Archivio Intesa Sanpaolo - Page 10

INTESA SANPAOLO – UBI: una valutazione a caldo

 

L’iniziativa di Intesa Sanpaolo di scalare UBI (terza banca italiana) è giunta inattesa e improvvisa. L’operazione richiederà tempo ed iter autorizzativi lunghi, incontrerà ostacoli seri (il Cda di UBI ha, prevedibilmente, respinto l’offerta), ma ha elevate probabilità di realizzazione. A
cose fatte, si sarà formata la terza banca europea per capitalizzazione e la settima per ricavi, con circa 50 miliardi di valore di borsa.
Sono state indagate ampiamente le ragioni di questa mossa, che segue di tre anni la fallita
scalata ad Assicurazioni Generali da parte di Intesa Sanpaolo: uno scenario che qualcuno
continua a ritenere possibile, una volta saliti di peso e consolidato il primato in Italia.
Cominceremo con l’elencare le ragioni che stanno alla base dell’assalto ad UBI, proseguiremo
con l’analisi delle criticità possibili e concluderemo con il punto di vista dei rappresentanti dei
lavoratori su questa vicenda.

Le ragioni
– Crescere di dimensioni è una mossa difensiva verso scalate ostili di provenienza
esterna: la quotazione in borsa rende contendibili, le fondazioni hanno cessato da tempo
di essere presìdi difensivi, una legge assurda le costringe addirittura a ridurre le
partecipazioni bancarie.
– Il mercato è a crescita zero, i tassi sono negativi, i margini sempre più ridotti: realizzare
6 miliardi di utili a fine piano industriale, come aveva promesso ISP, è impossibile senza
una scossa al “perimetro” della platea dei clienti.
– Il principale concorrente, Unicredit, ha varato un piano aggressivo che si basa
principalmente sul taglio dei costi, ma punta anche ad erodere quote di mercato alle
altre banche, in primis proprio ISP.
– Il consolidamento del settore bancario sta per ripartire, dopo il grande freddo dovuto
allo smaltimento dei crediti deteriorati e alle “fusioni per salvataggio” seguite al bail-in,
dopo il 2015: scegliere per primi significa trovarsi meglio dopo.
– I grandi nodi ancora da sciogliere sono la sistemazione del Monte dei Paschi (che deve
essere ceduto dal Tesoro entro il 2021), la ricerca di partner strategici per la Popolare di
Bari, la sorte sempre incerta di Carige e la crescita dimensionale delle banche intermedie
come BPM e BPER: essere già accasati significa potersi sottrarre alle pressioni per farsi
carico dei problemi “di sistema”.
– UBI non è messa male come conti, ma ha visto di recente rafforzarsi i soci piemontesi e
bergamaschi a scapito di quelli storici bresciani raccolti attorno a Bazoli: il successo
dell’OPS può far leva sulle divisioni interne alla compagine azionaria e sul favore dei
fondi d’investimento, che sono ormai decisivi e ragionano solo in termini di puro interesse
economico.

Le criticità
– Investire su UBI significa aumentare la concentrazione sul sistema italiano, un paese a
crescita lenta, con forti problemi strutturali, carenza di investimenti e squilibri territoriali
evidentissimi; la scommessa è l’ulteriore estrazione di valore da una clientela già
ampiamente sfruttata: se non dovesse funzionare?
– Per superare i vincoli anti-trust la banca attaccante ha già fatto un accordo con BPER
ed UNIPOL per cedere 400/500 sportelli e le attività assicurative di UBI: a BPER serve
un aumento di capitale da un miliardo di euro, il che implica una valutazione di 2 milioni
di euro a sportello. I precedenti sono inquietanti: chi comprò da ISP gli sportelli nel 2008
a prezzi sballati pagò cara la propria imprudenza (Carige, Veneto Banca, Popolare di
Bari, Creval avviarono così il proprio declino). Non si rischia il bis?
– Le promesse fantastiche dei promotori dell’offerta di scambio parlano di un aumento di
valore per tutti, manager, soci, azionisti e dipendenti, con dividendi più alti, impieghi più
elevati e decine di miliardi disponibili per investimenti sostenibili sul piano sociale e
ambientale: l’esperienza delle fusioni insegna che il credito si è ridotto e la politica dei
dividendi ha depauperato il capitale sociale, rendendo le banche più fragili al ritorno
della crisi.

Le conseguenze sui lavoratori
– L’unica vera ragione (mai dichiarata) per questo tipo di operazioni è il taglio dei costi,
attuato attraverso la riduzione del personale e la chiusura delle filiali: il mercato è asfittico
e i ricavi non crescono, quindi per tenere alti gli utili si possono solo fare tagli.
– L’obiettivo dichiarato è quello di tagliare 5.000 posti di lavoro, assumendo però 2.500
persone “specializzate” (quindi non nella rete): in questo l’azienda ha avuto l’accortezza
di anticipare la richiesta sindacale (un nuovo assunto ogni due esodati), per smussare
qualunque angolo che rappresenti un possibile ostacolo.
– Il saldo occupazionale si presenta dunque fortemente negativo, a livello aziendale
come a livello di sistema, dove, lo ricordiamo, incombono 6.000 esuberi dichiarati da
Unicredit, 1.300 da Carige, 1.000 da Popolare di Bari, cui aggiungere il completamento
del piano industriale del MPS; e a marzo è previsto il nuovo piano industriale BPM.
– I lavoratori si trovano dunque nel pieno dell’ecatombe, dopo la chiusura dell’accordo
sul CCNL, che era stata venduta come una svolta nelle relazioni industriali e l’inizio di
una nuova era basata sul recupero del potere perduto e dei diritti da riconquistare.
– A questo si aggiunge il forte disagio dei lavoratori che saranno presumibilmente ceduti
a migliaia, insieme agli sportelli che li contengono, alla BPER, in seguito agli accordi di
fusione, con il conseguente stress commerciale per recuperare il costo dell’investimento
e rendere profittevole l’aumento di capitale necessario a sostenerlo.
E’ con grande scetticismo e preoccupazione che dobbiamo quindi valutare
l’operazione della banca torinese: destinata certamente a dare grandi soddisfazioni
agli azionisti, a rafforzare il potere dei manager, a strappare dichiarazioni convinte ai
vertici sindacali.
Invece se ci mettiamo dal punto di vista di chi è vittima delle manovre societarie e delle
ristrutturazioni organizzative, dobbiamo trarre un bilancio decisamente diverso: stress
commerciale, ansia da prestazione, trasferimenti passivi, cessioni indesiderate,
peggioramento del clima aziendale, insicurezza professionale e lavorativa, crisi di
identità, sofferenza psico-fisica.
L’indicatore più preoccupante è la corsa verso l’esodo e la fuga dal “posto migliore dove
lavorare”: una via d’uscita sempre più ambita e indicativa del livello di disaffezione verso
questo lavoro e soprattutto il modo in cui si è costretti a svolgerlo…
E’ invece interesse dei lavoratori resistere ai peggioramenti della propria condizione lavorativa e
difendere i diritti anche e soprattutto nella fasi convulse delle trasformazioni imposte dall’alto:
come sindacato di base ci impegneremo a fondo perché questo accada.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni

Intesa Sanpaolo: aggiornamento su buoni pasto e superamento NRI

DA CUB SALLCA INTESA SANPAOLO
a iscritti/e, lavoratrici e lavoratori

 

Piccola nota per chi ha ancora i buoni pasto cartacei.

