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Sta creando notevole sconcerto e rabbia la comunicazione aziendale di voler chiudere un certo numero di filiali in occasione di vari “ponti”, ponendo i lavoratori in ferie comandate. Tutto questo è surreale in un momento dove le filiali medio grandi, con organici già ridotti, stanno per subire l’emorragia degli esodi e hanno difficoltà crescenti a organizzare i turni ed a pianificare le ferie.
C’è la sensazione sgradevole di un’azienda che può disporre del tempo dei lavoratori a suo piacimento, mettendo in ferie contro la volontà dei lavoratori od ostacolando legittime aspettative di fruirne quando serve, facendo lavorare ad orari improbabili ed in condizioni di crescente rischio, visto che spesso, a tarda ora, restano a lavorare due e talvolta anche solo un dipendente.
I sindacati firmatutto, non solo hanno preso atto della decisione aziendale, ma si sono anche sostituiti alla controparte nel divulgare tempestivamente l’elenco delle filiali che chiuderanno in determinate giornate. Rispetto alla ragionevole richiesta che i lavoratori che non vogliono essere messi in ferie d’ufficio possano essere adibiti al lavoro in filiali adiacenti o ad attività formative da casa, si resta in attesa di risposta aziendale. Riteniamo che non si debba restare a guardare in caso di risposta negativa e riteniamo che debba essere posta anche la questione dell’insostenibilità degli orari estesi a fronte di organici sempre più ridotti.
D’altronde, è evidente che la contrattazione è sempre più una finzione: in allegato (e a seguire) troverete il contributo di un nostro iscritto che denuncia, non solo la cattiva qualità degli accordi, ma anche la loro incomprensibilità per i comuni mortali.
Il ruolo dei sindacati firmatari (dire trattanti sarebbe un complimento immeritato) è ormai ridotto alla fornitura di pratiche amministrative e servizi e ricreativi, con tentativi di procacciarsi tessere con metodi fantasiosi e anche truffaldini.
Ci sono già giunte due segnalazioni di tentativi di raggirare i colleghi che, per andare in esodo, devono andare a firmare in sede Abi per l’uscita, facendo loro credere che è necessario firmare la delega al sindacato per poter procedere.
La presenza dei sindacalisti firmatari in quella sede, è meramente burocratica, un atto d’ufficio che non richiede nessuna ricompensa e soprattutto non richiede di iscriversi a chi non ha intenzione di farlo.
Dovrebbe essere solo un ruolo di garanzia, un termine che fa ridere visto che non sono stati neppure in grado di ottenere che i tempi di uscita per l’esodo fossero correlati alle finestre pensionistiche degli interessati. L’accordo firmato per gli esodi lasciava discrezionalità all’azienda sui tempi di uscita, ci sono stati scavalcamenti e l’esodo sta procedendo in modo disordinato, con i lavoratori lasciati in stato di incertezza.
E’ necessario tornare a fare contrattazione vera, ridefinire regole e tutele per i lavoratori, mettere un freno all’arbitrio aziendale.
PVR (Premio Variabile di Risultato) 2017….
Non preoccuparti delle difficoltà che incontri in matematica, ti posso assicurare che le mie sono ancora più grosse.
(Albert Einstein)
Mi considero una persona di media intelligenza, di sufficiente esperienza bancaria e che non ama tirarsi indietro di fronte alle sfide. Viste queste premesse mi decido, faccio un bel respiro e deciso apro l’allegato dell’accordo PVR 2017 per cominciare la lettura. Immediata è la sensazione di trovarsi immersi in un capolavoro russo, a causa della straniante sensazione di ‘guardare’ e non leggere certe formule, al pari dei nomi dati ai loro personaggi da Tolstoj e Dostoevskij.
Riprovo, cerco di capire, tengo a portata di mano un dizionario ma nulla, la stanchezza ha il sopravvento, il cervello inizia a guardare altrove e capisco solo che esiste una base di 600 Euro lordi, e per la parte in aggiunta, se esiste nella vita reale, devo solo incrociare le dita e sperare.
Questa sensazione parte da lontano con il CCNL di categoria, ma con il LECOIP si è aggravata, ho provato a leggere l’accordo di prodotto con CREDIT SUISSE di centinaia di pagine e ho provato a interpretarne la costruzione e tutta la fiscalità, ma mi sono fermato alla terza pagina con 2 giorni successivi di sola Gazzetta dello Sport per disintossicarmi.
Dopo è arrivato l’accordo relativo ai percorsi professionali, con categorie, rating, portafogli, assegnazioni, periodi ecc. Tali e complesse erano le condizioni e i paletti lungo la strada, e così incomprensibili gli eventuali benefici o rischi, che i gestori hanno viaggiato per mesi con l’accordo in mano e lo sguardo perso nel vuoto, ringhiando ai colleghi e temendo attacchi all’arma bianca di direttori che volessero togliergli il portafoglio personale…e non dei clienti.
