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La storia del Fondo Sanitario Integrativo del Gruppo Intesa Sanpaolo è vicino ad un’ennesima svolta.
Dalla fusione delle precedenti gestioni nel 2011, avvenuta in spregio alle norme statutarie dell’Ex Cassa Intesa, è sortita una causa che tiene tuttora bloccate ingenti riserve.
Lo squilibrio strutturale della gestione quiescenti è stata ripianata nel tempo dagli attivi della gestione dei lavoratori in servizio e dai risultati finanziari delle riserve.
Ma nel 2018 i mercati sono andati male e si vuole usare questo episodio per giustificare una revisione peggiorativa delle prestazioni per i quiescenti (ma non si esclude qualche intervento anche per gli attivi).
Proprio coloro che sono già stati penalizzati dalle revisioni precedenti e che trovano sempre meno conveniente restare iscritti.
Lo scadimento del servizio di Previmedical (su cui intendiamo tornare), segnalato da molti iscritti, colpisce in particolare proprio i pensionati, che hanno meno familiarità con le nuove tecnologie e più difficoltà nel seguire le richieste di rimborso (spesso cartacee).
Nel volantino allegato diffidiamo le parti in causa (azienda e sindacati) a procedere ad ulteriori peggioramenti ed avanziamo proposte alternative (tecnicamente sostenibili) per fare il contrario di quanto si propongono gli altri.
Teniamo gli occhi aperti e ricordiamoci che un giorno saremo tutti pensionati!
Fondo Sanitario Integrativo: NESSUN TAGLIO PER NESSUNO
SBLOCCHIAMO LE RISERVE, SALGA IL CONTRIBUTO AZIENDALE
Dopo essersi visti tagliare del 50% la quota differita, i quiescenti iscritti al Fondo Sanitario
del Gruppo Intesa Sanpaolo devono ora preoccuparsi di vedersi ulteriormente ridurre le
prestazioni o di dover sborsare ancora di più di quanto già versano.
Come avevamo già ipotizzato nel nostro precedente volantino, la perdita rilevata sulla
gestione finanziaria delle riserve, dovuta ai mercati finanziari a fine 2018, viene ora usata
come giustificazione per un intervento sulle condizioni economiche e/o sulle prestazioni
dei quiescenti.
Ricordiamo che, al netto della gestione finanziaria, il risultato previdenziale 2018, (dato
dalla differenza tra contributi e prestazioni, -€ 5.675.314) è peggiorato rispetto al 2017 (-€
4.857.218) di circa soli € 800.000, la metà del peggioramento rilevato nei precedenti anni.
Anche la spesa pro-capite per iscritto in quiescenza sembra sotto controllo, essendo
aumentata nel 2018 solo del 2,31%.
Se la gestione complessiva ha subito un significativo impatto nel 2018, bisogna anzitutto
ricordare che negli anni precedenti la gestione finanziaria aveva contribuito alla
creazione di un plusvalore che è stato accantonato. Attualmente le riserve del comparto
quiescenti ammontano a oltre € 35 milioni e solo negli ultimi due anni il surplus di bilancio
ha consentito maggiori riserve per oltre € 4 milioni. Perché non sono state utilizzate invece
di penalizzare gli iscritti?
Purtroppo, le regole di bilancio previste dallo Statuto prevedono forti limitazioni all’uso
delle riserve (ma tutti sanno bene che queste regole sono modificabili anche
rapidamente quando si vuole…). In altre parole: quando i mercati finanziari vanno bene
si accumula ma se vanno male non si utilizzano le riserve degli anni precedenti. Come
dire: la quota differita è legata alla volatilità dei mercati finanziari! Assurdo.
Ma allora perché tutta questa concitazione nel voler rivedere le regole, ovviamente in
senso peggiorativo?
Perché l’azienda si è preoccupata di produrre una serie di documenti che conducono
inesorabilmente alla necessità di intervenire, tagliando prestazioni o aumentando le
quote di partecipazione?
Tanto fumo e poco arrosto che distolgono l’attenzione dall’unico dato incontrovertibile:
il contributo aziendale è sceso di quasi mezzo milione di euro ogni anno.
Alcune simulazioni evidenziano un eventuale problema di sostenibilità non prima di 7/8
anni, ma certamente le dinamiche occupazionali porteranno sempre più verso una
riduzione della quota degli attivi sul totale degli aderenti. È quindi essenziale che venga
richiesto che l’Azienda continui almeno a versare quello che ha sempre versato, anche
se sarebbe da prevedere un progressivo aumento che tenga conto dell’oggettivo
incremento dei costi dell’assistenza sanitaria.
Che la gestione dei quiescenti sia strutturalmente deficitaria è indubitabile e infatti i
fondi sanitari si fondano sul principio di mutualità intergenerazionale. Proprio in questo
senso andrebbero poi cambiati i meccanismi di utilizzo delle riserve, che devono poter
essere utilizzate in casi come quello dello scorso anno, dove l’evidente volatilità dei
mercati finanziari ha avuto un impatto fortemente negativo!
Per quanto detto sopra, ci sembra evidente il tentativo aziendale di procedere con un
peggioramento dell’offerta che viene “venduto” anche come risposta (sbagliata) alle
proteste di alcuni quiescenti che hanno fatto notare come le contribuzioni siano troppo
onerose.
A nostro avviso è assolutamente prematuro agire in modo così drastico. Quello che le
Fonti Istitutive (per quanto questo termine non sia previsto sul piano normativo…)
dovrebbero fare è ben altro, ovvero:
– Ripensare l’uso delle riserve: l’attuale impostazione prevede un tetto massimo di
trasferimento alla gestione in caso di deficit, ma occorre modificare gli attuali limiti.
– Creare un nuovo fondo rischi nel quale far confluire gli extra-rendimenti della
gestione finanziaria per eliminare, o almeno contenere, volatilità avverse che si
possono realizzare negli anni futuri.
– Modificare le modalità di imputazione del risultato di esercizio sia in caso di surplus
(riserva e fondo rischi), che in caso di disavanzo, considerando separatamente la
gestione previdenziale (differenza tra contributi e prestazioni) dalle altre (finanziaria
in primis).
– Rivedere il meccanismo del contributo di solidarietà: il limite di trasferimento
definito in base al surplus complessivo della gestione degli attivi andrebbe rivisto
per consentire, con mercati negativi, l’utilizzo del neocostituito fondo rischi.
– Eliminare l’odiosa “quota differita”: se questo meccanismo aveva una sua ragione
nel momento dell’integrazione di numerosi colleghi infragruppo, ora la situazione si
è stabilizzata, è in buona misura prevedibile e opera entro margini sufficientemente
ampi per consentire una liquidazione immediata dell’intero importo rimborsabile.