La nuova legge di bilancio ha disposto che l’esenzione fiscale sia limitata fino all’importo di 4 euro. Nel nostro caso la parte eccedente (1,16) verrà tassata. Per questo motivo sarà possibile esercitare l’opzione per l’eventuale passaggio al buono pasto elettronico entro il 13 marzo 2020 (decorrenza 1 maggio), fermo restando che non in tutte le zone i buoni pasto elettronici sono facilmente spendibili.

NRI ABOLITA, SI, PERO’….

Proviamo a fare un po’ di chiarezza dopo che l’azienda (non commentiamo neppure l’ennesimo tentativo dei sindacati firmatutto di intestarsi l’ennesima “vittoria”) ha cambiato le regole per lo straordinario delle aree professionali.

Cogliamo l’occasione per ricordare, prima, che la prestazione dei quadri direttivi va resa, di massima, “in correlazione temporale con l’orario normale”delle aree professionali, con le caratteristiche di flessibilità, autogestione ecc..

Lo ribadiamo perché ogni tanto ci giunge notizia di qualche responsabile particolarmente “estroso” che sostiene che “i quadri non abbiano orario”, nel senso che sarebbe potenzialmente illimitato…..

Tornando alle aree professionali, la regola di fondo non cambia: lo straordinario va autorizzato ed è previsto solo per situazioni che abbiano “carattere di urgenza e di non differibilità”. Attenzione, però, perché, anche se autorizzata, la maggiore prestazione parte solo per un periodo pari o superiore a 30 minuti (non più 15) e solo successivamente per multipli di 15.

La maggiore prestazione va ad incrementare la banca ore, fino al raggiungimento di 50 ore (nelle quali sono comprese le 23 ore di dotazione iniziale di banca ore, eventualmente dedotte le 7,30 per il Fondo per l’Occupazione) e viene recuperata entro un massimo di 30 mesi e non viene persa in nessun modo.

Per le eventuali ulteriori ore che vanno da 51 a 100, il lavoratore può scegliere tra recupero o pagamento: tale scelta può essere modificata entro il 30 novembre per avere efficacia nell’anno successivo.

Dalla 101a ora scatta solo il pagamento.

Cambia il sistema anche per le prestazioni non autorizzate. Prima la prestazione non autorizzata veniva giustificata con la causale NRI (presenza senza prestazione). Ora, ma solo se la prestazione è di almeno 30 minuti (e successivi multipli di 15), il sistema genera in automatico un accredito con la causale PAO .

Questa prestazione non confluisce nella banca ore, ma va in un plafond a parte. Soprattutto il recupero (RAO) deve avvenire entro la fine del secondo mese successivo a quando si è verificata la maggiore prestazione. Se non viene fruita nei termini viene cancellata!!

Come commentare tutto questo?

Come prima cosa diremo che, se la maggiore prestazione non viene autorizzata, è buona norma chiudere il pc, salutare ed uscire. Se l’autorizzazione viene data, si deve fare in modo che la prestazione aggiuntiva raggiunga i fatidici 30 minuti. Riteniamo davvero discutibile che nel caso ci si fermi 20-25 minuti non venga riconosciuto nulla, ma, per ora funziona così.

Chi, nonostante la mancata autorizzazione, continuasse a lavorare deve tenere presente che la maggiore prestazione viene registrata, ma che il recupero deve avvenire molto più velocemente e che non ci sono norme di tutela a fronte di eventuali ostruzionismi di responsabili locali rispetto al recupero stesso.

Quindi, consigliamo di evitare di fermarsi, ma, nel caso lo faceste e nascessero problemi, contattateci.

E’ comunque utile ricordare un po’ di storia per capire come nasce il problema.

Nel 2012, dopo aver disdettato gli accordi aziendali e licenziato per rappresaglia gli apprendisti per indurre i sindacati firmatutto ad accordi più favorevoli per lei, l’azienda fa uscire la circolare n. 728 del 5 ottobre .

Nel Protocollo Occupazione e Produttività, firmato pochi giorni dopo, viene scritto e firmato, dai soliti sindacati dalla firma facile, che “il ricorso al lavoro straordinario/prestazioni aggiuntive sarà oggetto di attenta limitazione e sarà disposto dall’azienda solo in caso di particolare urgenza e necessità, come già comunicato con Circolare Intesa Sanpaolo n, 728 del 5 ottobre 2012, che qui si riconferma” (grassettatura nostra).Di fatto un avallo sindacale alla posizione aziendale!

Ovviamente non contestiamo il principio che lo straordinario debba essere autorizzato e pure limitato, ma questo non vuole dire che possa essere fatto e non pagato.

Perché la famigerata circolare recitava che: “tutte le unità in indirizzo eviteranno di richiedere prestazioni oltre il normale orario di lavoro, che ove rese non potranno pertanto essere compensate, fatte salve ovviamente le maggiori prestazioni aventi carattere di urgenza e di non differibilità che dovranno, come disciplinato nelle “Regole in materia di orario di lavoro” allegate, essere preventivamente autorizzate” ecc.

Di fatto si ammetteva che qualcuno potesse fermarsi a lavorare senza compensazione, come abbiamo fatto notare quasi subito con la lettera all’azienda allegata e come abbiamo sempre evidenziato nei nostri esposti di denuncia dello stress lavoro correlato. 

Ci hanno messo solo 7 anni abbondanti per dare una risposta, peraltro parziale e discutibile, a questa situazione intollerabile.

INTESA SANPAOLO: E ORA VENGONO CEDUTI ANCHE I LAVORATORI DEL MONTE PEGNI, CHI SARANNO I PROSSIMI?

In Intesa Sanpaolo c’è molta retorica sul senso di appartenenza e sulla valorizzazione delle risorse umane, ma la storia del nuovo Gruppo è sempre stata costellata, fin dalla sua nascita, dalla cessione di centinaia di lavoratori.

Per ricordare i casi più noti, si è cominciato nel 2007 e 2008 con le cessioni delle filiali a seguito della fusione tra Intesa e Sanpaolo e dell’intervento dell’autorità antitrust. Poi è stata la volta di Banca Depositaria nel 2010. Poi nel 2018 è toccato al Recupero Crediti e arriviamo ai giorni attuali con Banca 5 e, mentre ancora le trattative per la cessione di quest’ultima a Sisal sono in corso, lunedì 18 novembre è arrivata la notizia della cessione delle filiali del Monte Pegni, dove i lavoratori hanno appreso la notizia direttamente a mezzo stampa.

Tutte queste cessioni hanno coinvolto le attività, ma anche i lavoratori che le svolgevano.

Anche quando il contratto del credito è stato mantenuto, non sono mancati i problemi ogni qualvolta le aziende acquirenti hanno manifestato difficoltà (si pensi a Carige, Pop. Bari, fino alla Veneto Banca rientrata nel Gruppo dopo le note vicende delle ex banche venete) o quando alcune garanzie vengono a scadere.

Alla luce di queste considerazioni e della sgradevole sensazione, che deriva da queste vicende, di essere considerati come merce che può essere comprata e venduta, riteniamo che le trattative debbano sempre partire dal “diritto d’opzione”, cioè dalla possibilità per il lavoratore coinvolto di scegliere di non essere ceduto, ma di poter continuare il vecchio lavoro per il nuovo acquirente attraverso il “distacco”.