Potrei fare altri esempi, ma il definitivo tracollo mentale mi è arrivato con il PVR 2017! Numeri a caso, nomi e sigle incomprensibili, chi, cosa, come, cosa devo fare, quanto mi tocca?
Molti anni fa ho partecipato a un corso intersindacale sulla contrattazione, e in 3 giorni tutto era incentrato su: ‘SI FIRMA SOLO QUELLO CHE SI CAPISCE’, ‘TUTTO, OGNI VIRGOLA, OGNI TERMINE E’ IMPORTANTE’ e ‘QUALSIASI ACCORDO DEVE POTER ESSERE VERIFICABILE IN OGNI SUO ASPETTO’!
GLI ULTIMI ACCORDI SONO INVECE INCOMPRENSIBILI, INDECIFRABILI E SOGGETTI A MILLE INTERPRETAZIONI DIVERSE.
E’ stato firmato un LECOIP che ha dato circa 3.000 Euro medi netti (parliamo di aree professionali e QD1, per inquadramenti e ruoli direttivi la leva era ben superiore), in 4 anni, ma nessuno ha mai saputo spiegarmi come funzionasse il sottostante. Tralascio il misero importo che, è bene ricordarlo, era di 1800 Euro IN QUATTRO ANNI, come ‘ANTICIPO’ di premi, e solo i balzi in su e giù del titolo hanno permesso di aumentare di 1200 euro circa, mentre qualcuno si spartiva miliardi, e altre banche con dividendi inferiori distribuivano premi più alti e subito.
Oggi si arriva al PVR che, dopo aver mangiato tutti i vecchi premi legati alla redditività, si esibisce in FORMULE MATEMATICHE FANTASIOSE E TERMINI DA STAR WARS, IL TUTTO COLLEGATO…. AGLI OBIETTIVI, SI’, AGLI OBIETTIVI CHE SI PROPONE E CI IMPONE L’AZIENDA, FREGANDOSENE DEGLI UTILI DIVISI.
CHIEDO A TUTTI VOI COLLEGHI…MA SONO SOLO IO CHE TROVO DISGUSTOSO QUESTO MODO DI FARE SINDACATO CON IL PALLINO DEL GIOCO SEMPRE IN MANO ALL’AZIENDA? SONO SOLO IO A TROVARE ASSURDO, IN UN’AZIENDA CHE DISTRIBUISCE DA QUALCHE ANNO MILIARDI DI DIVIDENDI, AVERE DEI SINDACATI CHE NON OTTENGONO ALTRO CHE BRICIOLE O ANCHE MENO? SONO SOLO IO CHE VORREI CHIAREZZA. VERIFICABILITA’ E TRASPARENZA TOTALE NEGLI ACCORDI?
Non si vedono più volantini di scontro, la testa è sempre bassa, hanno costituito mille comitati (welfare, Sicurezza, Sviluppo sostenibile, Pari opportunità ecc.) che coprono tutti i nostri bisogni di tutela ma allora, COME E’ POSSIBILE CHE TUTTI ABBIANO LA SENSAZIONE CHE SI STIA SEMPRE PEGGIO?
Il MIO sindacato non ha permessi, non firma accordi che non capisce e che non possa spiegare, questo mi basta per dargli fiducia, e allora chiedo ai colleghi: se non volete cambiare sindacato, perché il rappresentante è una persona seria e fidata (motivo valido), almeno pretendete nelle assemblee (quando mai le faranno) accordi comprensibili e chiari!
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo
Il 6 febbraio scorso ISP ha presentato al mercato e ai sindacati il Piano d’Impresa 2018-2021, insieme ai risultati 2017 e all’annuncio di un nuovo Lecoip 2.0 per incentivare il personale. Come era ampiamente preannunciato, il Piano si propone obiettivi estremamente ambiziosi, aggressivi e sfidanti, con ampio utilizzo di toni sopra le righe per autocompiacimento, esaltazione, orgoglio d’appartenenza. Sfrondato dall’eccesso di testosterone e ricondotto ad una corretta dimensione di pianificazione delle condotte future, da parte di un management ansioso di strafare, il piano rappresenta un documento utile per leggere cosa ci aspetta nei prossimi 4 anni.
Sebbene non ci sia nulla di veramente nuovo sotto il sole, se non la fibrillazione manageriale che ricorda più una maionese impazzita che la burocratica pianificazione di un banale progetto di estrazione di utili, bisogna distinguere quello che rappresenta la continuità da quello che tende ad introdurre una discontinuità.
E’ nel segno della continuità lo spostamento progressivo del baricentro reddituale dal margine di interesse alle commissioni (in particolare su collocamenti e risparmio gestito). Già nell’esercizio 2017 le commissioni valevano 7.7 miliardi di euro contro 7.1 miliardi degli interessi netti. Ora si vuole addirittura portarle a 10 miliardi entro il 2021, contro 8.3 miliardi di interessi netti. Il propellente di questa impennata dovrebbe essere la crescita esponenziale delle masse gestite (da 338 miliardi a 444 miliardi nell’arco del piano). Un traguardo impegnativo, sia per la Banca dei Territori (+48mld.), sia per il Private Banking (+55 mld.).
