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Il ragionamento sul contratto non può prescindere né dal contesto in cui si è svolto, né dalla vicenda dell’ultimo precedente rinnovo, che esponeva le segreterie al rischio di un nuovo e pesante flop. Lo sviluppo degli avvenimenti è stato per certi aspetti sorprendente, non era scontato né attendersi uno scontro vero (che invece in certi momenti è andato in scena non solo per finta), né una conclusione che per quanto mi riguarda è ben riassunta dal titolo “contratto prorogato” (nel bene e nel male, checché ne dica “Infoaut”).
Le banche questa volta sembravano decise ad andare fino in fondo, “cambiando verso” ad una storia di concertazione sociale “da manuale” che aveva permesso di gestire, per circa 15 anni, oltre 50.000 esodi con un patto da gentlemen, all’insegna del “non facciamoci del male”. I sindacati invece non riuscivano a credere all’evidenza, cioè a farsi una ragione del fatto che la pacchia potesse essere finita e che le cose andassero riconquistate ripartendo da zero, cominciando proprio dal loro diritto a trattare (che avevano sempre considerato acquisito in via definitiva). Per riuscire a portare a casa la pelle, cioè a ripristinare lo status quo, questa volta è stato necessario battersi o perlomeno minacciare di farlo in modo serio e organizzato, peraltro riuscendoci abbastanza bene e a volte anche oltre i prevedibili esiti.
Il rinnovo del contratto, se visto alla luce della situazione del primo semestre 2013, poteva essere immaginato in forma molto diversa: nel CCNL 19.1.2012 le banche avevano ottenuto quasi tutto, senza colpo ferire. I sindacati avevano persino truccato le carte per sostenere di avere il consenso a firmare un bidone. L’orchestrazione delle assemblee, il tentativo di sterilizzare la Campania e la Liguria ribelli, il rinvio alle calende greche delle assemblee nel Lazio, per evitare esiti letali, la generale mistificazione dei risultati non verificabili, avevano alla fine portato ad un risultato addomesticato presentabile (60-40%), ma poco credibile.
Al rinnovo del contratto era seguito il tradizionale riassorbimento della FISAC dissidente (che, nella più classica tradizione CGIL, ha considerata chiusa l’esperienza, una volta esaurita, e ha ricontrattato il riposizionamento interno), e la normalizzazione accelerata della Unisin-Falcri, ansiosa di riaccreditarsi come soggetto affidabile per il 1^ tavolo. Del Comitato per il No è rimasto in piedi, isolato e ignorato, solo lo spezzone CUB-SALLCA.
Si poteva quindi pensare che ABI avrebbe “capitalizzato la capitolazione” dei sindacati anche per il rinnovo successivo, quello che si è appena concluso. In fondo in tutti i gruppi bancari sono stati impostati, nei mesi immediatamente successivi al CCNL 19/1/2012, piani industriali di ampia portata, con esuberi ed esodi, riduzioni degli organici, solidarietà difensiva, esaurimento delle ferie, giornate di sospensione obbligatoria e/o volontaria, blocco dei percorsi professionali, non pagamento dello straordinario, peggioramento dei trattamenti di missione. Nei casi più gravi, laddove la situazione patrimoniale era così deteriorata da mettere in forse la stessa sopravvivenza dell’azienda come entità autonoma, abbiamo addirittura assistito a forti riduzioni nelle prestazioni del welfare aziendale, al blocco o alla mancata erogazione del VAP, alla riduzione dei contributi previdenziali integrativi. Quasi ovunque, si è fatto ampio ricorso a forme di utilizzo del premio sociale, a carattere assistenziale, per ridurre il peso di tasse e contributi. Il tutto ha contribuito ad una forte riduzione del costo del lavoro, che alcuni istituti hanno quantificato in almeno il 10%. Uno studio di Prometeia, ripreso dall’ABI, quantifica un calo della componente stipendi nel settore di circa 5 miliardi (da 27 a 22 miliardi) nel periodo 2007-2017. Buona parte di questo calo è ascrivibile al CCNL 19/1/2012!
ABI avrebbe quindi potuto scegliere una linea soft, puntare ad un rinnovo a basso impatto sociale, con modalità silenti e consensuali. Invece sin dalla disdetta del settembre 2013 si è capito che non sarebbe stata una passeggiata rituale.
Se andiamo a sgranare la cronologia della sequenza contrattuale, in realtà, vediamo la costante presenza di un doppio binario, la vecchia tattica dei due forni, un continuo stop & go.
Nell’agosto 2013 ABI (gestione Micheli) rende noto un documento corposo in cui dipinge un quadro drammatico della situazione del settore, ne individua le cause nell’eccesso di costo del lavoro e chiede un cambiamento radicale della struttura contrattuale. A settembre 2013 segue formale disdetta del CCNL con ben 9 mesi di anticipo rispetto alla scadenza naturale. I sindacati indicono uno sciopero per il 31 ottobre 2013. Lo sciopero riesce con alte ed estese adesioni.
La trattativa riprende e si arriva ad un nuovo accordo sul Fondo di sostegno al reddito: vengono peggiorate le prestazioni per i lavoratori che hanno ancora il sistema retributivo pieno, con penalizzazioni differenziate in base al reddito, ma lo strumento resta come principale ammortizzatore sociale di settore nel gestire lo svecchiamento della categoria e la gestione degli esuberi. Nello stesso tempo si sigla un accordo che individua un percorso di rinnovo del CCNL: entro il 28 febbraio 2014 deve essere presentata la piattaforma sindacale, entro il 31 marzo 2014 deve iniziare la trattativa.
Alla fine di gennaio compare la “bibbia”: si tratta di un documento di fonte ABI, non ufficiale, probabilmente circolato nei contatti informali tra ABI e segreterie nazionali, che si decide di non diffondere e non rendere pubblico. Difficile però smentirne l’esistenza e l’autenticità: difficile soprattutto abiurarne i contenuti, che altro non sono che la trasposizione del documento di agosto in richieste operative, declinate con puntuali e precise rivendicazioni padronali in tema di riforme contrattuali da esigere.
Il documento crea imbarazzi e smentite, è evidente e palese che ha l’intento di condizionare o sovrapporsi all’elaborazione autonoma della piattaforma rivendicativa da parte dei sindacati, che invece procedono per conto loro a predisporre un documento sufficientemente generico ed accattivante per affrontare il percorso assembleare al riparo da brutte sorprese.