Si tratta di una richiesta del tutto ragionevole perché consente la continuità operativa e, nel momento in cui il distacco dovesse cessare, sfidiamo Intesa Sanpaolo a sostenere che nella rete filiali non ci sia posto per poche decine di lavoratori.

Era una richiesta già avanzata dai sindacati firmatutto in occasione della trattativa per il Recupero Crediti e lasciata cadere troppo in fretta.

Torneremo in un secondo momento ad analizzare il significato di questa operazione e le caratteristiche dell’acquirente. Nel frattempo, riteniamo che i lavoratori di tutto il Gruppo debbano far sentire la loro solidarietà ai colleghi di Banca 5 e del Monte Pegni. Nessuno pensi che a lui non toccherà mai l’esperienza di essere oggetto di cessione, il prossimo potresti proprio essere tu!

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo

LA VENDEMMIA

 

L’autunno, dopo una lunga estate, porta anch’esso frutti importanti e preziosi; così è in natura ed anche in campo sindacale. In Intesa Sanpaolo non si fa eccezione: il 10 ottobre di quest’anno arriva il fondamentale accordo sul PVR (per chi fosse poco aduso agli acronimi sta per Premio Variabile di Risultato).

Finalmente i lavoratori sapranno per quale cifra stanno correndo, spinti dalle pressioni commerciali ufficialmente messe sotto controllo, da quasi 10 mesi. Che bello non dover convivere con l’angoscia di sapere da gennaio le regole del gioco della retribuzione variabile e correre “liberi” senza ansie da arricchimento.

Ormai da anni gli accordi sul premio sono frutti autunnali, ma questa volta le Organizzazioni Sindacali trattanti hanno voluto superarsi e nel bouquet elargito ai propri rappresentati hanno inserito nuovamente un accordo dedicato ad un premio integrativo dell’integrativo, chiamato SET (anche qui per gli insofferenti degli acronimi SET sta per Sistema Eccellenza Tutela) e persino un accordo sulla formazione flessibile.

Uno dei frutti più famosi ed apprezzati dell’autunno è l’uva, che, da mani esperte vendemmiata si trasforma nel sapido vino, cui sono dedicati sonetti, romanzi e poesie. A giudicare dal loro comunicato unitario sull’argomento le Organizzazioni trattanti hanno fatto una buona vendemmia. L’antico proverbio tuttavia recita “non chiedere mai se il vino è buono all’oste che te lo vende”.

Abbiamo verificato il mosto che sta fermentando nei tini per vedere se il proverbio è azzeccato. Possiamo subito dirvi che l’impianto generale è rimasto lo stesso. Le uniche variazioni riguardano un modesto aumento del premio base destinato a tutti di ben 50 euro, un’erogazione del premio aggiuntivo dalle maglie un pò più larghe, che permetterà a qualche collega in più di ricevere qualche altro centinaio di euro, che verrà erogato al 100% anche ai lavoratori di qualche agenzia dalle performance considerate non esaltanti.

Tutto qui. L’asticella, altissima, per arrivare al premio di eccellenza, che prevede cifre importanti, resta tale, anzi le cosiddette score cards si arricchiscono di nuovi e, naturalmente sfidanti, obiettivi. A ben vedere l’aumento del premio base, pari al 17% è ben poca cosa se raffrontata con un dividendo agli azionisti che in meno di 5 anni è quasi quadruplicato. Del resto nel 2017 è stata la stessa azienda di propria iniziativa, a raddoppiare il valore del premio base da 300 a 600 euro quale riconoscimento per aver raggiunto i 10 miliardi di euro di dividendi cumulati nel corso del piano industriale 2014-2017.

In conclusione di mosto di qualità al momento dell’imbottigliamento pare essercene ben poco, e se ne devono essere resi conto anche ai piani alti, poiché l’anno scorso è andato in scena, con replica quest’anno, un premio specifico sul collocamento di polizze, che da solo vale quasi il 40% di tutto il PVR .

Quale migliore prova del fatto che, da parte dei suoi stessi ideatori il premio risulta ben poco premiante ed è necessario la proliferazione delle erogazioni e la moltiplicazione degli indicatori per mettere insieme una somma annua che, per i comuni mortali, si possa paragonare a quanto ci veniva erogato quando esisteva il Vap. Figura retorica appartenente ad altra generazione di premio, ormai, che,per lungimirante scelta delle delegazioni trattanti, è stato trasferito al museo delle specie estinte.

Un vero peccato perché, quando si scende dall’empireo dei convegni pieni di aulici quanto inconsistenti dibattiti oggi in voga fra le file dei dirigenti sindacali, e si fanno i prosaici “conti della serva”, dati alla mano il confronto fra prima e dopo diventa impietoso. In un volantino di poco più di un anno fa avevamo analizzato in dettaglio quale fosse la situazione. Qui possiamo solo ricordare che, nell’ultimo anno di applicazione il Vap garantiva ad un collega medio 1700/1800 euro lordi. Oggi per la maggior parte dei lavoratori non si giunge a tale cifra neanche calcolando il Lecoip, che peraltro nella sua attuale versione è inchiodato al livello di partenza. Ben si comprende dunque perché nasce il SET per “lubrificare” l’entusiasmo della truppa.

In ultimo occorre dire qualcosa sulla formazione flessibile, argomento che pare lontano dal discorso delle erogazione premianti, ma che in realtà vi è legato; indirettamente a causa della necessità di capire almeno qualcosa di certi contratti che poi saranno oggetto degli appuntamenti. Ma direttamente perché il completamento della formazione entra nelle score cards e nelle valutazioni personali ai fini di un percorso professionale, là dove ancora esistono.

L’accordo è piuttosto stringato e, a nostro avviso consta di due soli punti concreti, si fa per dire. Nel primo l’Azienda si impegna a “favorire la fruizione della formazione in modalità cosiddetta protetta”. Non è precisato cosa il termine “protetta” voglia dire, ma speriamo che si tratti finalmente della possibilità di seguire i corsi on line non mentre si serve il cliente o fra una telefonata e l’altra. Il generico impegno aziendale, oltretutto sperimentale e a partire dal 2020, non promette molto nel concreto e il fatto che la formazione si possa svolgere nelle “strutture di appartenenza o in altri locali aziendali ritenuti idonei e disponibili” la dice lunga sull’esigibilità dell’impegno stesso da parte del singolo.

Nel secondo punto si toccano inarrivabili e ineffabili vette di ipocrisia. Infatti viene introdotto per il personale della Rete il diritto a ben due giorni di formazione flessibile da casa (badate bene in linea di massima 1 per semestre dell’anno, non vi allargate) a patto però che la fruizione non comprometta l’apertura della filiale e il funzionamento di tutte le sue componenti.

In epoca di esodi spesso non rimpiazzati, di assunzioni con il contagocce, oltretutto in gran parte contratti misti con orario part time, di difficoltà spesso insormontabili per ottenere o rinnovare un orario ridotto per quei colleghi che hanno necessità personali o familiari non rinviabili, il tutto suona come una barzelletta di pessimo gusto. Il commento ci sembra superfluo.

L’autunno concede buoni frutti, ma sembra che questi siano solo per qualcuno.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo

Fondo Sanitario Integrativo Intesa Sanpaolo: NESSUN TAGLIO PER NESSUNO SBLOCCHIAMO LE RISERVE, SALGA IL CONTRIBUTO AZIENDALE

La storia del Fondo Sanitario Integrativo del Gruppo Intesa Sanpaolo è vicino ad un’ennesima svolta.