Lo stesso si può dire dell’ossessione per il risparmio sui costi, in particolare quello del personale. Il rapporto cost/income che adesso è al 50,9% (55% se includiamo le venete)dovrebbe scendere al 45,4% alla fine del piano. Un risparmio di 1,5 miliardi nel quadriennio, che implica un’impennata della produttività pro-capite di dimensioni impressionanti. Facile da realizzare, con 9.000 persone già uscite o sul punto di farlo, con 1.285 milioni di euro di contributo stataleper l’assorbimento delle venete, un accordo sindacale pronto e via e soprattutto una fuga volontaria precipitosa e massiva per uscire dal “posto migliore dove lavorare”.Molto difficile da gestire, però, se già ora i responsabili sono preoccupati per come conciliare le ferie dei lavoratori, dopo i vuoti che si andranno a creare nella rete, con l’imperativo di garantire risultati e collocamenti…
Continuità anche nella distribuzione dei dividendi, ma con salto di livello, per accontentare azionisti famelici che si aspettano ritorni sul capitale a due cifre, come negli inebriantianni prima di Lehman: non a caso si promette di riportare il R.O.E dal misero 7.9% del 2017 al più presentabile 12,4%, entro il 2021. Quindi anche gli utili attesi cumulati e la conseguente massa dei dividendi da distribuire devono “cambiare passo”: gli utili devono salire dai 3.8 miliardi del 2017 ai 6 miliardi del 2021. Nell’arco di piano gli utili supereranno, secondo i Messina boys, i 20 miliardi di euro, scontando un tasso di crescita del 12,1% l’anno, mentre i dividendi arriveranno complessivamente oltre i 15 miliardi (sono stati“solo” 10 nel piano precedente…).
Vorremmo mettere un attimo a confronto i tassi di crescita di utili e dividendi, da una parte, e retribuzioni dei lavoratori, dall’altra. Tralasciando l’importo medio degli aumenti contrattuali, risibili, concentriamoci sul sistema incentivante che va ai lavoratori. Una distribuzione che implica un costo totale tra i 70 e gli 80 milioni di euro l’anno (con meccanismi oscuri e incomprensibili, sia prima che dopo l’erogazione eventuale), a fronte di dividendi con ordini di grandezza almeno 50 volte superiori! Poi c’è il Lecoip, per legare il premio all’andamento azionario, ma per la stragrande maggioranza dei lavoratori è facile constatare che 4 anni di VAP rendevano di più di questa bella invenzione!
Passando ad affrontare le discontinuità del piano, emergono le novità vere, non proprio gradevoli.
Si prospetta un salto di qualità nell’assicurativo con la spinta sulle polizze danni, i cui premi devono salire da 0,4 miliardi del 2017 ai 2,5 miliardi del 2021: una moltiplicazione di oltre 6 volte! L’obiettivo dichiarato è scalare le classifiche delle assicurazioni danni in Italia, diventando il primo operatore per polizze retaildiverse dal comparto veicoli. Qui l’ambizione è costruire una alternativa privata e commerciale al welfare pubblico in via di smantellamento: non a caso si punta su salute, benessere e sicurezza, dopo aver già ampiamente sfondato sulla previdenza. Per il segmento imprese, ci sarà il welfare aziendale “chiavi in mano”.
Prosegue, con accelerazione, lo smantellamento della rete fisica di distribuzione: 1.100 Filiali chiuderanno, lasciando totalmente sguarnite le città minori (dove resteranno solo le tabaccherie di Banca 5 e i bancomat), mentre le residue 2.920 filiali saranno prevalentemente concentrate nelle città medio-grandi, dove è concentrato il 75% della popolazione italiana. Grandi tagli anche ai costi immobiliari (-19%) entro il 2021 e creazione di una nuova sede a Milano (Rho Fiera) per concentrare le direzioni centrali a 40 minuti di treno dal Grattacielo di Torino.
Novità gravi anche per il recupero crediti, dove si paventa la creazione di una nuova società con la partnership di un operatore industriale (si teme a maggioranza non ISP, per cedere 10 miliardi di euro di NPL e 700 lavoratori, con trattativa in fase avanzata con l’operatore svedese IntrumIustitia, ma di questo il Piano non parla…). Inoltre si accenna al progetto “Pulse” per creare un’unità interna dedicata alla gestione dei crediti retail alla prima fase di deterioramento, centralizzando le attività ora svolte in filiale, con 1.000 persone in organico entro il 2021.
Naturalmente si insiste per l’estensione del nuovo contratto di lavoro “misto”, con un contratto part-time da dipendente bancario e l’altro come consulente finanziario, tutto nella stessa persona. Un modello precursore che rischiamo di trovarci sul tavolo al prossimo CCNL per estensione all’intero settore. Intanto i 9.000 esodati e pensionati verrebbero sostituiti da sole 1.650 risorse, mentre altri 5.000 lavoratori seguiranno un percorso di riconversione verso ruoli “ad elevato valore aggiunto”.