I tempi slittano, ma di poco: la piattaforma è pronta per inizio aprile, le assemblee la votano a grandissima maggioranza ed entro maggio viene inviata alla controparte: ci sarebbero i tempi per cominciare a discuterne, insieme al “nuovo modello di banca” che viene proposto dai sindacati alla controparte, all’opinione pubblica, al sistema delle imprese e dei risparmiatori. L’iniziativa dei sindacati è ad ampio raggio: si propone ai lavoratori una piattaforma che punta a difendere l’area contrattuale, a limitare le iniziative aziendali su appalti ed esternalizzazioni, a condizionare i piani industriali, a difendere l’occupazione, a recuperare il potere d’acquisto attraverso una richiesta economica pari a 175 euro al mese da acquisire entro la scadenza del contratto, prevista al 30.06.2017. Nello stesso tempo si propone alle banche un patto in difesa dell’occupazione basato sull’aumento dei ricavi, sull’apertura a nuove figure professionali e a nuovi servizi (consulenza fiscale e amministrativa, intermediazione immobiliare, offerte di nuovi pacchetti di servizio, ecc.), mentre si cerca di rendersi simpatici a imprese e consumatori, sponsorizzando l’uso della leva del credito come strumento di sostegno all’economia reale, in luogo della finanziarizzazione spinta del modello economico di riferimento.
La trattativa però stenta a decollare: in ABI scade il mandato di Francesco Micheli come presidente del CASL e subentra Alessandro Profumo, che prende in mano la trattativa dalla fine di luglio 2014. Il primo scoglio da affrontare è il consolidamento in tabella degli aumenti retributivi del CCNL 19.1.2012: il famoso EDR. L’accordo del 6.10.2014 prevede l’inserimento in tabella con decorrenza 1.1.2015 e la “saldatura” del contratto scaduto il 30.6.2014 con quello nuovo che si andrà a rinnovare, auspicabilmente, entro la fine dell’anno. Ma nel merito della trattativa, a questo punto, non si è ancora entrati.
Gli incontri riprendono senza costrutto fin quando, a inizio novembre 2014, l’ABI presenta un documento di 6 cartelle che ripropone in versione stringata e sintetica le richieste che da oltre un anno “girano” attorno alla trattativa senza mai essere formalizzate. ABI chiede di depotenziare il CCNL ad una semplice cornice, che stabilisca norme e minimi retributivi base, per lasciare alla contrattazione di 2^ livello gli spazi opportuni per adattare la struttura contrattuale alle specifiche esigenze aziendali. Chiede di poter applicare ai back office trattamenti compatibili con i “mercati di riferimento”, cioè orari aumentati e retribuzioni ridotte. Propone di separare più nettamente i servizi amministrativi dalla rete commerciale, con l’introduzione di forme di lavoro autonomo. Chiede di rivedere la struttura degli inquadramenti, accorpando i livelli da 13 a 6 e porre rimedio alla situazione di eccessivo addensamento delle figure professionali nell’area dei quadri direttivi. Chiede di rinnovare il contratto a costo zero, precisando che non ci sono margini economici per concedere aumenti retributivi. Partendo da una ricostruzione degli indici d’inflazione effettiva e dalla previsione di una situazione deflattiva, offre un aumento economico dell’1,85%, precisando che nell’offerta economica devono essere inclusi anche gli effetti del ripristino degli scatti di anzianità, mentre resterebbe il blocco del TFR con il conteggio delle soli voci previste nell’ultimo triennio.
A questa impostazione dell’ABI i sindacati reagiscono con la rottura delle trattative, anche se l’indizione di scioperi è preclusa in quanto deve trascorrere il semestre di raffreddamento del conflitto previsto dal protocollo di settore del 24.10.2011. La proclamazione del 2^ sciopero di categoria viene così rinviata al nuovo anno e viene fissata al 31.01.2015, con l’indizione di 4 manifestazioni di piazza, che si svolgeranno a Milano, Ravenna, Roma e Palermo, mentre la CUB-SALLCA manifesta a Torino.
Lo sciopero ottiene un’ottima adesione e sorprendentemente anche le manifestazioni di piazza riescono bene, con una buona copertura mediatica. In particolare la manifestazione di Milano vede sfilare, oltre ad una nutrita delegazione di sindacalisti di mestiere, sia del settore che confederali, anche molti lavoratori ruspanti e partecipativi.
Il contratto dei bancari diventa per qualche settimana l’emblema di una situazione più generale in cui oltre 7 milioni di lavoratori hanno il contratto scaduto e l’azione congiunta di governo e padronato contribuisce ad alzare la tensione sociale anche in settori dove la presenza, seppure ridotta, di utili e margini potrebbe favorire la ripresa della domanda e un ruolo della contrattazione. La scarsa popolarità di cui godono i banchieri, la moderazione della piattaforma e la determinazione dei lavoratori nel partecipare alle lotte, alla fine convincono l’ABI a riprendere il negoziato con obiettivi più contenuti. La trattativa finisce per concentrarsi sui tre soli nodi della parte economica, della revisione degli inquadramenti e delle garanzie da mantenere sull’area contrattuale. Di fatto lo scambio avviene, dopo la convulsa settimana precedente alla possibile disapplicazione del contratto, tra parte economica e parte normativa.
La durata del contratto viene prorogata al 31.12.2018, gli aumenti vengono scaglionati su tre anni, con prima decorrenza 1.10.2016, la consistenza è dimezzata rispetto alla richiesta iniziale e una parte rilevante degli aumenti viene finanziata dal permanere del blocco delle voci su cui viene conteggiato il TFR. Nel corso dell’intera vigenza del contratto, che diventa quadriennale, così come la contrattazione integrativa aziendale, l’impatto economico è contenuto al 3% circa. Si tratta di un aumento infimo per la stragrande maggioranza dei lavoratori.
Gli unici ad avere qualche motivo di soddisfazione per la parte economica sono naturalmente i lavoratori di nuova assunzione, che vedono ridursi l’abbattimento del salario d’ingresso dal -18% al -10%. Per coloro che sono già in servizio, in quanto assunti/confermati sulla base del CCNL 19.1.2012, il recupero avviene a spese del FOC, che come sappiamo è finanziato per il 90% dai lavoratori (in termini di banca ore/festività soppresse) con modalità obbligatorie e per il resto dal Top management che versa con modalità volontarie il 4% della propria retribuzione contrattuale, mentre le aziende non contribuiscono per nulla (ente bilaterale molto anomalo!).