Dalla fusione delle precedenti gestioni nel 2011, avvenuta in spregio alle norme statutarie dell’Ex Cassa Intesa, è sortita una causa che tiene tuttora bloccate ingenti riserve.

Lo squilibrio strutturale della gestione quiescenti è stata ripianata nel tempo dagli attivi della gestione dei lavoratori in servizio e dai risultati finanziari delle riserve.

Ma nel 2018 i mercati sono andati male e si vuole usare questo episodio per giustificare una revisione peggiorativa delle prestazioni per i quiescenti (ma non si esclude qualche intervento anche per gli attivi).

Proprio coloro che sono già stati penalizzati dalle revisioni precedenti e che trovano sempre meno conveniente restare iscritti.

Lo scadimento del servizio di Previmedical (su cui intendiamo tornare), segnalato da molti iscritti, colpisce in particolare proprio i pensionati, che hanno meno familiarità con le nuove tecnologie e più difficoltà nel seguire le richieste di rimborso (spesso cartacee).

Nel volantino allegato diffidiamo le parti in causa (azienda e sindacati) a procedere ad ulteriori peggioramenti ed avanziamo proposte alternative (tecnicamente sostenibili) per fare il contrario di quanto si propongono gli altri.

Teniamo gli occhi aperti e ricordiamoci che un giorno saremo tutti pensionati!


 

Fondo Sanitario Integrativo: NESSUN TAGLIO PER NESSUNO
SBLOCCHIAMO LE RISERVE, SALGA IL CONTRIBUTO AZIENDALE

Dopo essersi visti tagliare del 50% la quota differita, i quiescenti iscritti al Fondo Sanitario
del Gruppo Intesa Sanpaolo devono ora preoccuparsi di vedersi ulteriormente ridurre le
prestazioni o di dover sborsare ancora di più di quanto già versano.
Come avevamo già ipotizzato nel nostro precedente volantino, la perdita rilevata sulla
gestione finanziaria delle riserve, dovuta ai mercati finanziari a fine 2018, viene ora usata
come giustificazione per un intervento sulle condizioni economiche e/o sulle prestazioni
dei quiescenti.
Ricordiamo che, al netto della gestione finanziaria, il risultato previdenziale 2018, (dato
dalla differenza tra contributi e prestazioni, -€ 5.675.314) è peggiorato rispetto al 2017 (-€
4.857.218) di circa soli € 800.000, la metà del peggioramento rilevato nei precedenti anni.
Anche la spesa pro-capite per iscritto in quiescenza sembra sotto controllo, essendo
aumentata nel 2018 solo del 2,31%.
Se la gestione complessiva ha subito un significativo impatto nel 2018, bisogna anzitutto
ricordare che negli anni precedenti la gestione finanziaria aveva contribuito alla
creazione di un plusvalore che è stato accantonato. Attualmente le riserve del comparto
quiescenti ammontano a oltre € 35 milioni e solo negli ultimi due anni il surplus di bilancio
ha consentito maggiori riserve per oltre € 4 milioni. Perché non sono state utilizzate invece
di penalizzare gli iscritti?
Purtroppo, le regole di bilancio previste dallo Statuto prevedono forti limitazioni all’uso
delle riserve (ma tutti sanno bene che queste regole sono modificabili anche
rapidamente quando si vuole…). In altre parole: quando i mercati finanziari vanno bene
si accumula ma se vanno male non si utilizzano le riserve degli anni precedenti. Come
dire: la quota differita è legata alla volatilità dei mercati finanziari! Assurdo.
Ma allora perché tutta questa concitazione nel voler rivedere le regole, ovviamente in
senso peggiorativo?
Perché l’azienda si è preoccupata di produrre una serie di documenti che conducono
inesorabilmente alla necessità di intervenire, tagliando prestazioni o aumentando le
quote di partecipazione?
Tanto fumo e poco arrosto che distolgono l’attenzione dall’unico dato incontrovertibile:
il contributo aziendale è sceso di quasi mezzo milione di euro ogni anno.
Alcune simulazioni evidenziano un eventuale problema di sostenibilità non prima di 7/8
anni, ma certamente le dinamiche occupazionali porteranno sempre più verso una
riduzione della quota degli attivi sul totale degli aderenti. È quindi essenziale che venga
richiesto che l’Azienda continui almeno a versare quello che ha sempre versato, anche
se sarebbe da prevedere un progressivo aumento che tenga conto dell’oggettivo
incremento dei costi dell’assistenza sanitaria.
Che la gestione dei quiescenti sia strutturalmente deficitaria è indubitabile e infatti i
fondi sanitari si fondano sul principio di mutualità intergenerazionale. Proprio in questo
senso andrebbero poi cambiati i meccanismi di utilizzo delle riserve, che devono poter
essere utilizzate in casi come quello dello scorso anno, dove l’evidente volatilità dei
mercati finanziari ha avuto un impatto fortemente negativo!
Per quanto detto sopra, ci sembra evidente il tentativo aziendale di procedere con un
peggioramento dell’offerta che viene “venduto” anche come risposta (sbagliata) alle
proteste di alcuni quiescenti che hanno fatto notare come le contribuzioni siano troppo
onerose.
A nostro avviso è assolutamente prematuro agire in modo così drastico. Quello che le
Fonti Istitutive (per quanto questo termine non sia previsto sul piano normativo…)
dovrebbero fare è ben altro, ovvero:
– Ripensare l’uso delle riserve: l’attuale impostazione prevede un tetto massimo di
trasferimento alla gestione in caso di deficit, ma occorre modificare gli attuali limiti.
– Creare un nuovo fondo rischi nel quale far confluire gli extra-rendimenti della
gestione finanziaria per eliminare, o almeno contenere, volatilità avverse che si
possono realizzare negli anni futuri.
– Modificare le modalità di imputazione del risultato di esercizio sia in caso di surplus
(riserva e fondo rischi), che in caso di disavanzo, considerando separatamente la
gestione previdenziale (differenza tra contributi e prestazioni) dalle altre (finanziaria
in primis).
– Rivedere il meccanismo del contributo di solidarietà: il limite di trasferimento
definito in base al surplus complessivo della gestione degli attivi andrebbe rivisto
per consentire, con mercati negativi, l’utilizzo del neocostituito fondo rischi.
– Eliminare l’odiosa “quota differita”: se questo meccanismo aveva una sua ragione
nel momento dell’integrazione di numerosi colleghi infragruppo, ora la situazione si
è stabilizzata, è in buona misura prevedibile e opera entro margini sufficientemente
ampi per consentire una liquidazione immediata dell’intero importo rimborsabile.
– Ridare poteri al CdA: in questo momento, statutariamente, svolge un ruolo troppo
marginale, tenuto conto che è l’unico organo eletto da tutti gli iscritti.
Infine, sempre le Fonti Istitutive dovrebbero forse riconsiderare la loro posizione di
chiusura nei confronti dei ricorrenti nella causa che tiene sospesi 37 milioni di riserve
dell’ex Cassa Intesa. Il ricorso in Cassazione molto difficilmente sconfesserà i due
precedenti gradi di giudizio che hanno visto l’Azienda soccombere. Peraltro, anche i
ricorrenti, ex Consiglieri della Cassa, dovrebbero rivedere e attualizzare nell’attuale
scenario una proposta transattiva che possa avere un effetto concreto sul comparto dei
quiescenti. Inoltre, li invitiamo a porre massima attenzione al tentativo in atto di un
intervento statutario in emergenza e peggiorare ulteriormente la gestione dei quiescenti,
che vanificherebbe il loro tenace operato.
Come nota a latere, evidenziamo che le autoproclamate Fonti Istitutive si arrogano
comunque il diritto di modificare i diritti di iscritti per i quali non hanno un mandato di
rappresentanza… Per quanto possa sembrare a qualcuno noioso e ripetitivo, è un altro,
ennesimo effetto della cronica mancanza di democrazia e di rappresentatività nel nostro
settore.
In generale, in presenza di una progressiva tendenza allo smantellamento del welfare
sanitario nazionale, invece di toccare sempre le regole, sarebbe opportuno procedere
ad efficientare le prestazioni, eliminando palesi sprechi ed utilizzi ingiustificati al fine di
ampliare, e non restringere, le coperture assistenziali!
E poi ricordiamo a tutti gli iscritti attivi che salvaguardare i diritti dei quiescenti vuol dire
occuparsi del proprio futuro perché speriamo tutti di arrivare a far parte della gestione dei
quiescenti!