Ovviamente non si fa cenno ai rischi di esecuzione del Piano: una nuova fase di instabilità finanziaria, uno storno dei mercati, i nuovi vincoli della MIFID II, la fine delle politiche monetarie ultra-espansive, la diffidenza del mercato italiano verso strumenti di tutela come le polizze private, lo scarso interesse perla consulenza evoluta, la difficoltà di espandere il credito sano, le politiche austeritarie tuttora operanti, la carenza di un mercato liquido degli NPL.
Quello che invece è certo, almeno per noi, ma sottaciuto dagli stessi “rappresentanti dei lavoratori” che hanno la titolarità di trattare, anche senza mandato, è l’enorme grado di tensione che questo piano provocherà nel clima aziendale, la sofferenza psico-fisica cui saranno sottoposti i lavoratori che dovranno realizzarlo in mezzo a difficoltà operative, procedurali, commerciali. Avremo un ulteriore aumento di pressioni commerciali, cui non hanno posto argine né i protocolli etici e sostenibili, né le caselle “io segnalo”, né l’accordo ABI di più recente conclusione. Vedremo ancora salire la richiesta di obiettivi impossibili, l’applicazione di metodi di controllo invasivi, l’invito a forzare le regole, lo straordinario non pagato, la pretesa di ottenere i risultati anche se nessun contratto lo prevede o lo impone.
Dobbiamo ricostruire un tessuto di solidarietà tra lavoratori che ci consenta di resistere e difenderci rispetto ad un’azienda che ha perso il senso della realtà ed elabora piani funambolici. Dobbiamo mantenere la nostra coerenza professionale, applicare le normative e fare un lavoro di qualità, rispettando le esigenze reali dei clienti che abbiamo davanti. Questo significa difendere il proprio futuro, nel lungo periodo. La sostenibilità del modello produttivo non è compatibile con chi vuole strafare…
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo
Un altro pezzo di reddito fisso è stato sacrificato sull’altare della concertazione, il 27/01/18, con l’accordo tra azienda e sindacati firmatari per quello che una volta veniva chiamato, appunto, ‘’premio fedeltà’’.
Piccola nota per i colleghi più giovani: nelle diverse banche reti che, unite, hanno dato vita a UBI Banca spa, veniva riconosciuto ai colleghi un importo al raggiungimento di una certa soglia di anzianità (25/30/35 anni), quale riconoscimento appunto del loro lavoro, dell’impegno e dello spirito di appartenenza dimostrati nel corso degli anni.
Tale previsione, anche molto diversa in base alla banca di provenienza (dai 2500 ai 6000 euro), era stata cancellata dopo la disdetta dei vari CIA nel 2012, tuttavia tutte le vecchie banche hanno continuato ad elargire tali somme a titolo di liberalità aziendali, una sorta di ‘’regalo del padrone’’.
Con la firma dell’accordo si mette fine a questo ‘’insostenibile’’ onere per UBI, che, sottolineamo, gode di ottima salute dal punto di vista economico, distribuisce dividendi agli azionisti, strapaga i propri dirigenti e punta a raggiungere oltre 1 miliardo di euro di utili alla fine del 2020, ma non riesce più a gratificare e a riconoscere ai propri dipendenti un meritato premio, nemmeno dopo una vita di‘’ fedele’’ e onorato lavoro.
Per ora, chi matura il ‘’diritto’’ alla corresponsione entro il 2018 si vedrà riconosciuto il 100% dell’importo previsto, in base agli accordi vigenti nell’azienda di provenienza e dovrà accettare di percepire la somma per il 50% in contanti e il 50% sotto forma di welfare.
Ancora una volta, quindi, trattamenti diversi per colleghi che da oltre 10 anni lavorano per la stessa banca!!
Dall’anno prossimo la percentuale dell’importo diminuisce costantemente, fino ad arrivare nel 2026 ad un misero 30% dell’attuale e solo nella forma welfare, poi il nulla…o, meglio, per i colleghi che maturerebbero il diritto dopo il 2026 solo una mancetta di 200 euro in conto Welfare.
Come al solito, per giustificare la presunta bontà dell’accordo, i sindacati firmatari nel loro volantino unitario (e non si capisce perché debbano essere 5 sindacati con 5 sigle diverse se poi sono sempre tutti d’accordo nel firmare le stesse cose!!! Unitevi e fate il sindacato unico!!!) ci tengono a farci sapere che l’azienda voleva azzerare tali premi ma, grazie alla caparbietà e la tenacia che contraddistingue da sempre il loro operato in difesa dei diritti dei lavoratori, sono riusciti a strappare con le unghie ed il coltello tra i denti l’accordo migliore possibile!!