– Ridare poteri al CdA: in questo momento, statutariamente, svolge un ruolo troppo
marginale, tenuto conto che è l’unico organo eletto da tutti gli iscritti.
Infine, sempre le Fonti Istitutive dovrebbero forse riconsiderare la loro posizione di
chiusura nei confronti dei ricorrenti nella causa che tiene sospesi 37 milioni di riserve
dell’ex Cassa Intesa. Il ricorso in Cassazione molto difficilmente sconfesserà i due
precedenti gradi di giudizio che hanno visto l’Azienda soccombere. Peraltro, anche i
ricorrenti, ex Consiglieri della Cassa, dovrebbero rivedere e attualizzare nell’attuale
scenario una proposta transattiva che possa avere un effetto concreto sul comparto dei
quiescenti. Inoltre, li invitiamo a porre massima attenzione al tentativo in atto di un
intervento statutario in emergenza e peggiorare ulteriormente la gestione dei quiescenti,
che vanificherebbe il loro tenace operato.
Come nota a latere, evidenziamo che le autoproclamate Fonti Istitutive si arrogano
comunque il diritto di modificare i diritti di iscritti per i quali non hanno un mandato di
rappresentanza… Per quanto possa sembrare a qualcuno noioso e ripetitivo, è un altro,
ennesimo effetto della cronica mancanza di democrazia e di rappresentatività nel nostro
settore.
In generale, in presenza di una progressiva tendenza allo smantellamento del welfare
sanitario nazionale, invece di toccare sempre le regole, sarebbe opportuno procedere
ad efficientare le prestazioni, eliminando palesi sprechi ed utilizzi ingiustificati al fine di
ampliare, e non restringere, le coperture assistenziali!
E poi ricordiamo a tutti gli iscritti attivi che salvaguardare i diritti dei quiescenti vuol dire
occuparsi del proprio futuro perché speriamo tutti di arrivare a far parte della gestione dei
quiescenti!
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo
E’ stata firmata in Intesa Sanpaolo una vera e propria girandola di accordi, tra cui l’accordo annuale sul Premio Variabile di Risultato (PVR), sul Sistema Eccellenza Tutela (SET), sulla Formazione Flessibile.
Torneremo a breve più in dettaglio su questi accordi, che non stravolgono il già discutibile impianto precedente, ma che vi aggiungono ulteriori elementi di complicazione, rendendoli sempre più indecifrabili. Capire i dettagli reconditi degli accordi sui sistemi incentivanti richiede tempo e applicazione: una vera e propria caccia al tesoro, che però si rivela inutile, perché il tesoro c’è solo per qualcuno, mentre alla maggioranza dei colleghi alla fine arriva una miseria!
Qui commentiamo invece la revisione del modello di servizio della BdT.
Il 25 settembre scorso INTESA SANPAOLO ha infatti comunicato di voler procedere, da gennaio 2020, ad una revisione del modello di servizio, che coinvolgerà tutta la clientela della rete filiali. L’impatto sarà più rilevante sulle filiali Personal, ma in realtà anche il Retail subirà un forte rimescolamento. Tutta la clientela verrà “riclassificata” e segmentata in base ai nuovi criteri definiti con l’utilizzo dei sistemi di Big Data ed anche gestori e consulenti ne seguiranno le sorti, con conseguenze non sempre gradevoli.
A clientela declassata corrisponderà personale demansionato?
Lasceremo mano libera all’azienda, come se l’organizzazione del lavoro fosse sua prerogativa esclusiva?
Per intanto, buona lettura…
INTESA SANPAOLO: NON C’E’ PACE PER LA RETE
Il 25 settembre scorso ISP ha annunciato una radicale riorganizzazione della rete filiali, cui è seguito il 9 ottobre l’annuncio di una nuova articolazione degli orari nelle filiali flexi. Entrambe
le misure prenderanno corpo a partire dal 20 gennaio.
Si tratta di un piano da far tremare i polsi, che metterà ancora più in crisi una rete filiali già
piegata da tagli al personale, chiusura di sportelli e riduzione del servizio. Il rischio è che,
ancora una volta, tutto passi senza reazione da parte dei sindacati “trattanti” e dei lavoratori maltrattati,
perché ormai è stata interiorizzata una situazione di caos permanente, in cui l’unica priorità
è sopravvivere a livello individuale.
Questa volta però la dimensione del disastro rischia di essere veramente imponente. Il progetto
dell’azienda punta a chiudere entro il 2020 altre 328 filiali, facendo scendere il totale finale a 2.770.
L’abbandono del territorio prosegue con ritmo inarrestabile. Ma la qualità del servizio che
resterà, dopo la riorganizzazione, sarà così scadente da lasciare legittimi dubbi sulla lungimiranza
del piano.
Infatti c’è l’esplicito obiettivo di ridimensionare i servizi alla clientela meno redditizia, fino al punto
di costringerla all’abbandono, per concentrarsi sui segmenti di maggior pregio, modificando in
peggio anche l’offerta per quella clientela intermedia che oggi rappresenta comunque la più
importante sorgente di ricavi aggregati.
Il nuovo modello modifica in profondità l’approccio commerciale e organizzativo della rete e
coinvolge tutte le filiali, ma ha ricadute particolarmente sensibili sulle filiali Personal.
In questo segmento vengono chiuse metà delle filiali (377 delle attuali 777) e metà delle Aree (45
su 90). I gestori Personal scenderanno da 4.750 a poco più di 3.000 (gli altri passeranno al Retail o
ad Impact, l’ex Banca Prossima). Resterà nel perimetro Personal solo la clientela definita “Upper
Affluent” con patrimonio di 250/500.000 euro e reddito netto > 50.000 euro, in portafogli con una
media di 130 clienti, non più “pesati” ma “contati”.
Tutta la clientela definita “Lower Affluent” con patrimonio > 75/100.000 euro o reddito netto >
35.000 euro “scenderà” nel Retail, dove i gestori saliranno un po’ di numero rispetto ai 14.700
attuali (ma la cifra esatta non è stata indicata….). Il portafoglio medio conterà 180/200 clienti. Le
Aziende Retail dovrebbero mantenere gli attuali criteri di gestione, in portafogli un po’ ridotti (250
clienti).
Oltre a questa gigantesca (e problematica) ridislocazione di clientela, cambieranno anche le
“regole d’ingaggio” perché solo la clientela Upper Affluent e Lower Affluent resterà inserita in
portafogli “statici”, mentre il resto della clientela finirà nella baraonda della portafogliazione
“dinamica”, con assegnazione mensile di liste di clienti da contattare, oppure semplice gestione
“reattiva” quando il cliente si presenta in filiale per qualche esigenza.