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo

INTESA SANPAOLO: NON C’E’ PACE PER LA RETE

 

E’ stata firmata in Intesa Sanpaolo una vera e propria girandola di accordi, tra cui l’accordo annuale sul Premio Variabile di Risultato (PVR), sul Sistema Eccellenza Tutela (SET), sulla Formazione Flessibile.

Torneremo a breve più in dettaglio su questi accordi, che non stravolgono il già discutibile impianto precedente, ma che vi aggiungono ulteriori elementi di complicazione, rendendoli sempre più indecifrabili. Capire i dettagli reconditi degli accordi sui sistemi incentivanti richiede tempo e applicazione: una vera e propria caccia al tesoro, che però si rivela inutile, perché il tesoro c’è solo per qualcuno, mentre alla maggioranza dei colleghi alla fine arriva una miseria!

Qui commentiamo invece la revisione del modello di servizio della BdT.

Il 25 settembre scorso INTESA SANPAOLO ha infatti comunicato di voler procedere, da gennaio 2020, ad una revisione del modello di servizio, che coinvolgerà tutta la clientela della rete filiali. L’impatto sarà più rilevante sulle filiali Personal, ma in realtà anche il Retail subirà un forte rimescolamento. Tutta la clientela verrà “riclassificata” e segmentata in base ai nuovi criteri definiti con l’utilizzo dei sistemi di Big Data ed anche gestori e consulenti ne seguiranno le sorti, con conseguenze non sempre gradevoli.

A clientela declassata corrisponderà personale demansionato?

Lasceremo mano libera all’azienda, come se l’organizzazione del lavoro fosse sua prerogativa esclusiva?

Per intanto, buona lettura…

 

INTESA SANPAOLO: NON C’E’ PACE PER LA RETE

Il 25 settembre scorso ISP ha annunciato una radicale riorganizzazione della rete filiali, cui è seguito il 9 ottobre l’annuncio di una nuova articolazione degli orari nelle filiali flexi. Entrambe
le misure prenderanno corpo a partire dal 20 gennaio.

Si tratta di un piano da far tremare i polsi, che metterà ancora più in crisi una rete filiali già
piegata da tagli al personale, chiusura di sportelli e riduzione del servizio. Il rischio è che,
ancora una volta, tutto passi senza reazione da parte dei sindacati “trattanti” e dei lavoratori maltrattati,
perché ormai è stata interiorizzata una situazione di caos permanente, in cui l’unica priorità
è sopravvivere a livello individuale.

Questa volta però la dimensione del disastro rischia di essere veramente imponente. Il progetto
dell’azienda punta a chiudere entro il 2020 altre 328 filiali, facendo scendere il totale finale a 2.770.
L’abbandono del territorio prosegue con ritmo inarrestabile. Ma la qualità del servizio che
resterà, dopo la riorganizzazione, sarà così scadente da lasciare legittimi dubbi sulla lungimiranza
del piano.

Infatti c’è l’esplicito obiettivo di ridimensionare i servizi alla clientela meno redditizia, fino al punto
di costringerla all’abbandono, per concentrarsi sui segmenti di maggior pregio, modificando in
peggio anche l’offerta per quella clientela intermedia che oggi rappresenta comunque la più
importante sorgente di ricavi aggregati.

Il nuovo modello modifica in profondità l’approccio commerciale e organizzativo della rete e
coinvolge tutte le filiali, ma ha ricadute particolarmente sensibili sulle filiali Personal.

In questo segmento vengono chiuse metà delle filiali (377 delle attuali 777) e metà delle Aree (45
su 90). I gestori Personal scenderanno da 4.750 a poco più di 3.000 (gli altri passeranno al Retail o
ad Impact, l’ex Banca Prossima). Resterà nel perimetro Personal solo la clientela definita “Upper
Affluent” con patrimonio di 250/500.000 euro e reddito netto > 50.000 euro, in portafogli con una
media di 130 clienti, non più “pesati” ma “contati”.

Tutta la clientela definita “Lower Affluent” con patrimonio > 75/100.000 euro o reddito netto >
35.000 euro “scenderà” nel Retail, dove i gestori saliranno un po’ di numero rispetto ai 14.700
attuali (ma la cifra esatta non è stata indicata….). Il portafoglio medio conterà 180/200 clienti. Le
Aziende Retail dovrebbero mantenere gli attuali criteri di gestione, in portafogli un po’ ridotti (250
clienti).

Oltre a questa gigantesca (e problematica) ridislocazione di clientela, cambieranno anche le
“regole d’ingaggio” perché solo la clientela Upper Affluent e Lower Affluent resterà inserita in
portafogli “statici”, mentre il resto della clientela finirà nella baraonda della portafogliazione
“dinamica”, con assegnazione mensile di liste di clienti da contattare, oppure semplice gestione
“reattiva” quando il cliente si presenta in filiale per qualche esigenza.

I clienti più digitali potranno essere seguiti da Gestori Remoti, che lavoreranno sui grandi numeri,
perché già ora possono arrivare ad avere 400 clienti a testa.

Da tutto quanto abbiamo detto, risulta evidente che la mazzata più rilevante viene riservata al
Personal, un segmento che ha prodotto, in questi ultimi anni, risultati di tutto rispetto nel quadro
reddituale della B.d.T.: minarne la tenuta può rivelarsi davvero improvvido.

L’attuale configurazione di 777 filiali (con 2.000 punti operativi, se si includono i distaccamenti)
scenderebbe a 400 filiali (e 1.220 punti operativi, con i distaccamenti), ripartite in 70 filiali a scala,
con almeno 6 gestori, e circa 330 filiali distribuite (che includono 2/4 punti operativi limitrofi di
almeno 2 gestori ciascuno).

La logica che guida questo disegno è riconducibile alla semplice e banale strategia di risparmio
sui costi, così come abbiamo già visto applicarsi nella revisione degli inquadramenti professionali
varata nel 2015, non appena si è partiti con il nuovo modello (separazione tra Retail e Personal).
Quel modello aveva prodotto pesanti contraccolpi sull’equilibrio aziendale, ma aveva perlomeno
creato dal nulla numerose figure di direzione filiali, assorbendo così, almeno in parte, il fenomeno
di sovra-inquadramento precedente. L’allungamento dei tempi per “salire di livello” (conseguente
all’accordo inquadramenti) ha poi compensato l’iniziale incremento di costo con un generalizzato
sotto-inquadramento del personale, prolungato nel tempo, con enormi risparmi per l’azienda.