Ma del resto il mondo là fuori è cambiato e noi bancari dobbiamo essere pronti ad affrontare le sfide del mercato con nuovi strumenti, dobbiamo accettare il fatto che non possono più esserci le vecchie tutele e garanzie del passato a salvaguardare il posto di lavoro ed il reddito.
Un lavoratore, presente in una delle ultime riunioni con la direzione per la presentazione e l’esaltazione del nuovo modello distributivo che la banca ha calato dall’alto sulla testa di noi tutti e che sta creando non pochi problemi e malumori, sia tra i colleghi che tra la clientela, nonché forti perplessità rispetto alla sua reale efficacia, ha riferito che, secondo l’azienda, d’ora in avanti dovremo dedicarci sempre di più al lavoro commerciale ed alla cosiddetta consulenza.
In realtà, molto più prosaicamente, il tutto si traduce nel piazzare i soliti tre prodotti a tutti indistintamente, senza riguardo per le esigenze reali del cliente. Hanno sottolineato che noi come UBI abbiamo anche la responsabilità di guidare il mercato e in quanto banca prevalente sul territorio dobbiamo indurre la gente a indebitarsi sempre di più, indipendentemente dal fatto che lo vogliano o meno (perché se non lo facciamo noi lo fanno gli altri..).
Si è cercato di convincere i colleghi più scettici facendo leva sull’importanza del nostro operato a beneficio del bene comune, dobbiamo essere consapevoli ed orgogliosi di agire per uno scopo superiore, oltre che per il vantaggio e l’utile della propria azienda, per la comunità tutta, per il rilancio dei consumi, per aumentare il PIL nazionale, insomma abbiamo una mission da compiere. Naturalmente si è sorvolato sui danni che queste politiche aggressive hanno causato al sistema finanziario, fino alle crisi bancarie intervenute degli ultimi 10 anni che, nei casi più gravi, hanno trascinato nel baratro migliaia di risparmiatori, famiglie, economie e destabilizzato intere aree del pianeta.
Ma si sa la memoria e’ corta e allora basta con la vecchia figura del bancario stanco e annoiato dietro a quintali di carta e pratiche amministrative che non portano nessun valore aggiunto, dobbiamo metterci in gioco, quindi valorizzare la competitività, lo spirito commerciale, unica strada da percorrere per mantenere o recuperare alti livelli di redditività, spingiamo i colleghi a mettersi in competizione l’uno con l’altro, certo nel rispetto della MIFID, premiamo economicamente coloro che vincono la battaglia del budget, basta con il salario uguale per tutti, avanti con l’idea che il compenso deve essere rapportato al risultato ottenuto dal singolo lavoratore e non sulla base di una contrattazione collettiva che unisce tutti in uno spirito di solidarietà e appartenenza.
In soldoni, viva il salario variabile e incerto e abbasso il salario fisso, qualche briciola a chi vende e gli altri tirino la cinghia!!
Purtroppo anche la cancellazione del premio fedeltà va dritta in questa direzione…con il beneplacito dei nostri rappresentanti sindacali!!
Scusate se i nostri volantini sono sempre molto prolissi, ma del resto gli spazi di comunicazione sono sempre minori, le assemblee non si tengono quasi più e l’unico modo per far sentire la nostra voce rimane quello di scrivere, cercando di svegliare la categoria dal torpore anestetizzante in cui sindacati firma tutto e banche a braccetto vorrebbero tenerci per sempre.
Noi pensiamo che sia giusto e possibile resistere e contrastare certe logiche che sembrano inarrestabili ed un modello di banca che sta deteriorando sempre di più il clima lavorativo.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Ubi Banca
Nel nostro precedente volantino avevamo ironizzato sul pieno successo del piano aziendale, che ha ottenuto il consenso all’uscita della stragrande maggioranza dei lavoratori aventi diritto all’esodo e la cui volontà di fuga sembra essere l’unico argomento su cui la disponibilità aziendale è generosa.
Appare, quindi, del tutto fuori luogo il tono del comunicato dei sindacati firmatari, i quali, senza timori di cadere nel ridicolo, rivendicavano di aver prima chiesto ed ottenuto di ampliare la platea di chi poteva andare in esodo a chi maturava la pensione entro il 2023, ed ora di aver “conquistato” l’uscita di tutti coloro che l’avevano chiesta.
Immaginiamo quale resistenza aziendale abbiano dovuto superare, vista la ritrosia della controparte a beneficiare della possibilità di risparmiare 675 milioni di Euro all’anno a partire dal 2021 dopo aver mandato a casa quasi gratis gli esodati.E questo sia perché il tesoretto statale conseguente all’affaire banche venete è parametrato su una permanenza media nel fondo superiore a quella che si realizzerà (e quindi coprirà molto più delle 4.000 teste inizialmente previste) sia perché per il triennio 2017-2019 anche il “normale” ricorso al Fondo Esuberi è beneficiato da un robusto contributo pubblico, grazie alle misure previste nella legge di stabilità 2017.