Le contropartite per l’esito umiliante della parte economica consistono nella “tenuta” dell’area contrattuale e nel “rinvio” della manovra sugli inquadramenti. Sul primo versante le aziende hanno rinunciato ad ampliare in modo incontrollato l’area dei contratti complementari, che peraltro sono previsti in contratto sin dal 1999 e che dovrebbero funzionare soprattutto nell’improbabile fase dell’insourcing, cioè quando si riportano dentro il perimetro societario delle lavorazioni appaltate all’esterno. Sul secondo versante si è deciso di aprire un “cantiere di lavoro”, che entro 12 mesi dovrebbe produrre una sintesi, da applicare poi nel contratto successivo: intanto però le banche possono contrattare nuovi inquadramenti in sede aziendale, stabilendo situazioni ex-novo.
Ovviamente viene dato molto rilievo al FOC, che da fondo bilaterale destinato a produrre o stabilizzare nuova occupazione dovrebbe estendere la sue prerogative anche al riassorbimento di lavoratori espulsi in seguito a situazioni di crisi, o alla loro riqualificazione professionale. Di fatto le aziende potranno attingere, senza obbligo, a questo bacino, se vi troveranno le competenze che cercano, mentre le risorse saranno, come prima, a carico dei lavoratori, come abbiamo già ribadito.
In sostanza le aziende portano a casa un contratto “snello”, molto distante da quello su cui puntavano, ma anche poco costoso rispetto agli impegni esigibili. Nei fatti hanno ottenuto nell’arco di tempo in cui si è svolta la vicenda contrattuale, innumerevoli e imprevisti vantaggi “extra-contrattuali”, che hanno in parte abbassato le loro pretese e intercettato le loro reiterate richieste alla “politica”. Basti pensare ai 2,5 miliardi di euro che nel triennio riusciranno a recuperare come conseguenza del nuovo trattamento fiscale riservato all’ammortamento dei crediti incagliati. Basti pensare ai 3,7 miliardi che riusciranno a risparmiare in base alla legge di stabilità e all’esenzione della base imponibile IRAP. Basti pensare ai 7,5 miliardi che hanno ottenuto come rivalutazione patrimoniale delle quote detenute in Banca d’Italia. Basti pensare agli 8.000 euro annui che riusciranno a risparmiare, per i primi tre anni, per ogni lavoratore neo-assunto, come effetto della de-contribuzione (sommando, vengono fuori 24.000 euro a cranio). Per non parlare dei vantaggi del nuovo contratto a tutele crescenti per i lavoratori assunti dopo il 7.3.2015 e delle possibilità che si aprono con le norme applicative del Jobs-Act.
I sindacati chiudono la vicenda cantando vittoria e non perdono occasione per auto-incensarsi. In realtà la trattativa si chiude con un sostanziale pareggio, che lascia totalmente irrisolti i problemi pregressi, dal peso non certo irrilevante.
Si pensi alla vicenda degli orari, di lavoro e di sportello, che sono stati liberalizzati con l’ultimo contratto e non hanno conosciuto alcuna rivisitazione critica, nonostante siano evidenti gli impatti devastanti nell’organizzazione dell’unica banca (Intesa Sanpaolo) che li ha applicati in modo esteso e massiccio.
Si pensi alla vicenda dei Consorzi ed al loro utilizzo per costituire in società pezzi di lavorazione da cedere poi a soci esterni al perimetro contrattuale del credito (Unicredit, Banca MPS, Bnl), con le fragili tutele che tendono ad indebolirsi ulteriormente nel tempo e che anche le nuove previsioni in termini di Area Contrattuale non possono impedire.
Si pensi allo spazio enorme concesso sul terreno del salario, spazio che sarà riempito da nuovi e corposi sistemi incentivanti su iniziativa aziendale, in barba a tutti gli impegni contro le politiche commerciali aggressive.
Si pensi ai nuovi modelli distributivi, che fanno ogni giorno carta straccia degli accordi esistenti in tema di inquadramenti, indennità, mansioni, e che vengono usati per anticipare nuovi schemi contrattuali, mai discussi con i rappresentanti dei lavoratori.
Non si tratta quindi di vedere il bicchiere mezzo vuoto (come fa la Fisac malpancista) o mezzo pieno (come fa “Infoaut”), ma di cogliere il senso di questo rinnovo sul piano politico e sindacale.
Un’occasione sprecata per riconquistare il terreno perduto, nonostante i rapporti di forza messi in campo in categoria di fronte alla protervia dei banchieri.
Un ulteriore passaggio verso un sistema più deregolato, dove la riduzione al minimo del recupero retributivo lascerà a mani vuote i lavoratori delle imprese in forte crisi (Mps, Carige, Banca Marche, Pop. Etruria e via commissariando) ed apre grandi spazi di discrezionalità aziendale laddove i margini restano (o tornano) più alti e la situazione patrimoniale più solida. Gli ammortizzatori sociali continueranno ad essere finanziati dal contributo dei lavoratori, in una fase dove si vedrà poca nuova occupazione e nuovo intensificarsi del flusso in uscita (anche come conseguenza delle nuove aggregazioni connesse alla riforma delle banche popolari).
Denunciare questo stato di cose anche attraverso il voto negativo sull’ipotesi di rinnovo mi sembra una scelta coerente, seppure complicata da articolare e spiegare. L’auspicio è che non tutti i quadri sindacali abbiano la mente ottenebrata da questo apparente successo e che resti un po’ di materia grigia e senso della realtà per valutare le cose nel merito e intravvedere gli scenari di mutamento radicale che si aprono nel settore.
Torino, 16.4.2015 RENATO STRUMIA
L’attacco dell’ABI è stato respinto.
Il Contratto Nazionale rimane in sostanza quello sancito dalla pesantissima sconfitta del
2012. Quello che ha consentito manovre sugli orari devastanti (come in Intesa Sanpaolo); quello che ha spinto ai margini della categoria e che tiene in uno stato di incertezza e precarietà migliaia di lavoratori ceduti ai Consorzi (come in BNL, Unicredit, MPS); quello che ha concesso alle banche enormi e strutturali risparmi sul terreno del salario contrattato, lasciando praterie alla discrezionalità dei sistemi incentivanti; quello che non è riuscito ad impedire l’esplodere del fenomeno delle pressioni “alla vendita”, sempre più opprimenti.