I clienti più digitali potranno essere seguiti da Gestori Remoti, che lavoreranno sui grandi numeri,
perché già ora possono arrivare ad avere 400 clienti a testa.
Da tutto quanto abbiamo detto, risulta evidente che la mazzata più rilevante viene riservata al
Personal, un segmento che ha prodotto, in questi ultimi anni, risultati di tutto rispetto nel quadro
reddituale della B.d.T.: minarne la tenuta può rivelarsi davvero improvvido.
L’attuale configurazione di 777 filiali (con 2.000 punti operativi, se si includono i distaccamenti)
scenderebbe a 400 filiali (e 1.220 punti operativi, con i distaccamenti), ripartite in 70 filiali a scala,
con almeno 6 gestori, e circa 330 filiali distribuite (che includono 2/4 punti operativi limitrofi di
almeno 2 gestori ciascuno).
La logica che guida questo disegno è riconducibile alla semplice e banale strategia di risparmio
sui costi, così come abbiamo già visto applicarsi nella revisione degli inquadramenti professionali
varata nel 2015, non appena si è partiti con il nuovo modello (separazione tra Retail e Personal).
Quel modello aveva prodotto pesanti contraccolpi sull’equilibrio aziendale, ma aveva perlomeno
creato dal nulla numerose figure di direzione filiali, assorbendo così, almeno in parte, il fenomeno
di sovra-inquadramento precedente. L’allungamento dei tempi per “salire di livello” (conseguente
all’accordo inquadramenti) ha poi compensato l’iniziale incremento di costo con un generalizzato
sotto-inquadramento del personale, prolungato nel tempo, con enormi risparmi per l’azienda.
Ora si va invece nella direzione opposta: si sopprimono 45 Aree e 377 direzioni di filiale. Che fine
faranno queste figure e questi ruoli professionali? Non potranno andare tutti in esodo,
presumibilmente…
Non sono certo solo i Direttori e i Capi Area a patire: sono in bilico tanti percorsi di carriera
per colleghi che già hanno dovuto confrontarsi, in questi anni, con meccanismi infernali,
incomprensibili, inspiegabili, dell’accordo inquadramenti. Certezza, trasparenza, esigibilità sono
sparite dall’orizzonte del lavoratore, calpestate da un’azienda che spesso viene meno agli impegni,
sempre vaghi e approssimativi, presi durante i colloqui gestiti dai suoi addetti del personale.
I lavoratori quindi dovranno gestire, da gennaio, carichi di lavoro sempre più pesanti (oltre 700
esodati andranno via al 31/12…), pressioni commerciali asfissianti, una clientela disorientata
dai continui cambiamenti e richieste di risultati impossibili.
A tutto questo si aggiungerà una revisione degli orari delle filiali flexi che, lungi dall’essere una
agognata conquista sindacale, sono un semplice adattamento alle esigenze commerciali
dell’azienda, che modula gli orari in base ai propri obiettivi. Alcune filiali torneranno ad aprire alle
8,05; per molte si passa all’orario continuato; si allungherà di mezz’ora l’orario del sabato e così
via: alla fine sembra prevalere un’estensione degli orari di sportello più che una loro contrazione!
Non si esce da questa situazione avallando ogni volta le scelte aziendali. E’ urgente l’apertura di
una vertenza generale che veda al centro la richiesta di assunzioni “normali”, cestinando
l’insensata opzione del contratto misto, che aggrava i problemi anziché risolverli. E insieme una
battaglia senza quartiere contro le pressioni commerciali e l’articolazione assurda degli orari di
sportello.
Fermare il declino è possibile, se difendiamo nei fatti l’idea di un modello di banca
dedicata ad una clientela di massa, con servizi adeguati al livello consentito oggi dalla
tecnologia e offerti con relazione professionale da personale competente.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo
Le esternazioni di Barrese nella sua ultima web cam, dove esprime la sua attenzione per il benessere dei lavoratori, ha offerto lo spunto per un graffiante volantino dei sindacati firmatutto. Condividiamo a tal punto i contenuti, che abbiamo deciso di divulgarlo, tenendo conto di alcune avvertenze.
Alcuni argomenti erano già stati oggetto di nostre lettere aperte ai vertici aziendali, ma ben venga che altri sollevino le stesse questioni.
Il volantino è fatto dai sindacati dell’Area Torino, quasi che i problemi di organico e di pesanti ritmi di lavoro siano esclusivi problemi di quest’area. Tale tesi era stata esplicitamente formulata in assemblee convocate prima dell’estate del 2018 e che dovevano portare ad una vertenza locale che non è mai stata aperta. A noi pare una sciocchezza, perché ci risulta che il malessere sia piuttosto diffuso a livello nazionale, ma magari ci sbagliamo: attendiamo notizie dagli altri territori.
E’ singolare che a lamentare organici allo stremo siano sigle sindacali che hanno appena firmato per un totale di 10.600 uscite (tra esodi e pensionamenti) a fronte di 1700 assunzioni(di cui 500 miste!!).Forse che i firmatari del volantino dissentono dalle scelte delle loro sigle nazionali? Forse pensano che tutte le assunzioni debbano essere concentrate su Torino? O forse confidano che le 10.000 risorse, promesse da Barrese per il piano di chiusure degli sportelli, risolveranno i problemi? Quindi basterebbe affrettare le chiusure, oltre quelle già previste a settembre…..oppure l’azienda pensa di risolvere i problemi continuando a trattenere al lavoro chi ha firmato per l’esodo, visto che a settembre ha annunciato che ne usciranno solo alcune decine?
Infine è singolare che lamentino che non si riescano a reggere i turni degli orari estesi. Ma chi ha firmato il ccnl del 2012 che li ha introdotti, senza neppure mettere qualche vincolo per evitare quello che sta accadendo?
Potremmo continuare a sollevare altre obiezioni, ma siamo disponibili ad accantonare le polemiche se dalle chiacchiere (il volantino) si volesse passare ai fatti: magari una mobilitazione ed uno sciopero se le condizioni di lavoro denunciate continuassero? Certo, potremmo anche farlo da soli, ma sicuramente l’azione sarebbe meno incisiva e pesa l’impossibilità per noi di poter indire assemblee.
Intanto segnaliamo a Barrese che il benessere dei lavoratori potrebbe migliorare se la Direzione Regionale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta si assumesse pienamente la responsabilitàdell’esperimento (che non è un esperimento) delle filiali dove si deve raccontare ai clienti che le casse sono chiuse (ma non sono chiuse). Si abbia il coraggio di spiegare ai clienti, con una comunicazione scritta, cosa sta succedendo, anziché dare indicazioni ambigue e contraddittorie ai lavoratori.