Inoltre, a fronte di 6.500 esodi (più le uscite per pensionamenti, oltre ai 1.000 esodati delle ex banche venete), ottengono 1.500 assunzioni, 500 delle quali nella forma delle famigerate assunzioni miste, un’altra “conquista” di cui i firmatutto e senza vergogna si vantano, ma che rappresenta un ulteriore passo verso la precarizzazione della categoria, con giovani assunti col jobs act (cioè liberamente licenziabili) per 600 Euro circa al mese e la necessità di procacciarsi il resto del reddito cercando clienti da gestire come consulenti finanziari autonomi (i vecchi promotori).
Ci chiediamo se al tavolo di trattativa qualcuno ogni tanto rifletterà sul degrado delle condizioni lavorative che ha determinato questa fuga di massa (degrado cui contribuiscono, in parte, anche i brillanti accordi firmati negli ultimi anni) e sul fatto che si potrebbe fare almeno un timido tentativo per escludere i nuovi assunti dalla normativa del jobs act.
Facciamo i migliori auguri a tutti coloro che hanno avuto accesso o lo avranno all’esodo (pur nella permanente incertezza sui tempi di uscita, lasciati alla discrezionalità aziendale). Per coloro che restano al lavoro e vivono male la loro condizione, suggeriamo di non limitarsi ad aspettare, rassegnati, il loro turno per i prossimi esodi, ma di reagire con noi per migliorare la qualità lavorativa.
C’è molto da fare: segnare gli eventuali straordinari che vengono fatti e pretendere (col nostro aiuto) la compensazione, senza accettare di giustificarli con la causale NRI. Pretendere che la formazione sia a carico dell’azienda e non della buona volontà del lavoratore. Documentare e segnalare richieste improprie ed illegittime per il raggiungimento dei budget (compreso il controllo delle agende elettroniche). Più in generale segnalare ogni comportamento di responsabili che può diventare fonte di stress lavorativo, compreso la violazione di regole e normative aziendali. Invitiamo gli stessi responsabili a segnalarci comportamenti scorretti dei loro superiori gerarchici.
Viviamo in una situazione in cui il potere aziendale sembra non avere limiti e possa essere esercitato in modo arbitrario. Tutto questo non può essere accettato. Dobbiamo ristabilire un clima lavorativo accettabile, con ritmi e carichi di lavoro sopportabili, il rispetto della dignità delle persone, il rispetto delle regole.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Intesa Sanpaolo
Le condizioni agevolate applicate ai dipendenti dell’azienda non sono contrattate sul piano sindacale, ma rappresentano da tempo uno dei punti di forza dell’intero pacchetto “welfare” per fidelizzare il personale ed attrarre talenti professionali e figure specialistiche nel “posto migliore in cui lavorare”. Tuttavia non mancano anche qui evidenti “sbavature”.
Dal completamento della fusione tra Intesa e Sanpaolo, quindi da oltre 10 anni, esiste il “nuovo pacchetto”, che fornisce ai dipendenti del Gruppo condizioni agevolate omogenee per accedere ai prodotti e servizi della banca. Di particolare valore i tassi sui finanziamenti ed in particolare sui mutui immobiliari, che consentono di accedere ad un bene primario come la casa a tassi vantaggiosi rispetto a quelli di mercato (sebbene la forbice si sia ridotta alquanto, con il calo dei tassi e l’aumento della concorrenza, per mutuatari “sicuri”).
Da qualche anno a questa parte il pacchetto mutui si è arricchito di un ulteriore strumento, il “mutuo amico”, dedicato a quei lavoratori che hanno un reddito familiare lordo annuo inferiore ai 35.000 euro: una categoria che sta acquisendo “spessore”, visto il progressivo pensionamento dei bancari più costosi, il forte contenimento degli aumenti contrattuali delle ultime tornate, le varie formule di salario d’ingresso per i neo-assunti ed il lento ma costante peggioramento delle condizioni retributive per il personale entrato in banca negli ultimi lustri.
Inizialmente si poteva accedere con il mutuo amico ad un finanziamento non superiore ai 100.000 euro, poi elevato a 200.000 euro con la revisione del pacchetto attuata tre anni fa, che includeva, tra le altre cose, la possibilità anche per i dipendenti di rinegoziare i mutui già in essere e l’innalzamento a 600.000 euro del plafond complessivo utilizzabile nel corso della propria vita per comprare casa per sé o per i propri figli. Tanta roba, verrebbe da dire…
Certamente pesavano le condizioni generali di mercato: tassi bassi, offerta competitiva da parte dei concorrenti, liquidità illimitata a costo zero messa a disposizione dalla BCE. Alla fine anche i mutui ai colleghi fanno budget, sebbene i tempi e le ansie per ottenere le relative delibere da parte degli organi preposti siano spesso lunghi, prolungati e penosi (tranne qualche “scavalcamento” per pratiche più prioritarie di altre, naturalmente…).
