattamento ASPI differenziato (fino all’80% – 70% – 60% dell’ultima retribuzione, in base alla fascia di reddito). Questo trattamento ha una durata di 24 mesi totali. E’ previsto poi un periodo di 12 mesi in cui l’azienda fornisce un servizio di “outplacement” (sostegno alla ricerca di un nuovo lavoro, anche attraverso corsi di riqualificazione), secondo quanto previsto dal Regolamento del Fondo.

Ai lavoratori che accettano questa soluzione viene offerto un incentivo pari a 12 mensilità nette.

Sono previste poi ulteriori misure tese a ridurre i costi.

La principale rappresenta un vero “contratto di solidarietà”, inteso come meno orario e meno salario. Fino al 31.12.2024 l’orario di lavoro viene ridotto per tutti a 35 ore settimanali con corrispondente riproporzionamento della retribuzione rispetto all’orario settimanale di lavoro di 37,5 ore. La riduzione può essere distribuita su base settimanale (7 ore al giorno di lavoro), oppure cumulata in giornate intere mantenendo in questo caso immutato l’orario giornaliero di 7,5 ore  (e cumulando 2,5 ore di riduzione per ogni settimana di effettivo servizio).

E’ previsto fino al 2024 un contributo di solidarietà per tutti coloro che hanno percepito nell’anno precedente una RAL superiore alla retribuzione tabellare prevista dai CCNL per il relativo inquadramento. La percentuale del contributo varia dal 5% al 20% in proporzione all’entità della quota eccedente.

Sempre nell’arco di validità del piano, cioè fino al 31/12/2024:

  • È sospesa l’erogazione del premio di rendimento eccedente lo standard di settore;
  • Il contributo aziendale a previdenza complementare non può superare il 2%;
  • Il Tfr per i dirigenti è calcolato su una base imponibile circoscritta allo stipendio ed eventuale ad personam.
  • Non verrà consentito lavoro straordinario e quello eccezionalmente autorizzato confluirà in banca delle ore.

In conclusione possiamo dire di essere in presenza di un accordo figlio dei tempi e della situazione estremamente deteriorata della banca.

L’azienda cercherà entro la fine del 2020 di vendere le 94 filiali indicate come possibile oggetto di chiusura, ma qualora non riuscisse a trovare compratori interessati, procederà alla chiusura di 91 sportelli, con potenziali e pesanti ricadute in termini di mobilità del personale. Il trattamento di mobilità giornaliera è limitato ad una distanza superiore ai 30 km e ad una durata di 36 mesi.

Resta come interrogativo come si sia potuto arrivare fino a questo punto senza che nessuno sia intervenuto per prevenire la catastrofe o porre rimedio ad uno stato d’avanzata decomposizione quando i dati hanno iniziato ad essere noti.

A perdere sono le finanze pubbliche (perché nessun privato si è azzardato a rischiare un euro per salvare il salvabile), l’economia del meridione in generale (dove la presenza di soggetti creditizi si fa sempre più labile) ed i lavoratori (che devono contribuire pesantemente in termini di posti di lavoro e di taglio allo stipendio).

Come sempre si interviene quando i buoi sono scappati, fino al prossimo giro di giostra…

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni

Fase 2, un accordo di settore sciagurato, da contrastare

DA CUB SALLCA
A Iscritti/e, lavoratrici e lavoratori

Abbiamo letto con preoccupato stupore l’accordo, stipulato il 12 maggio tra Abi e sindacati firmatutto, che consente, dal 18 maggio, l’ingresso nelle filiali dei clienti senza appuntamento, pur mantenendo il vincolo che all’interno ci sia non più di un cliente per ogni addetto.

Abbiamo atteso qualche giorno prima di far uscire il nostro commento, per monitorare quanto sarebbe accaduto.

Almeno per la settimana dal 18 al 22 maggio i principali gruppi bancari (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi) hanno confermato il meccanismo degli appuntamenti e degli organici ridotti nelle filiali (ma in Ubi questo ultimo aspetto sta per essere superato).

Anche nei comunicati degli altri sindacati tutti sembrano concordare sul fatto che, laddove sia presente il servizio di cassa tradizionale, uno dei problemi maggiori è l’affollamento che si crea fuori dalle filiali, fonte di grave pericolo per i lavoratori e per i clienti stessi.

Ma allora perché firmare un accordo del genere? Il fatto che molte banche, per ora, non lo abbiano applicato, non giustifica questa scelta: non si firmano accordi per poi sperare nel buon cuore della controparte e nella non applicazione a livello aziendale.

Già oggi si creano assembramenti, se passasse il messaggio del “liberi tutti” la situazione diverrebbe ingestibile. Il sistema degli appuntamenti va mantenuto fino a quando verrà considerato necessario il distanziamento sociale.

Sanzioni a 4 banche per pratiche scorrette su mutui e polizze

 

L’Antitrust ha comminato svariati milioni di sanzione a BNL, Intesa Sanpaolo, Ubi, Unicredit e obbligo di pubblicazione dei provvedimenti su tre quotidiani,  per pratiche commerciali scorrette relative alla vendita di polizze assicurative abbinate ai mutui.

I contenuti dei  provvedimenti sono reperibili accedendo a questi link:

PROVVEDIMENTO VS. INTESASANPAOLO
https://www.agcm.it/dotcmsCustom/tc/2025/3/getDominoAttach…

PROVVEDIMENTO VS. BNL
https://www.agcm.it/dotcmsCustom/tc/2025/3/getDominoAttach…

PROVVEDIMENTO VS. UBI
https://www.agcm.it/dotcmsCustom/tc/2025/3/getDominoAttach…

PROVVEDIMENTO VS. UNICREDIT
https://www.agcm.it/dotcmsCustom/tc/2025/3/getDominoAttach…

Dentro i provvedimenti troviamo documentate tutte le nefandezze che denunciamo da anni: pressioni indebite per raggiungere gli obiettivi commerciali anche ricorrendo a pratiche scorrette, confronti e classifiche per “motivare” chi resta indietro, sistemi incentivanti per premiare i comportamenti più aggressivi.

Auspichiamo che questa sanzione serva da monito a quei colleghi che applicano pedestremente le direttive aziendali impartite da responsabili troppo “disinvolti” nelle pratiche commerciali aggressive, mentre sottolineiamo come invece possa costituire un valido supporto a quei colleghi che sono corretti e professionali nel loro agire quotidiano. Chi agisce male rischia di essere sanzionato (in vista di un premio incerto e transitorio), chi lavora bene viene premiato prima di tutto dall’integrità della propria coscienza e poi dalla soddisfazione della clientela: resistere alle pressioni si può e si deve!

CUB-SALLCA 

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