Il Fondo Sanitario del Gruppo Intesa Sanpaolo ha chiuso il 2018 con un bilancio poco entusiasmante.
Mentre la gestione caratteristica subiva un lieve e fisiologico peggioramento, l’incauta gestione finanziaria ha causato perdite pesanti.
La gestione dei lavoratori attivi è stata ancora positiva, ma non sufficiente per coprire il disavanzo della gestione quiescenti.
Dopo il calo dei mercati del 2018, le quotazioni sono risalite ed il recupero è già avvenuto.
Tuttavia azienda e sindacati firmatari (le fonti istitutive) intendono usare questo scivolone temporaneo per rivedere al ribasso le prestazioni del Fondo e/o aumentare i contributi agli iscritti, soprattutto per quelli in quiescenza.
Sorretti da studi attuariali di parte, prospettano un futuro critico e avanzano proposte di modifica penalizzanti. Alla lunga non saranno solo i pensionati a pagare di più per avere di meno, ma anche i lavoratori in servizio.
L’età media degli iscritti sale perché l’azienda ha bloccato il turn-over: si assume troppo poco, rispetto agli esodi e pensionamenti incentivati.
L’azienda risparmia anche sul welfare e prova a scaricare su lavoratori e pensionati le conseguenze dello squilibrio tendenziale.
Non dobbiamo prestarci a questa presa in giro: non accetteremo supinamente accordi che peggiorano l’esistente. Il welfare è salario indiretto e la contrattazione non significa prendere atto delle decisioni aziendali…
Buona lettura!
volantino in allegato.
Per la prima volta nella storia degli enti previdenziali, agli iscritti in quiescenza non è stato versato
l’intero importo della quota differita, ma solo una quota parte, circa la metà. Sulla vicenda
continua a pesare un inspiegabile silenzio: nessuno informa i lavoratori di quanto è successo.
Il bilancio approvato dall’Assemblea dei Delegati a fine giugno toglie ogni dubbio: non è la
gestione caratteristica a creare il buco di bilancio di 4.4 mln di euro, ma la gestione finanziaria del
patrimonio del fondo sanitario, pari a oltre 130 mln di euro.
Infatti, il disavanzo di gestione, pari a 5,6 milioni di euro, che come avevamo previsto è e resterà
strutturale per la parte dei quiescenti, è aumentato di pochissimo (800.000€ in più) e, come al solito,
sarebbe stato coperto dal contributo di solidarietà proveniente dalla gestione degli attivi (il 6% dei
contributi versati). Si tratta di un aumento fisiologico, dovuto principalmente all’incremento degli
iscritti (1.400 in più), in quanto la spesa media per nucleo familiare è aumentata solo dell’1,5%.
La vera causa del disavanzo è rappresentata dagli oltre 4 milioni di euro di perdite che si sono
originati a causa della flessione dei mercati accusata nel 2018, che si sono scaricate in un calo
pesante della gestione patrimoniale di Eurizon, dove il Fondo ha investito. La perdita è stata
ripartita per 1,3 milioni di euro sulla gestione dei quiescenti e per 2,9 mln di euro sulla gestione degli
attivi. Quest’ultima, pur restando in attivo per 2,2 milioni di euro, non è bastata per ripianare con il
proprio contributo di solidarietà il disavanzo dei quiescenti: dai 6.8 mln di euro dello scorso anno si
è passati ai soli 2.2 mln di euro nel 2018 (il contributo di solidarietà non può superare l’avanzo di
bilancio).
In base allo statuto, il comma 7 dell’articolo 25 stabilisce che solo il 50% del disavanzo venga
finanziato dalle riserve (con il vincolo che non è possibile utilizzare più del 10% del patrimonio),
mentre il restante dovrà essere portato in diminuzione della quota differita: per questo motivo agli
iscritti della sezione quiescenti è stato erogato solo il 52,52% dell’ammontare atteso (dovuto?).
Da notare che il rimbalzo dei mercati nel primo semestre 2019 ha già fatto recuperare tutto: se
l’anno si chiudesse in questo periodo, la gestione finanziaria non creerebbe alcun problema e forse
contribuirebbe ad aumentare gli accantonamenti a riserva. Tuttavia un ente che deve chiudere il
bilancio a fine anno non può permettersi questa volatilità: bisognava intervenire prima, con
tempestività. La situazione di criticità immaginiamo fosse già nota ad ottobre, quando le prime
simulazioni sul fine d’anno avranno sicuramente evidenziato lo sbilancio e quindi ci sarebbe stato
tempo per intervenire e cercare di limitare, quantomeno, l’effetto sui quiescenti.
La situazione avrebbe dovuto ragionevolmente suggerire una revisione dell’attuale
regolamentazione, al fine di consentire un miglior utilizzo delle risorse accantonate nel tempo.
Probabilmente le Fonti Istitutive avrebbero potuto, ad esempio, modificare la norma che limita al
50% la possibilità di utilizzo delle riserve, lasciando unicamente il vincolo del 10% del Patrimonio.
Come sapete, quando si vuole gli accordi si fanno anche in pochi giorni, eppure nessuno ha fatto
nulla per cambiare lo stato delle cose, né l’Azienda, né tantomeno i sindacati firmatari. Sono stati a
guardare, forse sperando in un recupero dei mercati in extremis, che invece non si è realizzato?
E che ne è delle riserve (oltre 30 milioni di euro) ancora bloccate dalla causa in Cassazione per le
modalità irregolari con cui è stata sciolta la Cassa Intesa nel lontano 2011?
È comunque da stigmatizzare la posizione di alcune sigle sindacali che invece imputano alla
gestione complessiva il buco di bilancio, aprendo immediatamente ad interventi sul lato delle
prestazioni che saranno prevedibilmente peggiorative. Un bel servizio a favore di chi sponsorizza
l’utilizzo di polizze integrative, decisamente più economiche, ma che offrono normalmente
prestazioni largamente inferiori a quelle degli iscritti alle gestioni interne! Ovviamente nessuno ha
sottolineato come siano invece scesi di quasi mezzo milione di euro i contributi versati alla
previdenza integrativa da parte aziendale!
È evidente che le politiche di gestione del personale giocano contro: il blocco del turn-over
porta ad un tasso di sostituzione di 1 neo-assunto ogni 10 lavoratori esodati/pensionati. Calano i
lavoratori attivi e cresce l’età media. Aumenta il ricorso alle prestazioni sanitarie, proprio mentre il
servizio pubblico peggiora in qualità e grado di copertura. Senza fare allarmismo funzionale
all’intenzione dell’azienda di tagliare le prestazioni, bisogna ragionare in base agli interessi che
rappresentiamo.