Ora si va invece nella direzione opposta: si sopprimono 45 Aree e 377 direzioni di filiale. Che fine
faranno queste figure e questi ruoli professionali? Non potranno andare tutti in esodo,
presumibilmente…

Non sono certo solo i Direttori e i Capi Area a patire: sono in bilico tanti percorsi di carriera
per colleghi che già hanno dovuto confrontarsi, in questi anni, con meccanismi infernali,
incomprensibili, inspiegabili, dell’accordo inquadramenti. Certezza, trasparenza, esigibilità sono
sparite dall’orizzonte del lavoratore, calpestate da un’azienda che spesso viene meno agli impegni,
sempre vaghi e approssimativi, presi durante i colloqui gestiti dai suoi addetti del personale.

I lavoratori quindi dovranno gestire, da gennaio, carichi di lavoro sempre più pesanti (oltre 700
esodati andranno via al 31/12…), pressioni commerciali asfissianti, una clientela disorientata
dai continui cambiamenti e richieste di risultati impossibili.

A tutto questo si aggiungerà una revisione degli orari delle filiali flexi che, lungi dall’essere una
agognata conquista sindacale, sono un semplice adattamento alle esigenze commerciali
dell’azienda, che modula gli orari in base ai propri obiettivi. Alcune filiali torneranno ad aprire alle
8,05; per molte si passa all’orario continuato; si allungherà di mezz’ora l’orario del sabato e così
via: alla fine sembra prevalere un’estensione degli orari di sportello più che una loro contrazione!

Non si esce da questa situazione avallando ogni volta le scelte aziendali. E’ urgente l’apertura di
una vertenza generale che veda al centro la richiesta di assunzioni “normali”, cestinando
l’insensata opzione del contratto misto, che aggrava i problemi anziché risolverli. E insieme una
battaglia senza quartiere contro le pressioni commerciali e l’articolazione assurda degli orari di
sportello.

Fermare il declino è possibile, se difendiamo nei fatti l’idea di un modello di banca
dedicata ad una clientela di massa, con servizi adeguati al livello consentito oggi dalla
tecnologia e offerti con relazione professionale da personale competente.

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo

Intesa Sanpaolo. Un bel volantino dei “firmatutto”, ma se l’azienda è cattiva perché firmano certi accordi?

 

Le esternazioni di Barrese nella sua ultima web cam, dove esprime la sua attenzione per il benessere dei lavoratori, ha offerto lo spunto per un graffiante volantino dei sindacati firmatutto. Condividiamo a tal punto i contenuti, che abbiamo deciso di divulgarlo, tenendo conto di alcune avvertenze.

Alcuni argomenti erano già stati oggetto di nostre lettere aperte ai vertici aziendali, ma ben venga che altri sollevino le stesse questioni.

Il volantino è fatto dai sindacati dell’Area Torino, quasi che i problemi di organico e di pesanti ritmi di lavoro siano esclusivi problemi di quest’area. Tale tesi era stata esplicitamente formulata in assemblee convocate prima dell’estate del 2018 e che dovevano portare ad una vertenza locale che non è mai stata aperta. A noi pare una sciocchezza, perché ci risulta che il malessere sia piuttosto diffuso a livello nazionale, ma magari ci sbagliamo: attendiamo notizie dagli altri territori.

E’ singolare che a lamentare organici allo stremo siano sigle sindacali che hanno appena firmato per un totale di 10.600 uscite (tra esodi e pensionamenti) a fronte di 1700 assunzioni(di cui 500 miste!!).Forse che i firmatari del volantino dissentono dalle scelte delle loro sigle nazionali? Forse pensano che tutte le assunzioni debbano essere concentrate su Torino? O forse confidano che le 10.000 risorse, promesse da Barrese per il piano di chiusure degli sportelli, risolveranno i problemi? Quindi basterebbe affrettare le chiusure, oltre quelle già previste a settembre…..oppure l’azienda pensa di risolvere i problemi continuando a trattenere al lavoro chi ha firmato per l’esodo, visto che a settembre ha annunciato che ne usciranno solo alcune decine?

Infine è singolare che lamentino che non si riescano a reggere i turni degli orari estesi. Ma chi ha firmato il ccnl del 2012 che li ha introdotti, senza neppure mettere qualche vincolo per evitare quello che sta accadendo?

Potremmo continuare a sollevare altre obiezioni, ma siamo disponibili ad accantonare le polemiche se dalle chiacchiere (il volantino) si volesse passare ai fatti: magari una mobilitazione ed uno sciopero se le condizioni di lavoro denunciate continuassero? Certo, potremmo anche farlo da soli, ma sicuramente l’azione sarebbe meno incisiva e pesa l’impossibilità per noi di poter indire assemblee.

Intanto segnaliamo a Barrese che il benessere dei lavoratori potrebbe migliorare se la Direzione Regionale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta si assumesse pienamente la responsabilitàdell’esperimento (che non è un esperimento) delle filiali dove si deve raccontare ai clienti che le casse sono chiuse (ma non sono chiuse). Si abbia il coraggio di spiegare ai clienti, con una comunicazione scritta, cosa sta succedendo, anziché dare indicazioni ambigue e contraddittorie ai lavoratori.

FONDO SANITARIO INTESA SANPAOLO E’ STATA LA GESTIONE FINANZIARIA A CREARE IL BUCO DI BILANCIO

Il Fondo Sanitario del Gruppo Intesa Sanpaolo ha chiuso il 2018 con un bilancio poco entusiasmante.
Mentre la gestione caratteristica subiva un lieve e fisiologico peggioramento, l’incauta gestione finanziaria ha causato perdite pesanti.
La gestione dei lavoratori attivi è stata ancora positiva, ma non sufficiente per coprire il disavanzo della gestione quiescenti.
Dopo il calo dei mercati del 2018, le quotazioni sono risalite ed il recupero è già avvenuto.
Tuttavia azienda e sindacati firmatari (le fonti istitutive) intendono usare questo scivolone temporaneo per rivedere al ribasso le prestazioni del Fondo e/o aumentare i contributi agli iscritti, soprattutto per quelli in quiescenza.
Sorretti da studi attuariali di parte, prospettano un futuro critico e avanzano proposte di modifica penalizzanti. Alla lunga non saranno solo i pensionati a pagare di più per avere di meno, ma anche i lavoratori in servizio.
L’età media degli iscritti sale perché l’azienda ha bloccato il turn-over: si assume troppo poco, rispetto agli esodi e pensionamenti incentivati.
L’azienda risparmia anche sul welfare e prova a scaricare su lavoratori e pensionati le conseguenze dello squilibrio tendenziale.
Non dobbiamo prestarci a questa presa in giro: non accetteremo supinamente accordi che peggiorano l’esistente. Il welfare è salario indiretto e la contrattazione non significa prendere atto delle decisioni aziendali…
Buona lettura!


volantino in allegato.