L’attacco dell’ABI è stato respinto.
Ciò significa in termini più concreti che l’area contrattuale rimane quella attuale e che la manovra sugli inquadramenti viene rinviata.
Sul primo versante, le aziende hanno rinunciato ad ampliare l’utilizzo dei contratti complementari ma, in compenso, nessuno degli strumenti di rafforzamento delle attuali fragili tutele è stato ottenuto, né impegni più cogenti sul terreno dell’insourcing, una delle tante bufale del 2012.
Sul secondo versante si è deciso di aprire un “cantiere di lavoro”, che entro 12 mesi dovrebbe produrre una sintesi da applicare poi nel contratto successivo: intanto però le banche potranno contrattare nuovi inquadramenti in sede aziendale e non è detto che sarà per migliorarli!!
L’attacco dell’ABI è stato respinto.
La cornice contrattuale quindi è stata difesa (ed è ovviamente un bene preziosissimo) ma è quella debole e manomessa da anni di sconfitte ed arretramenti. I banchieri, tutto sommato, se ne sono fatti una ragione visto che sono stati loro a chiedere di prolungare la durata del nuovo contratto (sino a fine ’18). Presto ripartirà il risiko bancario (crisi aziendali, banche popolari) ed il ventaglio di strumenti che già hanno a loro disposizione (quadro legislativo, effetti del jobs act, possibilità di deroghe al contratto nazionale, nuovi inquadramenti) sono stati ritenuti, ahimè, più che sufficienti per affrontare quattro anni di ristrutturazioni e contrattazioni aziendali beneficiando di rapporti di forza consolidati.
L’attacco dell’ABI è stato respinto e qualche sacrificio era necessario.
Per esempio quello di buttare alle ortiche un’intera piattaforma, l’ennesima (ma perché continuano a farle?).
Non ci sarà nessun “nuovo modello di banca”, concetto sul quale i sindacati firmatari puntavano forte e per il quale nelle assemblee si erano spesi con parole roboanti. Resterà in vigore quello amato da banchieri, faccendieri, poteri forti.
La questione centrale delle pressioni commerciali non è stata nemmeno affrontata. Nulla nemmeno sul terreno della riduzione della discrezionalità aziendale in tema di orari di sportello o di sistemi incentivanti. Nessun risultato in positivo, come detto, anche sul fronte delle cessioni di ramo d’azienda.
L’attacco dell’ABI è stato respinto e qualche sacrificio era necessario.
Per esempio il salario, visto che siamo di fronte al secondo contratto totalmente autofinanziato. Lo dimostra in primo luogo il fatto che nel corso della “trattativa” sia stato ridotto l’importo e prorogata la decorrenza della prima tranche di “aumenti” (sino ad arrivare ai ridicoli 25 euro lordi dell’ottobre 2016) pur di far quadrare comunque i conti.
Si dice che nel 2012 andò peggio, peccato che allora solo il fronte per il NO svelò il trucchetto mentre i sindacati firmatari, dopo aver negato l’evidenza nelle assemblee, recentemente hanno giurato che non sarebbe più successo. E’ invece è accaduto, visto che la riduzione della base di calcolo del TFR (ormai strutturale e addirittura retroattiva!!) si porterà via buona parte degli incrementi tabellari ed il resto lo farà il conseguente impatto sulla previdenza integrativa (cosa che, detto per inciso, penalizza fortemente proprio i giovani…)
L’attacco dell’ABI è stato respinto e in più il Contratto ha un’anima sociale.
Su questo non ci possono essere dubbi e lo diciamo senza alcuna ironia.
Solo che “la solidarietà” non è il frutto di un concorso tra le due controparti ma è tutta farina del nostro sacco. Sono infatti circa 1.200.000 giornate lavorative aggiuntive quelle che la categoria “offre” per sostenere il prolungamento della durata e l’allargamento delle finalità del FOC (Fondo per l’Occupazione) nel quale, ricordiamo, le banche non mettono un euro. Siamo noi quindi che forniremo ai banchieri gli incentivi economici per favorire la rioccupazione dei lavoratori licenziati nel settore, la solidarietà espansiva, la riconversione professionale, le nuove assunzioni. E saremo noi, e questo ha del clamoroso, a pagare agli attuali apprendisti il parziale recupero salariale (oltre 200€ lordi) rispetto alle tabelle contrattuali (dal -18% al -10%).
Ed a questo proposito è giusto rimarcare come l’incremento del “salario di ingresso” per i futuri assunti, sprofondato negli anni a livelli imbarazzanti, è una delle poche buone notizie che ci riserva questo rinnovo contrattuale. Anche in questo caso, tuttavia, l’operazione è a costo zero per le banche visti gli sgravi fiscali (8.000 euro all’anno per tre anni) previsti dal jobs act, per non parlare, ovviamente, dei vantaggi derivanti dal fatto di poter assumere lavoratori precari e licenziabili (anche ingiustamente) a vita.
L’attacco dell’ABI è stato respinto in un contesto molto difficile.
Nessuno può metterlo in dubbio. Solo che dipende sempre da chi racconta la storia e spesso le Premesse ad un Contratto non mentono su chi sia il vero vincitore. Nel nostro caso contengono una narrazione ideologica ed unilaterale (che appunto definisce il contesto) che è vergognoso aver cofirmato (e condiviso o subìto).
Non una parola sulle responsabilità dei banchieri e della finanza per la crisi che ci attanaglia; non una sugli scandalosi emolumenti dei top manager; nulla sugli oltre 13 miliardi di euro che recente provvedimenti del Governo hanno garantito alle banche per rafforzare patrimonio o conto economico (per non parlare dei fiumi di denaro a tasso zero elargiti dalla BCE). Nessun commento alle avventure finanziarie di banchieri incapaci e condannati che hanno portato alla rovina banche secolari. E nessuna scusa sul fatto che fossero proprio loro a guidare la delegazione del 2002 che invocava (e ottenne) sacrifici e responsabilità sociale.
L’attacco dell’ABI è stato respinto ma noi voteremo NO perché riteniamo che si tratti dell’ennesima occasione persa. Alla continuità delle mobilitazioni (dopo due scioperi e manifestazioni riuscitissime) si è preferito il confronto-teatrino tra gruppi dirigenti che “sanno” quando è il momento di chiudere. Ed il punto di “mediazione” raggiunto è per noi del tutto insufficiente.