I lavoratori attivi non devono subire rincari nei contributi pagati. I lavoratori in quiescenza non
devono subire tagli alle prestazioni, né essere costretti a pagare premi assicurativi costosi per
avere servizi peggiori.
Lo sfoltimento del personale ha comportato risparmi enormi per l’azienda: ci sono i margini per
un aumento del contributo datoriale. Da lì deve venire il ripianamento del disavanzo strutturale, se
e quando davvero ci sarà. Su questo si misura una vera politica di welfare ed un reale sistema di
contrattazione: non sull’accettazione dell’esistente e l’irreversibilità delle decisioni aziendali!
Diffidiamo le fonti istitutive a intervenire sulle prestazioni del fondo senza coinvolgere i lavoratori:
le proposte devono essere discusse in una tornata assembleare prima di siglare qualunque
accordo peggiorativo. E’ ora di finirla con i mandati in bianco ed il controllo totale sugli enti,
imposto anche con la revisione liberticida dei regolamenti elettorali, per interdire ogni presenza dei
non allineati.
Per quanto riguarda il servizio agli iscritti nel corso dell’Assemblea dei Delegati ed in C.d.a,
abbiamo evidenziato come ci vengano segnalate difficoltà nella presentazione della
documentazione per i rimborsi e tempi di liquidazione decisamente migliorabili. Su questo punto
abbiamo segnalato l’opportunità di introdurre ulteriori statistiche relative al servizio erogato dal
fornitore (service) al quale molti imputano la causa dei disservizi.
Infine, sempre in quella sede, abbiamo espresso apprezzamento per le campagne di
prevenzione finora svolte, ma che ci sembrano ancora quantitativamente insufficienti.
Annualmente le campagne coinvolgono poco più di 1 su 4 degli 80.000 iscritti e considerando le
dimensioni raggiunte dal Fondo si dovrebbe fare di più. Ad esempio, è comune a molti Fondi
Sanitari la possibilità di usufruire di predefiniti check up periodici, in ambito eventualmente di day
hospital, con copertura lavorativa della giornata degli esami. Sarebbe un buon investimento,
anche in termini di risparmio nelle prestazioni future: e potrebbe anche documentare le
conseguenze dello stress lavoro-correlato, in un clima aziendale sempre più pesante!
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo
Come noto, dopo le modifiche pensionistiche introdotte dal governo in carica (sterilizzazione dell’aumento dell’età pensionabile per la speranza di vita, quota 100, ecc.), Intesa Sanpaolo si era detta disponibile a prendere in considerazione nuove domande di pensionamento e di esodo per chi, in seguito alle modifiche citate, poteva rientrare nei parametri previsti dal precedente accordo sugli esodi.
L’azienda aveva posto dei paletti sui nuovi posti disponibili: non più di 1000 Pensionamenti e di 600 esodi. Ebbene, le domande pervenute sono state circa 1300 per entrambi i casi!!
La situazione dovrà ancora essere valutata, anche perché pare siano giunte domande anche da parte di chi non aveva i requisiti neppure con le nuove norme.
In attesa quindi delle riflessioni che verranno fatte e delle relative decisioni al riguardo, una domanda si pone: ma i vertici aziendali, che straparlano di “banca più bella del mondo”, si interrogheranno mai sul successo strepitoso che ottengono le offerte di andarsene tra i colleghi??? Quale migliore indagine di clima (pure gratis) di questa?
CUB-SALLCA Intesa Sanpaolo
Le elezioni per il Fondo Pensione del Gruppo Intesa Sanpaolo si sono concluse e tutti i 10 candidati per i 10 posti sono stati eletti!
Risultato ovvio e scontato fin dall’inizio, ma quello che non leggerete nei comunicati delle sigle sindacali firmatarie è come il successo elettorale sia stato supportato solo dal 17% degli aventi diritto al voto!! Mai nella storia degli enti del welfare la percentuale di adesione era stata così bassa.
Le preferenze raccolte dai candidati sono praticamente le stesse che avevano raccolto nelle ultime elezioni di uno solo dei fondi confluiti : il fondo ha ora più del doppio degli aderenti, ma i votanti sono invariati …
È evidente l’importanza che ha assunto il welfare aziendale nella vita dei colleghi ed inoltre la contrattazione sindacale è sempre più incentrata sulla retribuzione indiretta: eppure solo una risicata minoranza di colleghi ha deciso di spendere 30 secondi per fare qualche clic in una procedura guidata decisamente elementare … Peraltro, visto l’imbarazzo, anche i risultati sono stati opportunamente resi poco visibili ed ancora non sono stati pubblicati dati complessivi. Il dato di adesione non compare mai nei comunicati sindacali, peraltro meno enfatici del solito, e chi lo volesse calcolare dovrebbe annotarsi il numero dei votanti (12.091) comparso nell’unico documentino pubblicato sul sito (più scarno del già essenziale estratto finora pubblicato) e poi andare a cercare il numero degli aventi diritto (70.569) in una precedente comunicazione, quella dell’avvio del processo elettorale. Comodo! Inoltre, non è noto il numero delle schede bianche, che potrebbe anche essere letto come una scelta cosciente per quanti non abbiano voluto esprimere un voto per una lista bloccata … Infine come al solito, non viene data nessuna scomposizione del voto, neppure per società.
Dire che sono state elezioni “in sordina” è un eufemismo …
Come anche in passato, hanno sicuramente contribuito alla scarsa partecipazione sia l’atteggiamento dei colleghi, poco attento alle questioni previdenziali (per molti, molto “di là da venire” …), sia l’ormai rassegnato processo di delega incondizionato verso le sigle sindacali. Ricordiamo, però, che non più di un anno fa, nelle ultime elezioni del Fondo Sanitario,i votanti erano stati oltre 23.000, ovvero quasi il doppio, su un numero di aventi diritti di soli 63.000 colleghi …E’ quindi evidente come alla bassa affluenza abbiano contribuito anche altri fattori.