Per la prima volta nella storia degli enti previdenziali, agli iscritti in quiescenza non è stato versato
l’intero importo della quota differita, ma solo una quota parte, circa la metà. Sulla vicenda
continua a pesare un inspiegabile silenzio: nessuno informa i lavoratori di quanto è successo.
Il bilancio approvato dall’Assemblea dei Delegati a fine giugno toglie ogni dubbio: non è la
gestione caratteristica a creare il buco di bilancio di 4.4 mln di euro, ma la gestione finanziaria del
patrimonio del fondo sanitario, pari a oltre 130 mln di euro.
Infatti, il disavanzo di gestione, pari a 5,6 milioni di euro, che come avevamo previsto è e resterà
strutturale per la parte dei quiescenti, è aumentato di pochissimo (800.000€ in più) e, come al solito,
sarebbe stato coperto dal contributo di solidarietà proveniente dalla gestione degli attivi (il 6% dei
contributi versati). Si tratta di un aumento fisiologico, dovuto principalmente all’incremento degli
iscritti (1.400 in più), in quanto la spesa media per nucleo familiare è aumentata solo dell’1,5%.
La vera causa del disavanzo è rappresentata dagli oltre 4 milioni di euro di perdite che si sono
originati a causa della flessione dei mercati accusata nel 2018, che si sono scaricate in un calo
pesante della gestione patrimoniale di Eurizon, dove il Fondo ha investito. La perdita è stata
ripartita per 1,3 milioni di euro sulla gestione dei quiescenti e per 2,9 mln di euro sulla gestione degli
attivi. Quest’ultima, pur restando in attivo per 2,2 milioni di euro, non è bastata per ripianare con il
proprio contributo di solidarietà il disavanzo dei quiescenti: dai 6.8 mln di euro dello scorso anno si
è passati ai soli 2.2 mln di euro nel 2018 (il contributo di solidarietà non può superare l’avanzo di
bilancio).
In base allo statuto, il comma 7 dell’articolo 25 stabilisce che solo il 50% del disavanzo venga
finanziato dalle riserve (con il vincolo che non è possibile utilizzare più del 10% del patrimonio),
mentre il restante dovrà essere portato in diminuzione della quota differita: per questo motivo agli
iscritti della sezione quiescenti è stato erogato solo il 52,52% dell’ammontare atteso (dovuto?).
Da notare che il rimbalzo dei mercati nel primo semestre 2019 ha già fatto recuperare tutto: se
l’anno si chiudesse in questo periodo, la gestione finanziaria non creerebbe alcun problema e forse
contribuirebbe ad aumentare gli accantonamenti a riserva. Tuttavia un ente che deve chiudere il
bilancio a fine anno non può permettersi questa volatilità: bisognava intervenire prima, con
tempestività. La situazione di criticità immaginiamo fosse già nota ad ottobre, quando le prime
simulazioni sul fine d’anno avranno sicuramente evidenziato lo sbilancio e quindi ci sarebbe stato
tempo per intervenire e cercare di limitare, quantomeno, l’effetto sui quiescenti.
La situazione avrebbe dovuto ragionevolmente suggerire una revisione dell’attuale
regolamentazione, al fine di consentire un miglior utilizzo delle risorse accantonate nel tempo.
Probabilmente le Fonti Istitutive avrebbero potuto, ad esempio, modificare la norma che limita al
50% la possibilità di utilizzo delle riserve, lasciando unicamente il vincolo del 10% del Patrimonio.
Come sapete, quando si vuole gli accordi si fanno anche in pochi giorni, eppure nessuno ha fatto
nulla per cambiare lo stato delle cose, né l’Azienda, né tantomeno i sindacati firmatari. Sono stati a
guardare, forse sperando in un recupero dei mercati in extremis, che invece non si è realizzato?
E che ne è delle riserve (oltre 30 milioni di euro) ancora bloccate dalla causa in Cassazione per le
modalità irregolari con cui è stata sciolta la Cassa Intesa nel lontano 2011?
È comunque da stigmatizzare la posizione di alcune sigle sindacali che invece imputano alla
gestione complessiva il buco di bilancio, aprendo immediatamente ad interventi sul lato delle
prestazioni che saranno prevedibilmente peggiorative. Un bel servizio a favore di chi sponsorizza
l’utilizzo di polizze integrative, decisamente più economiche, ma che offrono normalmente
prestazioni largamente inferiori a quelle degli iscritti alle gestioni interne! Ovviamente nessuno ha
sottolineato come siano invece scesi di quasi mezzo milione di euro i contributi versati alla
previdenza integrativa da parte aziendale!
È evidente che le politiche di gestione del personale giocano contro: il blocco del turn-over
porta ad un tasso di sostituzione di 1 neo-assunto ogni 10 lavoratori esodati/pensionati. Calano i
lavoratori attivi e cresce l’età media. Aumenta il ricorso alle prestazioni sanitarie, proprio mentre il
servizio pubblico peggiora in qualità e grado di copertura. Senza fare allarmismo funzionale
all’intenzione dell’azienda di tagliare le prestazioni, bisogna ragionare in base agli interessi che
rappresentiamo.
I lavoratori attivi non devono subire rincari nei contributi pagati. I lavoratori in quiescenza non
devono subire tagli alle prestazioni, né essere costretti a pagare premi assicurativi costosi per
avere servizi peggiori.
Lo sfoltimento del personale ha comportato risparmi enormi per l’azienda: ci sono i margini per
un aumento del contributo datoriale. Da lì deve venire il ripianamento del disavanzo strutturale, se
e quando davvero ci sarà. Su questo si misura una vera politica di welfare ed un reale sistema di
contrattazione: non sull’accettazione dell’esistente e l’irreversibilità delle decisioni aziendali!
Diffidiamo le fonti istitutive a intervenire sulle prestazioni del fondo senza coinvolgere i lavoratori:
le proposte devono essere discusse in una tornata assembleare prima di siglare qualunque
accordo peggiorativo. E’ ora di finirla con i mandati in bianco ed il controllo totale sugli enti,
imposto anche con la revisione liberticida dei regolamenti elettorali, per interdire ogni presenza dei
non allineati.
Per quanto riguarda il servizio agli iscritti nel corso dell’Assemblea dei Delegati ed in C.d.a,
abbiamo evidenziato come ci vengano segnalate difficoltà nella presentazione della
documentazione per i rimborsi e tempi di liquidazione decisamente migliorabili. Su questo punto
abbiamo segnalato l’opportunità di introdurre ulteriori statistiche relative al servizio erogato dal
fornitore (service) al quale molti imputano la causa dei disservizi.
Infine, sempre in quella sede, abbiamo espresso apprezzamento per le campagne di
prevenzione finora svolte, ma che ci sembrano ancora quantitativamente insufficienti.
Annualmente le campagne coinvolgono poco più di 1 su 4 degli 80.000 iscritti e considerando le
dimensioni raggiunte dal Fondo si dovrebbe fare di più. Ad esempio, è comune a molti Fondi
Sanitari la possibilità di usufruire di predefiniti check up periodici, in ambito eventualmente di day
hospital, con copertura lavorativa della giornata degli esami. Sarebbe un buon investimento,
anche in termini di risparmio nelle prestazioni future: e potrebbe anche documentare le
conseguenze dello stress lavoro-correlato, in un clima aziendale sempre più pesante!
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo

Intesa Sanpaolo. Esodi, la grande fuga prosegue

Come noto, dopo le modifiche pensionistiche introdotte dal governo in carica (sterilizzazione dell’aumento dell’età pensionabile per la speranza di vita, quota 100, ecc.), Intesa Sanpaolo si era detta disponibile a prendere in considerazione nuove domande di pensionamento e di esodo per chi, in seguito alle modifiche citate, poteva rientrare nei parametri previsti dal precedente accordo sugli esodi.