Questa ci pare la sintesi di una vicenda durata un anno e mezzo, con due scioperi di categoria (non accadeva da 12 anni) e azioni di denuncia all’opinione pubblica (che hanno dato molto fastidio ai banchieri), due proroghe della scadenza contrattuale, un finale thriller, con rottura delle trattative, ripresa quasi immediata, volata finale alle 5 del mattino del 1 aprile…
I toni entusiastici dei vertici dei sindacati firmatari (tornati ad un unico tavolo, compresa l’ex ribelle Falcri) non lasciano dubbi: difesa l’area contrattuale, tutelata vecchia e nuova occupazione, migliorata la condizione dei neoassunti, ottenuto un aumento di 85 Euro a regime.
E’ davvero così? Le sette paginette e quattro righe in cui si condensa questo rinnovo contrattuale (di cui due pagine di retorica inconcludente sullo stato dell’economia italiana) cominciano già a suggerire qualche dubbio.
Area Contrattuale
E’ indubbiamente stata difesa dagli attacchi della controparte e nessuno può svilire l’importanza di questo risultato. D’altra parte, è anche vero che nessun miglioramento presente nella piattaforma dei sindacati firmatari è stato ottenuto.
Il mantenimento del contratto del credito in caso di cessione è una tutela fondamentale, ma resta il nodo del controllo societario (come richiesto nella nostra piattaforma) o perlomeno di un rafforzamento della nozione di controllo societario (come richiesto nella piattaforma dei sindacati firmatari) per far cessare lo stato di incertezza e precarietà in cui vivono le migliaia di lavoratori ceduti a società dove la banca mantiene una quota di minoranza (si pensi alle Newco di Unicredit) o nemmeno quella (Fruendo di Mps).
Processi che, come noto, vengono “guidati” da quelle costosissime e utilmente dannose società di consulenza di matrice anglosassone che poi addirittura, ad esempio nell’ultimo caso citato, diventano azioniste di riferimento delle nuove società. Bella quindi l’idea, nella piattaforma dei sindacati firmatari, di introdurre informative sulle società di consulenze alla stregua degli appalti. Peccato che non sia stata neppure discussa!
Occupazione e Jobs Act
Questo tema ruota intorno al Fondo per l’Occupazione (FOC) e su questo va chiarito preliminarmente un punto: il FOC è pagato da noi, visto che è finanziato per il 90% attraverso la giornata di ex festività o banca ore sottratta obbligatoriamente ai lavoratori e per il restante 10% dal contributo volontario dei top manager pari ad un 4% dei loro emolumenti.
Il FOC è stato istituito con il rinnovo contrattuale del 2012 per favorire la creazione di nuova occupazione stabile nel settore “incentivando” le banche ad assumere a tempo indeterminato. Ricorderete, nelle assemblee, le promesse dei sindacati firmatari sulle previste 30.000 nuove assunzioni…
In realtà è servito sostanzialmente per rendere più economica la conferma degli apprendisti. Ora il Fondo viene prorogato sino al 31 dicembre 2018 allargando il suo campo d’azione per favorire la rioccupazione di lavoratori licenziati nel settore, la solidarietà espansiva, la riconversione e riqualificazione professionale, l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.
Sono circa 1.200.000 giornate lavorative aggiuntive che la categoria mette sul piatto per ridurre il costo del lavoro.
In caso di nuove assunzioni le aziende valuteranno prioritariamente le posizioni di chi si trova nella sezione emergenziale del Fondo di Solidarietà. Ovviamente non c’è nessun obbligo, ogni banca valuterà se gli conviene assumere un lavoratore già formato (con relativo contributo pagato da noi come lavoratori) o un giovane con il contratto a tutele crescenti (in realtà inesistenti) con relativo contributo pagato sempre da noi (come cittadini).
E incredibilmente sarà sempre il FOC (cioè noi) a pagare agli attuali apprendisti il parziale recupero salariale (oltre 200€ lordi) rispetto alle tabelle contrattuali (dal -18% al -10%).
E’ comunque ovvio che l’incremento del “salario di ingresso” per i futuri assunti, sprofondato negli anni a livelli imbarazzanti, è una delle poche buone notizie che ci riserva questo rinnovo contrattuale.
Rispetto al jobs act l’accordo di rinnovo prevede che la continuità con le vecchie tutele sia prevista per le cessioni volontarie ed individuali di contratto, per il passaggio in nuove aziende (NewCo) e per le cessioni di ramo d’azienda (questo ultimo caso, peraltro, previsto dalla stessa legge).
Il punto che conferma il mantenimento di ciò che resta dell’art.18 a chi è in servizio al 7 marzo 2015 dovrebbe garantire che anche gli attuali apprendisti avranno questa tutela (non prevista dal jobs act): ci mancherebbe, visto che la loro stabilizzazione è pagata dal FOC…
Aumenti contrattuali
Tralasciamo di ricordare la richiesta di 175 Euro di aumenti medi nella piattaforma dei sindacati firmatari: eravamo talmente consapevoli delle difficoltà “di fase” che nelle nostra piattaforma, realisticamente, avevamo proposto un aumento di 100 Euro uguale per tutti.
Ciò nonostante il risultato ottenuto è veramente sotto ogni limite di accettabilità. La progressiva riduzione e dilazione della prima tranche (25 euro lordi a partire da ottobre 2016!!!) è la conferma più lampante di un “aumento”, ancora una volta, totalmente fittizio in quanto autofinanziato dai lavoratori stessi con la riduzione della base di calcolo del TFR (vengono considerate le sole voci di paga base, scatti e importo ex ristrutturazione tabellare) che si ripercuote anche (con un’interpretazione estensiva delle aziende) sulla base di calcolo della previdenza integrativa.
Certo nel contratto precedente era andata anche peggio, ma la beffa rimane, con l’aggiunta che il contratto viene prolungato di un anno e mezzo fino al 31 dicembre 2018.
Inquadramenti
Su questo punto l’assalto dell’Abi, per ora, non è passato, ma la partita rischia solo di essere rinviata al “Cantiere di lavoro” che dovrà occuparsene nella prospettiva già del successivo rinnovo contrattuale. Ci chiediamo se verranno poste al vaglio dei lavoratori le posizioni sindacali per conferire loro un mandato preciso, ma temiamo di immaginare già la risposta.
Oltretutto la previsione che è stata introdotta di possibili contrattazioni sul tema a livello aziendale potrebbe riservare brutte sorprese.