Un elemento che ha caratterizzato queste elezioni è stata la completa assenza di ogni forma di campagna elettorale. I firma-firma hanno inviato mail solo ai rispettivi elenchi di iscritti ed infatti siamo passati dal martellamento di mail delle ultime tornate elettorali al silenzio più totale. I non iscritti ad un sindacato hanno ricevuto solo informative “ufficiali” da parte delle strutture del Fondo Pensione. Evidentemente l’assenza di competizione elettorale non ha consentito di portare all’attenzione dei colleghi un confronto sui temi concreti che avrebbero dovuto contribuire a sviluppare. Nessuna organizzazione sindacale può vantare di essere riuscita a far votare più di 1 o 2 iscritti su 7 … Una debacle anche interna, che non può che essere ricondotta alle scriteriate trovate tattiche sindacali che, nonostante le ampie possibilità a disposizione, si limitano a mantenere un controllo di facciata, in assenza di ogni reale mandato da parte dei colleghi. Ed il distacco dalla base dei lavoratori si amplia ulteriormente …
Il listone bloccato e l’assenza di campagna elettorale sono anche conseguenze delle indecenti limitazioni introdotte alla presentazione di liste alternative, che hanno tolto pure quel poco di confronto che in passato aveva contribuito ad aumentare il coinvolgimento dell’elettorato sulle questioni del Fondo. Per chi non avesse letto i nostri precedenti volantini, ricordiamo che per presentare una lista alternativa andavano raccolte ben 3.528 firme di colleghi in circa un mese! Nelle ultime elezioni per il Fondo Sanitario erano sufficienti 1.851 firme, mentre ora il doppio! Un indecente accordo firmato due anni fa ha aumentato al 5% degli aventi diritto (e c’era anche chi proponeva l’8%!) il numero di firme necessarie per la candidatura ed ha sostanzialmente annullato ogni possibilità di democratica partecipazione alle tornate elettorali. Come si può ritenere possibile raccogliere un numero simile di firme, senza alcuna agibilità, su un elettorato strutturalmente distribuito su tutto il territorio nazionale? È evidente la volontà di soffocare ogni voce fuori dal coro.
Da un certo punto di vista noi del Sallca dovremmo addirittura andare fieri: pur con dimensioni ridotte rispetto alle altre organizzazioni e con scarse possibilità di incidere sul quadro nazionale, siamo riusciti a fare paura, tanto da rendere necessario introdurre una misura liberticida pur di tenerci fuori.
E’ curioso notare che la candidata più votata ha raccolto solo 2.726 voti e l’ultimo dei candidati eletti ha raggiunto lo stratosferico risultato di 746 preferenze! Ma noi (così come qualsiasi gruppo di lavoratori indipendente), solo per presentarci, avremmo avuto bisogno di oltre 3.500 firme …
Ricordiamo a tutti che da anni il Sallca eleggeva propri rappresentanti negli enti del welfare, eppure tutte le volte dobbiamo confermare la nostra rappresentatività tra i colleghi.. La nostra candidata al Fondo Sanitario aveva raccolto oltre 1.600 voti, eppure questa volta non è stato neppure possibile candidarsi.
La nostra scelta di non candidarci ha voluto sottolineare l’ennesimo furto ai nostri più basilari diritti, tra i quali quello alla partecipazione, e proprio per questo rivolgiamo l’ennesimo appello alle onnipotenti Fonti Istitutive perché correggano urgentemente queste norme liberticide.
Nonostante tutto quanto sopra, è il risultato finale di queste manfrine sindacalesi ad essere sconfortante: i lavoratori sono sempre più disinteressati rispetto alle vicende degli enti del welfare ed alla cronica mancanza di partecipazione si è ora associata anche una scarsa adesione alle discutibili politiche dei sindacali trattanti.
In un periodo di contrattazioni difficili, ricevere un sostegno così basso è ovviamente il più grande favore che si può fare alla controparte. Complimenti!
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo
Si susseguono nell’ambito del Gruppo accordi e iniziative sotto la martellante regia dell’azienda, che procede come un caterpillar nella costruzione di una macchina forgiata sulle proprie esigenze. L’integrazione dell’accordo sugli esodi, con le modifiche apportate alla legge Fornero, è l’ultima tappa della vicenda. Con l’accordo sale di altre 1.600 unità il numero di coloro che lasciano il Gruppo anticipatamente, che, aggiungendosi ai 9.000 precedenti, arrivano così’ a 10.600 da quando è stato deliberato il salvataggio delle due banche venete con (molti) soldi pubblici.
La grande fuga è compensata dall’impegno aziendale alla risibile cifra di 150 assunzioni, che si aggiungono alle 1650 già previste, da effettuarsi non prima del secondo semestre 2021: un piano che si configura esplicitamente come un salasso di personale, con blocco del turn-over.
E del resto nulla di meglio può venire da un’azienda che punta le sue carte prevalentemente sulla riduzione dei costi del personale e sullo smantellamento progressivo della rete fisica, da rimpiazzare con il ricorso al digitale, i servizi da remoto e la crescita di Banca 5, sul circuito delle tabaccherie. Tutto questo si svolge in un contesto dove restano fortissime le pressioni commerciali, tese soprattutto a recuperare conto economico, sia tramite l’offerta di prodotti di tutela assicurativa (ma organizzare il tutela day nei giorni di pagamento dell’IMU non è proprio il massimo…), sia attraverso il ritorno della raccolta sul risparmio gestito, accoppiato al servizio di consulenza evoluta, dopo un 2018 molto critico e la chiusura di numerosi fondi a finestra, che, giunti a scadenza, hanno fornito risultati deludenti o registrato perdite patrimoniali.
Pressioni commerciali che non conoscono sosta e stanno pregiudicando in via permanente il clima aziendale (con utilizzo di toni sempre più autoritari) e la serenità professionale di tutti coloro che lavorano in rete.
A fronte di una situazione che continua ad assomigliare ad un bollettino di guerra, con comunicati sindacali che descrivono tutti la stessa drammatica tensione su risultati, metodo, imposizioni e minacce, registriamo il totale fallimento degli accordi e delle commissioni con cui si è provato ad affrontare il problema, senza aggredirlo in modo frontale, ma aggirandolo con varie furbizie.
E’ chiaro che finché non si aprirà una fase conflittuale sulla base di una piattaforma seria, discussa con i lavoratori, per obiettivi concreti ed esigibili, tutto finirà in chiacchiere. E continueremo a dover leggere mail come quella che ci ha segnalato un lavoratore, dove un Capo Area, tra i tanti in cerca di visibilità, così incita i suoi sottoposti nell’occasione del recente collocamento della obbligazione Cassa Depositi e Prestiti:
“La proposta commerciale ai nostri clienti dovrà essere TASSATIVAMENTE CONFEZIONATA prevedendo il rapporto di uno a due fra obbligazione e nuovo flusso RG, preferibilmente su UNIT. Se il cliente si dimostrasse non disponibile ad accettarla insisteremo…IL PROCESSO VA FATTO COSI’, SENZA SEMPLIFICAZIONI”.