Mentre però le innovazioni migliorative vengono strombazzate subito ai quattro venti per fare propaganda, le modifiche peggiorative subiscono una diversa sorte. A giugno 2017 le relazioni industriali hanno deciso di modificare il parametro reddituale su cui calcolare e concedere il mutuo amico: non più l’imponibile lordo Irpef, ma l’imponibile Inps, ben più
alto del primo. Le modifiche non sono state rese note che con le FAQ di fine settembre e
soltanto i colleghi che erano alle prese con richieste di mutuo in corso hanno avuto la
possibilità di rendersene conto.
Accade così l’ennesimo giro di giostra degli imponibili utilizzati dalla/e azienda/e per i
diversi scopi, utili sempre però per realizzare risparmi di costo. Un imponibile su cui
calcolare l’accantonamento del TFR e un altro per conteggiare il contributo alla previdenza
integrativa (che negli ultimi due rinnovi contrattuali hanno finanziato i risibili aumenti dei
contratti stessi), adesso un diverso imponibile anche per le erogazioni dei mutui ai
dipendenti. Una vera e propria geometria variabile degli imponibili!
L’utilizzo dell’imponibile INPS per verificare la congruità del Mutuo Amico non ha alcuna
giustificazione: il reddito effettivo del lavoratore è legato al suo reddito lordo (già gravato
da un peso fiscale rilevante), mentre il rapporto rata/reddito è giustamente calcolato sul
reddito netto percepito. Cosa c’entra l’imponibile Inps con la sua situazione reddituale?
Questa modifica taglia via dal perimetro di applicazione sin da subito centinaia di colleghi
e in prospettiva svariate migliaia: gli interessi applicati sono ben diversi e l’incidenza delle
rate sui mutui più lunghi ha ben altra consistenza, con forte aggravio sui colleghi più
giovani e famiglie monoreddito. In caso di utilizzo del massimale del plafond, su durate
elevate, la differenza può ammontare a centinaia di euro al mese e a decine di migliaia di
euro sul piano di ammortamento completo. Le modalità della sua introduzione hanno
seriamente danneggiato chi aveva già intrapreso operazioni di acquisto, facendo conto
sulle precedenti condizioni. A nulla sono valse le richieste di applicazione graduale della
nuova normativa, per salvaguardare le operazioni in corso ed evitare la retroattività, anche
per tenere conto delle modalità poco trasparenti e tempestive di comunicazione e
informativa.
Stigmatizziamo questa iniziativa aziendale, il generale silenzio che ha circondato
l’operazione e la rigidità nel rifiutare ogni deroga per le operazioni immobiliari già
impostate. Auspichiamo che questa improvvida decisione venga rivista e si ritorni al più
presto alla normativa precedente.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Intesa Sanpaolo
UBI Banca nasce nel lontano 1 aprile 2007 dall’integrazione di 7 banche e una serie di società prodotto e di servizi.
Ogni realtà presentava una propria storia distinta e i lavoratori godevano di trattamenti diversi sulla scorta di quanto erano riusciti ad ottenere con i loro CIA nel corso degli anni.
Da oltre 2 lustri però le divisioni valevano solo per i dipendenti: le azioni erano quotate sotto il nome di UBI, le strategie aziendali, i piani industriali e le decisioni più importanti si prendevano in UBI, solo i lavoratori rimanevano divisi in base all’azienda di provenienza.
Le differenze di trattamento, derivanti dai diversi contratti integrativi erano anche molto marcate, sia per quanto riguarda l’aspetto economico che per quello normativo.
Ora sappiamo bene che uniformare tutti questi accordi non era operazione fattibile dall’oggi al domani da un punto di vista tecnico.
Tuttavia si poteva tentare di coinvolgere i lavoratori, magari mobilitarli, per cercare di raggiungere obiettivi collettivi che, tendenzialmente, dovevano puntare all’uniformità ai livelli più alti per tutti, o perlomeno provarci.
Invece la trattativa per il nuovo CIA è stata una mediazione mediocre tra i diversi trattamenti delle ex banche, togliendo qualcosa a qualcuno e aggiungendo a qualcun altro, al punto che commentare gli accordi raggiunti era davvero difficile.
Naturalmente, nel solco della totale mancanza di democrazia che contraddistingue il nostro settore, il tutto si è svolto senza il minimo coinvolgimento dei lavoratori, sia in fase preventiva, con la stesura di una piattaforma rivendicativa, sia nella fase finale di legittimazione dell’accordo, attraverso il voto assembleare.
Forse per compensare chi ha perso qualcosa sulla parte normativa, a qualcuno è venuto in mente di accordarsi per un diverso trattamento per il Vap.
Fino ad oggi il premio di produzione è stato calcolato, più o meno tenendo conto dei risultati ottenuti dalle singole realtà, con notevoli differenze tra le varie banche del gruppo, differenze che, se possiamo anche accettare per il passato, risultano incomprensibili e odiose se applicate per il futuro.
Il Vap 2017 (erogato nel 2018) è apparentemente uguale per tutti (la parte dove si può scegliere tra conto welfare e cash), ma vi è una parte che è stata contrattata separatamente nelle banche pre-esistenti.