La fungibilità all’interno della categoria dei quadri permane. Vero che l’Abi avrebbe voluto estenderla ancora di più, ma questo non rende meno grave la cosa.
Ricordiamo che nella nostra piattaforma avevamo chiesto la reintroduzione degli automatismi (tema che fa venire l’orticaria alla controparte) che però è del tutto coerente con il concetto di fungibilità che esiste da tempo nelle Aree Professionali, dove le declaratorie dei livelli non sono ben definite.
Un’altra piattaforma cestinata
La soddisfazione delle segreterie sindacali per l’accordo siglato si accentua quando fanno l’elenco delle richieste dell’Abi che sono state respinte.
Noi che continuiamo a pensare che le trattative non debbano essere necessariamente in perdita, preferiamo ricordare cosa è stato lasciato per strada, senza nemmeno mai essere realmente messo in discussione, rispetto alla piattaforma approvata dai lavoratori e, soprattutto, rispetto alle difficoltà della realtà lavorativa quotidiana.
Il nuovo modello di banca: i sindacati firmatari ci avevano puntato forte (almeno nella propaganda assembleare); resterà in vigore quello amato da banchieri, faccendieri, poteri forti.
Le pressioni commerciali: non c’è assolutamente nulla, non ritenendo di dover neppure commentare le quattro frasi di maniera contenute nell’ipotesi di accordo, che sono la classica aria fritta per coprire il misfatto.
Anzi, l’ulteriore declino del salario reale contrattato, unito alla piena discrezionalità aziendale su percorsi professionali, inquadramenti e formazione, lasciano aperte le praterie alle banche per continuare imperterrite con le consuete pratiche.
I sistemi incentivanti: anche qui, in assenza di reali aumenti contrattuali e di interventi forti sulle politiche commerciali, nulla cambia.
Gli orari: sebbene la piattaforma delle altre sigle non prevedesse nulla sull’argomento, nella nostra si tornava a ragionare sul terreno della riduzione dell’orario di lavoro e soprattutto sulla necessità di rimettere mano all’eccesso di flessibilità concesse in materia di orari di sportello, flessibilità che le aziende hanno mostrato di saper gestire in modo disastroso per i lavoratori e senza benefici per l’occupazione.
Oltretutto, nel precedente contratto, nella fretta di concedere mani libere alla aziende sugli orari, i sindacati firmatari si sono dimenticati di tutelare il diritto di assemblea che, laddove sono stati introdotti gli orari estesi, è fortemente penalizzato.
Se, quindi, i propositi dell’Abi di spianare il contratto del credito sono stati respinti, nessuno dei principali problemi della categoria è stato per lo meno parzialmente risolto (fatto salvo, lo abbiamo detto, la riduzione del gap salariale dei neoassunti).
La cornice contrattuale nazionale rimane (ed è ovviamente un bene preziosissimo) ma è quella debole e manomessa da anni di sconfitte ed arretramenti, quella che ha accompagnato sin qui il costante peggioramento delle condizioni salariali e normative della categoria, quella che consentirà alle banche quattro anni di contrattazioni aziendali (sino al ‘19…) partendo da rapporti di forza immutati.
Nessuno nasconde che il contesto era ed è difficile, con livelli di disoccupazione insostenibili, un mercato del lavoro devastato ed un governo pregiudizialmente ostile ai lavoratori.
E tuttavia non si sfugge all’impressione che ancora una volta un’occasione sia stata persa e che molte carte potessero essere ancora giocate visto il contesto di sostanziale unità sindacale, il forte e non scontato successo delle mobilitazioni, il discredito dei banchieri mai forte come in questo periodo.
Si è preferita invece la solita partita di scacchi giocata ai vertici e si è deciso per lo stallo.
A questo punto la parola passa alle lavoratrici ed ai lavoratori. Noi pensiamo che questo accordo vada bocciato perché, come detto, vi erano le condizioni per continuare la mobilitazione e raggiungere qualche risultato sostanziale.
In gioco non c’è solo il modello di banca, ma anche il modello di sindacato. Sta ai lavoratori decidere se continuare sulla strada di un ritorno affannoso a politiche di concertazione e collaborazione con i banchieri o tentare la strada, certo difficile e piena di difficoltà, di una linea di contrasto reale alle politiche che da quasi trent’anni stanno portando ad una progressiva svalorizzazione del nostro lavoro.
Come d’abitudine negli ultimi tempi, alle 5 del mattino del 1 aprile è stata firmata l’ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto del credito.
Forse ricorderete che martedì mattina, 24 marzo, avevamo pubblicato un volantino che segnalava anche la possibilità di una chiusura del contratto in tempi rapidi. Leggendo il messaggio della newsletter, giunto lo stesso giorno dell’annuncio della rottura delle trattative, molti avranno pensato ad una nostra clamorosa svista.
In realtà, non conoscendo tutti i retroscena della trattativa, avevamo, in qualche modo, intuito la conclusione: dopo neppure 48 ore dalla rottura uscivano notizie sulla ripresa delle trattative ed in effetti lunedì 30 marzo le parti sono tornate ad incontrarsi, fino alla firma finale di quello che, a prima vista, appare come un congelamento della situazione in essere, insieme a vari rinvii.
Per ora vi invitiamo alla lettura dell’ipotesi di accordo: torneremo a breve con un commento approfondito sul merito dell’accordo e sul percorso che ha portato alla sua firma.
Il 31 marzo è prossimo. La vigenza del CCNL termina dopo la disdetta dell’ABI, nonostante uno sciopero massiccio e pressochè unanime della categoria il 31 gennaio scorso. Manifestazioni di piazza, presìdi, ampia testimonianza dei mezzi di informazione hanno reso pubblico ed evidente il malessere di circa 300.000 addetti. Da ultimo si aggiunga anche lo sciopero dei dipendenti della Banca d’Italia, storicamente ritenuta una sorta di isola privilegiata del settore.
Come è stata spesa, al tavolo delle trattative con l’ABI, questa giornata di lotta da parte delle OO.SS. trattanti? Le aspettative dei colleghi possono ritenersi adeguatamente rappresentate.
Le nostre informazioni ci dicono che le parti sono distanti, sia dal punto di vista normativo, che dal punto di vista economico e, quindi, è doveroso preoccuparsi. La nostra esperienza ci dice che questo stallo potrebbe anche indurre a firmare, sul filo di lana, un accordo a qualsiasi costo ovviamente senza il necessario consenso dei lavoratori.