Evidentemente c’è ancora molta strada da fare prima di arrivare ad un modello di consulenza serio e professionale: siamo invece oberati da obiettivi di collocamento stratosferici che non fanno i conti con la mediocrità dei risultati mediamente ottenuti con il gestito, il livello insostenibile dei costi applicati, l’insoddisfazione della clientela, cui si propongono continui restyling di prodotto per spostare il problema nel tempo.
Non saranno le firme sui “protocolli etici e sostenibili” a difendere la vivibilità del clima aziendale e meno che mai la condivisione con l’aziendadi sistemi incentivanti che alzano la concorrenza tra i lavoratori e tra le filiali, tra le Areee le Direzioni territoriali. Servirebbe un’azione di contrasto culturale e sindacale, accompagnata da estesi e coinvolgenti giri di assemblee su questo specifico tema, finalizzata ad aprire una vertenza per obiettivi e risultati concretamente esigibili. Ma i sindacati firmatari non andranno su questo terreno.
Continuate a segnalarci quello che avviene nelle vostre realtà e utilizzeremo tutti gli strumenti di cui disponiamo per contrastare il degrado lavorativo.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo
Che il clima aziendale fosse pesante per i lavoratori di UBI, schiacciati fra l’incudine di una dirigenza mai sazia di risultati commerciali e il martello di organici sempre più ridotti all’osso, era cosa ormai assodata; ora, ad aggravare, e non poco, questa penosa situazione ci si mette pure il clima, quello vero, ormai impazzito pure lui, che passa in pochi giorni dal freddo polare al caldo africano senza soluzione di continuità.
Tuttavia ciò non può diventare un alibi per l’azienda che sistematicamente, ad ogni cambio di stagione, si ritrova “puntualmente” in ritardo nell’accensione degli impianti, di riscaldamento in inverno e di raffreddamento in estate, lasciando anche per lunghi periodi di tempo i colleghi (e l’utenza) ad attendere con ansia l’intervento salvifico del tecnico di turno.
Molte strutture ed impianti di UBI sono evidentemente datati ed obsoleti, alcuni in pessime condizioni e, oltre al ritardo della loro accensione, non di rado funzionano male, con zone della stessa unità produttiva molto fredde e altre dove non sembra neppure che circoli aria. Spesso vanno in blocco, si spengono, perdono acqua costringendo a ricorrere, per la loro sistemazione, alla classica “pezza” per tappare un buco oramai diventato voragine.
Emblematico, ma anche incredibile, è il fatto che queste problematiche riguardino anche le filiali oggetto del nuovo restyling, perché, come si sa, l’importante è apparire, non importa se a forza di nascondere polvere sotto i tappeti non ce ne stia più.
Purtroppo siamo arrivati al punto che, in alcune filiali, sarebbe addirittura utile e necessario chiedere il parere delle autorità sanitarie per essere certi di non mettere a repentaglio la propria salute nel prestare opera in tali ambienti.
Non è difficile riscontrare sempre più spesso, in troppe realtà, la presenza di muffe e umidità sulle pareti oltre ad una sporcizia e polvere generalizzate figlie del continuo taglio delle spese per questi capitoli.
Viviamo in ambienti sempre più insalubri e in aggiunta dobbiamo sopportare, ad ogni cambio di stagione, questa ulteriore seccatura per la mancanza di organizzazione della banca nell’accendere con tempismo gli impianti termici.
Invitiamo “caldamente” i sedicenti sindacalisti e RLS (responsabili dei lavoratori per la sicurezza) a farsi un giretto, in questi periodi, in quei punti operativi per toccare con mano e provare sulla propria pelle l’inebriante sensazione di lavorare con 30°, con la testa che scoppia e l’umidità al 90%
Ai colleghi coinvolti, invece, consigliamo vivamente di segnalare senza indugio anche eventuali patologie, dal semplice ma continuo mal di testa alle bronchiti/polmoniti (tra l’altro già tristemente verificatesi), che potrebbero essere riconducibili alla prolungata permanenza in ambienti privi di adeguato sistema di ricambio d’aria o di filtri non puliti (dovrebbero esserlo almeno ogni 3 mesi) o altre cause legate all’ambiente in cui vivono e pretendere di poter lavorare almeno senza rimetterci la salute.
Ricordiamo a tal proposito che al punto 6 del tanto decantato e orgogliosamente sottoscritto Codice Etico, nell’elencare i principi di condotta nelle relazioni con il personale dipendente, UBI banca sottolinea che “perseguiamo la tutela dell’integrità pisco-fisica dei nostri dipendenti e collaboratori, promuovendo la salute e sicurezza degli strumenti e dei posti e metodi di lavoro….valutiamo e gestiamo i rischi e cerchiamo di eliminarli alla fonte, programmando la prevenzione e dando priorità alle misure di protezione collettiva.”
Anche questo dovrebbe essere “fare banca per bene”
CUB-SALLCA Ubi Banca
O LO STRAORDINARIO VIENE RICONOSCIUTO E COMPENSATO,
OPPURE SI ESCE IN ORARIO E SI VA A CASA
La questione degli straordinari non riconosciuti e non compensati si arricchisce di una nuova puntata.
Ubi Banca da qualche tempo si sta ‘’rifacendo il trucco’’ con l’avvio delle ristrutturazioni delle filiali, sempre più smart, accattivanti e possibilmente con sempre meno cassieri (ops scusate CONSULENTI!!).
Luoghi dove la privacy per i clienti e lavoratori è diventata un optional: i primi, costretti in un ambiente open-space, si ritrovano a discutere con l’operatore dei loro affari lasciando che tutti possano tranquillamente ascoltare come al bar; i secondi, con l’eliminazione delle bussole dotate di metal detector, monitorati h24 da telecamere che puntano ovunque con un controllo da remoto.
In queste realtà si sta consumando la farsa degli accordi per il contenimento dei costi (sempre per gli stessi, chiaro) legati all’orario di lavoro.
E’ noto ormai da anni a tutti i colleghi che, di fatto, gli straordinari non vengono più riconosciuti, ma in questo caso si supera ogni limite di decenza.
L’accordo, anche comprensibile e accettabile in un contesto di crisi, rimane tuttora in vigore nonostante il peggio sia passato e anzi UBI Banca non perda giorno per vantarsi, con tutti gli stakeholders, di essere un’azienda solida da tutti i punti di vista: patrimoniale, economico, di reputazione ecc. ecc. Peraltro l’accordo dice che gli straordinari non devono essere fatti, non che si deve lavorare gratis oltre l’orario!!
Veniamo al punto della questione che ha ispirato questo comunicato.