L’azienda aveva posto dei paletti sui nuovi posti disponibili: non più di 1000 Pensionamenti e di 600 esodi. Ebbene, le domande pervenute sono state circa 1300 per entrambi i casi!!

La situazione dovrà ancora essere valutata, anche perché pare siano giunte domande anche da parte di chi non aveva i requisiti neppure con le nuove norme.

In attesa quindi delle riflessioni che verranno fatte e delle relative decisioni al riguardo, una domanda si pone: ma i vertici aziendali, che straparlano di “banca più bella del mondo”, si interrogheranno mai sul successo strepitoso che ottengono le offerte di andarsene tra i colleghi??? Quale migliore indagine di clima (pure gratis) di questa?

CUB-SALLCA Intesa Sanpaolo

ELEZIONI FONDO PENSIONI INTESA SANPAOLO: UN RISULTATO SCONTATO, UNA (NON) PARTECIPAZIONE CHE DOVREBBE FAR RIFLETTERE

 

Le elezioni per il Fondo Pensione del  Gruppo Intesa Sanpaolo si sono concluse e tutti i 10 candidati per i 10 posti sono stati eletti!

Risultato ovvio e scontato fin dall’inizio, ma quello che non leggerete nei comunicati delle sigle sindacali firmatarie è come il successo elettorale sia stato supportato solo dal 17% degli aventi diritto al voto!! Mai nella storia degli enti del welfare la percentuale di adesione era stata così bassa.

Le preferenze raccolte dai candidati sono praticamente le stesse che avevano raccolto nelle ultime elezioni di uno solo dei fondi confluiti : il fondo ha ora più del doppio degli aderenti, ma i votanti sono invariati

È evidente l’importanza che ha assunto il welfare aziendale nella vita dei colleghi ed inoltre la contrattazione sindacale è sempre più incentrata sulla retribuzione indiretta: eppure solo una risicata minoranza di colleghi ha deciso di spendere 30 secondi per fare qualche clic in una procedura guidata decisamente elementare … Peraltro, visto l’imbarazzo, anche i risultati sono stati opportunamente resi poco visibili ed ancora non sono stati pubblicati dati complessivi. Il dato di adesione non compare mai nei comunicati sindacali, peraltro meno enfatici del solito, e chi lo volesse calcolare dovrebbe annotarsi il numero dei votanti (12.091) comparso nell’unico documentino pubblicato sul sito (più scarno del già essenziale estratto finora pubblicato) e poi andare a cercare il numero degli aventi diritto (70.569) in una precedente comunicazione, quella dell’avvio del processo elettorale. Comodo! Inoltre, non è noto il numero delle schede bianche, che potrebbe anche essere letto come una scelta cosciente per quanti non abbiano voluto esprimere un voto per una lista bloccata … Infine come al solito, non viene data nessuna scomposizione del voto, neppure per società.

Dire che sono state elezioni “in sordina” è un eufemismo …

Come anche in passato, hanno sicuramente contribuito alla scarsa partecipazione  sia l’atteggiamento dei colleghi, poco attento alle questioni previdenziali (per molti, molto “di là da venire” …), sia l’ormai rassegnato processo di delega incondizionato verso le sigle sindacali. Ricordiamo, però, che non più di un anno fa, nelle ultime elezioni del Fondo Sanitario,i votanti erano stati oltre 23.000, ovvero quasi il doppio, su un numero di aventi diritti di soli 63.000 colleghi …E’ quindi evidente come alla bassa affluenza abbiano contribuito anche altri fattori.

Un elemento che ha caratterizzato queste elezioni è stata la completa assenza di ogni forma di campagna elettorale. I firma-firma hanno inviato mail solo ai rispettivi elenchi di iscritti ed infatti siamo passati dal martellamento di mail delle ultime tornate elettorali al silenzio più totale. I non iscritti ad un sindacato hanno ricevuto solo informative “ufficiali” da parte delle strutture del Fondo Pensione. Evidentemente l’assenza di competizione elettorale non ha consentito di portare all’attenzione dei colleghi un confronto sui temi concreti che avrebbero dovuto contribuire a sviluppare. Nessuna organizzazione sindacale può vantare di essere riuscita a far votare più di 1 o 2 iscritti su 7Una debacle anche interna, che non può che essere ricondotta alle scriteriate trovate tattiche sindacali che, nonostante le ampie possibilità a disposizione, si limitano a mantenere un controllo di facciata, in assenza di ogni reale mandato da parte dei colleghi. Ed il distacco dalla base dei lavoratori si amplia ulteriormente …

Il listone bloccato e l’assenza di campagna elettorale sono anche conseguenze delle indecenti limitazioni introdotte alla presentazione di liste alternative, che hanno tolto pure quel poco di confronto che in passato aveva contribuito ad aumentare il coinvolgimento dell’elettorato sulle questioni del Fondo. Per chi non avesse letto i nostri precedenti volantini, ricordiamo che per presentare una lista alternativa andavano raccolte ben 3.528 firme di colleghi in circa un mese! Nelle ultime elezioni per il Fondo Sanitario erano sufficienti 1.851 firme, mentre ora il doppio! Un indecente accordo firmato due anni fa ha aumentato al 5% degli aventi diritto (e c’era anche chi proponeva l’8%!) il numero di firme necessarie per la candidatura ed ha sostanzialmente annullato ogni possibilità di democratica partecipazione alle tornate elettorali. Come si può ritenere possibile raccogliere un numero simile di firme, senza alcuna agibilità, su un elettorato strutturalmente distribuito su tutto il territorio nazionale? È evidente la volontà di soffocare ogni voce fuori dal coro.

Da un certo punto di vista noi del Sallca dovremmo addirittura andare fieri:  pur con dimensioni ridotte rispetto alle altre organizzazioni e con scarse possibilità di incidere sul quadro nazionale, siamo riusciti a fare paura, tanto da rendere necessario introdurre una misura liberticida pur di tenerci fuori.

E’ curioso notare che la candidata più votata ha raccolto solo 2.726 voti e l’ultimo dei candidati eletti ha raggiunto lo stratosferico risultato di 746 preferenze! Ma noi (così come qualsiasi gruppo di lavoratori indipendente), solo per presentarci, avremmo avuto bisogno di oltre 3.500 firme …

Ricordiamo a tutti che da anni il Sallca eleggeva propri rappresentanti negli enti del welfare, eppure tutte le volte dobbiamo confermare la nostra rappresentatività tra i colleghi.. La nostra candidata al Fondo Sanitario aveva raccolto oltre 1.600 voti, eppure questa volta non è stato neppure possibile candidarsi.

La nostra scelta di non candidarci ha voluto sottolineare l’ennesimo furto ai nostri più basilari diritti, tra i quali quello alla partecipazione, e proprio per questo rivolgiamo l’ennesimo appello alle onnipotenti Fonti Istitutive perché correggano urgentemente queste norme liberticide.

Nonostante tutto quanto sopra, è il risultato finale di queste manfrine sindacalesi ad essere sconfortante: i lavoratori sono sempre più disinteressati rispetto alle vicende degli enti del welfare ed alla cronica mancanza di partecipazione si è ora associata anche una scarsa adesione alle discutibili politiche dei sindacali trattanti.

In un periodo di contrattazioni difficili, ricevere un sostegno così basso è ovviamente il più grande favore che si può fare alla controparte. Complimenti!

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo

1 9 10 11 22