Non vorremmo che ci venisse riproposto l’argomento che è meglio un brutto contratto, piuttosto che restare senza, una volta scaduto: la giurisprudenza relativa, in materia di ultrattività del contratto, non è univoca né, tantomeno, consolidata. Questo ricatto non regge e persino il segretario della Fabi Sileoni ha dichiarato che la disdetta creerebbe una giungla.
Il precedente del 2012 è troppo vicino e le cicatrici non ancora rimarginate. La reazione di migliaia di lavoratori, che si espresse contro quel contratto attraverso il Comitato per il NO, fu mortificata da consuntivi delle assemblee artatamente modificati. Ciononostante un esiguo 60 % (secondo fonti sindacali firmatarie) approvò quell’accordo.
Cosa fare allora?
Da parte nostra riteniamo necessario continuare ad intervenire, per tenere alto il livello di attenzione e di tensione tra i colleghi: chi andrà a firmare (senza mai essersi sottoposto ad una libera elezione per ottenere la necessaria legittimazione democratica) sappia che non siamo né distratti, né disinteressati. La piattaforma votata dai lavoratori nelle assemblee è stata, di fatto, abbandonata. In una trattativa può accadere, ma allora è necessario tornare dai lavoratori prima di chiudere un accordo.
Ai colleghi diciamo di pressare continuamente i loro rappresentanti sindacali di riferimento, chiedere la massima trasparenza e la massima diffusione delle informazioni, chiedere di tenere assemblee e di non nascondere la testa sotto la sabbia. Una cosa sono le dichiarazioni ufficiali stampate su carta intestata, un’altra le intese che si raggiungono in camera caritatis! Queste ultime non si possono rendere pubbliche, ma il più delle volte sono decisive.
Facciamo sentire la nostra voce.
Il 25 febbraio scorso sono riprese le trattative per il contratto del credito. Subito dopo l’inizio, si è rischiato di rompere di nuovo, in particolare sul tema dell’adeguamento economico. L’ABI ha infatti sostenuto di voler conteggiare il costo degli scatti di anzianità nella dinamica economica complessiva, offrendo di fatto un aumento pari a circa 26 euro al mese medi a regime (lo 0,35% in più entro il 30 giugno 2017).
La richiesta dei sindacati trattanti, che inizialmente era di 175 euro lordi al mese, era già nel frattempo scesa a circa 120 euro lordi al mese, ma la distanza tra le parti rimane evidentemente notevole. Tuttavia è stato calendarizzato un ciclo di incontri dedicati ad entrare nel merito della trattativa.
Dopo gli scioperi del 31.10.2013 e del 30.01.2015 (riusciti) e relative manifestazioni (partecipate), la trattativa sembra finalmente ad un punto di svolta. Deve quindi alzarsi il livello di attenzione della categoria, perché entriamo nella fase più delicata. C’è il rischio concreto di trovarci con un contratto rinnovato attraverso una trattativa frettolosa, sotto la scadenza incombente della disapplicazione a partire dal 1^ aprile. A tal proposito va segnalato che, prima della ripresa delle trattative, il segretario della Fabi, Sileoni, aveva dichiarato: “non ci spaventa né la possibilità di andare dal Governo né il ricatto della disapplicazione del contratto nazionale, che renderebbe il settore una jungla”. Peccato non l’abbia detto in occasione dell’ultimo rinnovo!
Nell’incontro del 25 febbraio sono già stati toccati alcuni punti delicati, che sarà bene soppesare adeguatamente. Le parti sembrano trovare punti di convergenza sul tema del mercato del lavoro, dopo l’approvazione definitiva del Jobs-Act. In particolare i sindacati trattanti hanno posto il tema del salario d’ingresso per i neo-assunti, che attualmente hanno un abbattimento del 18% del trattamento economico. La richiesta sindacale è quella di scendere all’8%. L’ABI si è detta disponibile a rivedere la percentuale di sconto al 10-12%.
Per valutare appieno la “disponibilità” dell’ABI, va tenuto presente che il personale assunto nel 2015 godrà per 3 anni di una totale decontribuzione… In questo senso è inquietante un altro elemento: il Jobs-Act recentemente approvato, nella sua versione definitiva, consente ai datori di lavoro di applicare il contratto a tutele crescenti non solo ai neo-assunti, ma anche al personale a tempo determinato o in apprendistato, che viene confermato a tempo indeterminato.
Sotto questo aspetto, quindi, l’ABI riceverebbe dal governo Renzi un incredibile assist, nel vedere applicabile già agli attuali apprendisti un contratto di lavoro ulteriormente vantaggioso, sia in termini di flessibilità e soggezione che i lavoratori così confermati sarebbero costretti a subire, sia in termini di esiguità dell’importo da indennizzare in caso di licenziamento “economico” o “disciplinare”.
Per quanto riguarda gli altri aspetti del FONDO per l’OCCUPAZIONE c’è disponibilità dell’ABI a vedere confermati gli attuali contributi (a carico prevalentemente dei lavoratori), compreso il 4% a carico del Top Management. Il FOC verrebbe utilizzato anche per gestire eccedenze di lavoratori privi dei requisiti per accedere al Fondo Esodi e per favorire la riqualificazione professionale del personale in esubero. Le nuove norme sul mercato del lavoro verrebbero discusse nell’ambito della tematica Area Contrattuale.
Gli incontri sono proseguiti in data 5 marzo sul tema degli inquadramenti. L’ABI ha presentato una proposta definita dalle OO.SS. “irricevibile”, tesa ad un semplice e massiccio risparmio di costi e alla riduzione del numero dei livelli. Le distanze sembrano aumentare, anziché ridursi, e le organizzazioni sindacali trattanti fanno dichiarazioni poco chiare circa una presunta lotta di potere interna all’ABI, mentre la proposta della controparte è cristallina nella sua cinica determinazione di appiattire i livelli, ridurre i costi, cancellare i diritti. Ed allargare così gli spazi per interventi discrezionali.
Gli incontri proseguiranno il 10 marzo (area contrattuale) e il 13 marzo (parte economica). Seguiranno i direttivi sindacali e se le posizioni delle parti dovessero convergere (evento al momento improbabile), si svolgerebbe il 23-24 marzo una sessione conclusiva che potrebbe portare alla sigla di un’intesa.