In queste nuove filiali stanno installando i cosiddetti ATM evoluti e CSA, veri e propri cassieri in metallo, che purtroppo (o per fortuna) per ora non sono ancora del tutto autonomi e di conseguenza il cassiere deve svuotarli dei versamenti effettuati dalla clientela (cash in) e successivamente caricare le banconote per i prelievi bancomat (cash out), oppure effettuare una rimessa di contanti per rimanere all’interno dei massimali assegnati.
Fin qui nessun problema se non fosse per il fatto che ai colleghi addetti vengono richieste facoltà nell’esecuzione che farebbero imbarazzare persino Superman…perché? Sempre per questioni legate alla sicurezza, queste avveniristiche macchine si possono aprire solo ed esclusivamente non prima delle 16.45, senza possibilità di deroga alcuna.
Ricordiamo che l’orario di uscita dalla filiale è fissato INDEROGABILMENTE alle 16.50.
Ora in queste condizioni è materialmente impossibile per qualsiasi essere umano, benché a volte i bancari ci facciano dubitare dell’appartenenza a questa categoria, svolgere tutte le incombenze con precisione, attenzione e diligenza in soli 5 minuti; se va bene e non ci sono intoppi, ne servono almeno 20, anche per i più svelti.
Ormai non ci stupiamo più del fatto che i sindacati firmatari non muovano un dito per denunciare questa che è, ad ogni evidenza, una palese ammissione di lavoro gratuito!!!
Per questo abbiamo scritto all’azienda chiedendo di modificare l’orario di apertura dei mezzi forti in modo da garantire, da un lato la sicurezza della filiale rispetto alla eventualità che si verifichino eventi criminosi, ma dall’altro lato che venga riconosciuta la possibilità di poter uscire dalla filiale in orario senza dover regalare tempo prezioso alla banca.
Sappiamo che il fenomeno dello straordinario non retribuito o non compensato riguarda ormai quasi tutti i colleghi, che svolgono i ruoli più disparati, ciononostante vogliamo lasciare un messaggio di speranza a tutti coloro che non ci stanno a fare della inutile beneficenza alle banche e che possono trovare nel nostro sindacato una forza libera e indipendente, disposta anche al confronto duro con la controparte pur di non tradire il mandato che dovrebbe muovere l’agire di ogni sindacalista che si rispetti e cioè la difesa del diritti dei lavoratori.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Ubi Banca
Ci è capitato spesso di commentare interventi pesanti, al limite dell’offensivo (ed anche oltre) per spingere i lavoratori a raggiungere risultati commerciali.
Questa volta commentiamo un messaggio, inviato da uno specialista tutela, che si segnala per la sua ipocrisia.. Si arriva a rivendicare un presunto “compito culturale e sociale” che si estrinseca nel fatto che “devi decidere TU per il tuo cliente”. Il seguito del ragionamento è davvero forzato e subdolo, se vogliamo anche un po’ iettatore (guarda cosa potrebbe succedergli e tu non l’hai convinto a fare la polizza).
Diciamo che non finiscono mai di stupirci per la fervida fantasia con cui inventano messaggi “motivanti”. Aggiungiamo che neppure il miraggio (che spesso resterà tale) del premio di 16.000 euro, previsto per gli specialisti tutela, può giustificare l’invio di queste nefandezze.
Noi continuiamo a pensare che i lavoratori non debbano decidere per altri, ma debbano spiegare in maniera completa e professionale i prodotti che vengono proposti ai clienti. E’ l’unico modo per alzarsi al mattino e guardarsi allo specchio senza crisi convulsive.
CUB-SALLCA Intesa Sanpaolo
Ecco il messaggio che abbiamo commentato:
Buongiorno a tutti ,
in allegato una poesia che ci riguarda e che credo sia un ottimo punto di riflessione e credo anche di PARTENZA .
PER RIUSCIRE A FARE CONSULENZA devi decidere TU per il tuo cliente: ecco come …
Naturalmente la psicologia ci ha spiegato che le persone non decidono per paura di commettere errori.
Provate a dirlo a chi ha temporeggiato durante la chiusura di una trattativa sull’acquisto dell’antifurto della casa e ha subito una rapina con sparatoria dove hanno perso la vita moglie e figli.
Provate a dirlo a dire a chi ha temporeggiato sull’acquisto del rilevatore antifumo ed è scoppiato l’incendio, dell’assicurazione sulla vita e sono morti lasciando la famiglia sul lastrico, della consulenza sulla Vendita Relazionale e la loro azienda adesso è in banca rotta.
Ma anche senza andare nel tragico, ci sono mille esempi che dimostrano come DECIDERE DI NON DECIDERE non solo si dimostra sbagliato nel tempo, ma spesso anche SBAGLIATO A PRIORI.
Ecco il limite umano più grande: pur di evitare il rischio di sbagliare si sceglie di sbagliare con sicurezza. (L’ho sempre detto io che la sicurezza è proprio una brutta bestia..).
Ecco perché con i nostri prodotti assicurativi abbiamo un grandissimo compito Culturale e sociale . Partiamo da questa domanda:
Quanta responsabilità abbiamo nell’indecisione dei nostri clienti?
Se vuoi aiutare il tuo cliente a decidere e chiudere una trattativa, concentrati sul fargli capire una cosa, prima del prodotto, del servizio, del prezzo e di tutti le altre informazioni che gli serviranno a prendere una decisione: fagli capire che TU SEI IL SUO UOMO.
la cosa più importante è il concetto: prima la relazione, poi la vendita.
Il cliente fa fatica a decidere perché il gestore pone queste domande
- Quali sono le tue esigenze?
- Ti presento il mio prodotto?
- Vorresti acquistarlo?
- Hai delle obiezioni?
- Come vuoi pagarlo?
Forse cambieranno un po’ le parole, ma la sostanza è questa.
il cliente è costretto a prendere una decisione sul prodotto PRIMA di aver preso una decisione su DI TE.
e se invece cominciassimo cosi’…..
- Quali problemi hai che posso risolverti?
- Vuoi sapere cosa posso fare per te GRATIS?
Dare in modo incondizionato fa in modo che la relazione venga prima della trattativa di vendita
Se porti il cliente a fidarsi di te, potrai vendere con facilità e il cliente saprà prendere decisioni alla velocità della luce.
Ecco alcuni consigli veloci per guadagnare da subito la fiducia del cliente:
- Trasmetti un obiettivo ‘sano’ e privo di conflitti di interessi, che riguardi sia te che il cliente
- Usa le testimonianze
- Usa una Garanzia
L’obiettivo della nostra banca ….quello di BANCA ASSICURAZIONE deve essere quello di CREARE un Modello di Vendita che funziona, NON avere GESTORI CHE VENDONO
Solo lavorando in modo OMOGENEO ad un obiettivo comune il nostro modello di banca assicurazione inizierà a crescere .