E’ quanto mai importante tenere le antenne dritte, perché se da questa lunga e sfiancante maratona contrattuale dovesse profilarsi un accordo abborracciato, non potrebbe che prevedere ampi demandi alla contrattazione aziendale ed al lavoro delle commissioni, dove è possibile con più facilità eludere il controllo dal basso su quanto viene deciso.
Vogliamo invece trasparenza, informazione, coinvolgimento dei colleghi su ogni singolo aspetto della trattativa contrattuale ed una discussione assembleare approfondita e documentata, prima di qualunque ipotesi di conclusione di un accordo.
I lavoratori bancari hanno aderito compatti allo sciopero del 30 gennaio per il rinnovo del CCNL. Le cifre ufficiali parlano del 90% di adesioni allo sciopero e del 95% di sportelli chiusi.
Dopo 15 anni di “colpevole tregua sindacale”, stabilita senza il permesso della base dalle organizzazioni sindacali “mal trattanti”, c’è stata una partecipazione massiccia alle manifestazioni indette dalle stesse a Milano, Roma, Ravenna e Palermo con numeri totali di partecipanti tra i 20.000 e i 30.000. Tutto ciò ha determinato una forte rottura dell’immagine, ormai obsoleta, di una categoria protetta e quindi passiva.
Per un giorno i lavoratori si sono fermati, per rendere evidente che c’è il lavoro dietro gli utili delle banche, e anche per conquistare spazio e visibilità nel paese e sui mezzi di informazione.
Spazio e visibilità che in parte abbiamo acquisito anche noi come CUB-SALLCA, perché a Torino, in Piazza San Carlo, davanti alla sede della principale banca italiana, chiusa per sciopero, il presidio era stato organizzato da noi, dopo le iniziative dei giorni prima (volantinaggi ai lavoratori, tra cui il primo volantinaggio al nuovo grattacielo di Intesa Sanpaolo, sensibilizzazione della clientela davanti alle banche di varie città): sono eventi ripresi dai TG regionali di Campania e Piemonte e da Radio Popolare con due interviste ad un nostro dirigente (presto sarà tutto disponibile sul nostro sito).
Adesso non ci sono più alibi: i lavoratori del credito si attendono, legittimamente, la partenza urgente della trattativa e la discussione nel merito delle richieste avanzate alla controparte. L’ABI e i sindacati trattanti devono smettere di fare melina e affrontare le questioni aperte, a cominciare dal presidio su occupazione e area contrattuale.
Il primo elemento su cui fare chiarezza è la centralità del CCNL nell’impianto contrattuale: la minaccia che alcune aziende, ed in particolare l’Unicredit, intendano uscire dall’ABI per trattare un contratto aziendale specifico deve essere sventata con la più assoluta determinazione. Un concorrenza selvaggia al ribasso sui diritti del lavoro è la peggiore delle soluzioni possibili.
Dopo il favorevole rapporto di forza costruito con la lotta unitaria di tutto il settore, i lavoratori hanno aspettative importanti sull’esito della vertenza. E’ compito di tutti fare in modo che si esca da questa vicenda con un avanzamento delle tutele e dei diritti per chi lavora. Arretramenti, compromessi, rinunce, svendite, non sarebbero tollerabili.
Non vogliamo vedere film già visti. Questa volta il finale deve essere diverso e la consultazione non dovrà essere “autocertificata”.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni
Non siamo oggetti da buttare quando sono passati di moda e non servono più. Non siamo costi, siamo lavoratori in carne ed ossa che producono valore.
Non siamo lampadari che possono essere accesi o spenti, a seconda di come conviene, dalle segreterie nazionali dei sindacati trattanti: si lotta per vincere, non per limitare i danni. Si parte e si torna tutti insieme.
Il 30 gennaio scioperiamo per un contratto nazionale di lavoro giusto.
Quello che vogliamo è chiaro come l’acqua.
- Difendere l’area contrattuale ed il valore del contratto nazionale
- Ottenere aumenti salariali dignitosi ed egualitari che ripristinino il potere d’acquisto
- Ristabilire la base di calcolo di TFR e previdenza complementare
- Diminuire gli orari di lavoro per tutelare l’occupazione
- Contenere le discrezionalità aziendali in tema di orario di sportello
- Ridurre al minimo lo spazio dei premi discrezionali per pochi
- Avere strumenti per difenderci dalle pressioni commerciali
- Lavorare per la crescita del paese e non dei profitti degli speculatori
- Eleggere democraticamente i nostri rappresentanti sindacali
L’ABI, l’associazione delle banche che vuole riportare indietro le lancette della storia, è stata guidata per anni da banchieri inquisiti e condannati. Sono gli stessi che, da una parte, hanno prodotto 180 miliardi di sofferenze e, dall’altra, hanno tagliato di 100 miliardi il credito al sistema paese.
Non hanno mai rinunciato ai loro ricchi emolumenti, in soldi e in azioni, ma hanno sempre tagliato i posti di lavoro e le paghe degli altri.
E’ arrivato il momento di fermarli e di riprenderci quanto ci è dovuto.
Il primo passo è resistere al tentativo di sbriciolare il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro che, per quanto manomesso da anni di arretramento, rimane l’ostacolo principale ad uno sfondamento verso il basso azienda per azienda.
Venerdì 30 gennaio
SCIOPERO NAZIONALE DEI BANCARI
MANIFESTAZIONE del SINDACATO DI BASE
TORINO – PIAZZA SAN CARLO – ORE 10
Lo sciopero sarà preceduto da iniziative di coinvolgimento della clientela.
CUB-SALLCA Credito e Assicurazioni
Dopo il fallimento di ogni tentativo di cominciare una vera trattativa nel merito della piattaforma rivendicativa, per la rigidissima posizione dell’ABI, i sindacati firmatari hanno interrotto le relazioni sindacali anche a livello aziendale.
Si apre così la fase di mobilitazione della categoria che porterà al primo sciopero per il contratto, previsto per il 30 gennaio.
Anche la nostra organizzazione ha avviato le procedure di sciopero, a sostegno della nostra piattaforma presentata all’ABI ad aprile 2014.
Nel volantino riassumiamo il nostro punto di vista sulla vicenda. Occorre uno sforzo straordinario per fare desistere l’ABI dai suoi propositi minacciosi e impedire che l’esito del negoziato produca sgradite sorprese.
Vi terremo aggiornati su ogni sviluppo.