Partendo da una buona idea (consolidare in modo stabile una parte del premio) è stato fatto un pasticcio indigeribile.
Intanto lo strumento scelto per questa erogazione è soltanto il conto welfare (senza possibilità dell’opzione cash), che ha ormai un’ampia casistica di spese rimborsabili, ma che non è detto possa essere utilizzato da tutti.
Diciamo che, piuttosto che confliggere con l’azienda, viene più facile accordarsi con essa su come eludere il fisco, facendo risparmiare al datore di lavoro tasse e, soprattutto, contributi previdenziali.
Ma la beffa finale è che il premio consolidato, ispirato a criteri di uguaglianza, in quanto fisso e uguale per tutti i livelli contrattuali, è però diverso per le banche di provenienza, con importi differenziati da 320 euro fino a 725 euro, tendenzialmente per sempre!!!
I nostri sedicenti rappresentanti, pur di salvaguardare l’interesse particolare, sono riusciti a mantenere un piccolo residuo di differenze, quasi a ricordo perenne degli oltre 10 anni passati con condizioni e diritti anche molto differenti tra i dipendenti.
Anche in questo episodio emerge la mancanza di un’azione di largo respiro e di capacità di rappresentanza generale.
Rilanciamo il nostro invito ad autorganizzarci e aderire ad un sindacato libero, che non teme il confronto con i lavoratori e il conflitto con la controparte e che abbia, tra gli altri, come obiettivo anche il riconoscimento di uguali diritti per tutti i lavoratori di UBI….TUTTI!!
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Ubi Banca
Per quanto ovvio, la CUB-SALLCA ha seguito e segue con estrema attenzione ogni singolo passaggio del progetto di chiusura della Cassa di Previdenza SanpaoloIMI, l’ultimo gioiello di famiglia dei vecchi sanpaolini di diritto pubblico. A supporto della nostra consigliera Amalia Piccinino abbiamo costituito un gruppo di lavoro estremamente qualificato e che si avvale anche di competenze professionali specifiche esterne alla nostra organizzazione.
Ai pochi distratti, ricordiamo che da oltre un decennio le/i candidate/i della CUB-SALLCA risultano sistematicamente le/i più votate/i dalle/dagli iscritte/i alla Cassa (siamo quindi sindacato di maggioranza relativa) ma, ciò nonostante, l’assenza di democrazia sindacale che caratterizza il nostro settore affida questo tipo di trattative alle cosiddette “fonti istitutive” (azienda e sindacati firmatari) i cui rappresentanti nel CdA della Cassa si adeguano poi supinamente ed acriticamente agli accordi raggiunti.
Noi siamo fuori da questo tipo di giochi e diremo ai lavoratori (quando saranno espliciti tutti i parametri tecnici dell’operazione) quello che riterremo giusto dire per aiutarli nel fare la scelta più opportuna, che ovviamente dipenderà anche dalla loro situazione individuale. Questo, quindi, non è altro che un primo volantino sull’argomento. Ci aiuta, per fortuna, il fatto che avremo molto tempo per approfondire i vari aspetti dell’operazione visto che l’offerta aziendale sarà quantificata ad ognuno degli iscritti verso giugno ‘18 e si avranno poi tre mesi per decidere il da farsi.
Vediamo ora quali sono i principali punti di un accordo che, con un’accelerazione degna di un centometrista, le famigerate “fonti istitutive” hanno firmato per dare il colpo (quasi) finale alla previdenza a prestazione definita. Ovviamente, nonostante la rilevanza del tema, non è stata fatta alcuna assemblea e nessuna informativa è circolata tra i colleghi interessati salvo qualche scarno e impreciso comunicato delle sigle sindacali.
Volontarietà e mantenimento dei diritti
Sicuramente l’aspetto più positivo dell’accordo ma non è certo una conquista della contrattazione. Molto più semplicemente le esperienze passate per altri fondi a prestazione definita hanno “insegnato” che i colpi di mano non pagano se non in termini di ricorsi alla Magistratura con esiti praticamente sempre soddisfacenti per i colleghi. Come noto, le posizioni dei non aderenti all’offerta verranno trasferite in una sezione dedicata del Fondo Banco Napoli che cambierà nome ed il cui Statuto verrà adeguato alla bisogna.
Pensionati
Qui l’accordo è semplice e, per fortuna (o… magari qualcuno si è fatto sentire …), le fosche anticipazioni contenute nel volantino del 29/11 sono state riviste. La decurtazione è stata fissata al 6% (dal 10% iniziale) ed è stata introdotta una soglia sotto la quale non si applica. Su questo tema è bene ricordare che la decurtazione era stata presentata come inevitabile (“viene solitamente previsto per le capitalizzazioni anticipate delle prestazioni previdenziali”). In realtà era un mettere le mani avanti perché in un’operazione del genere il “di solito” non esiste mentre il 10% è, molto più semplicemente, l’applicazione della decurtazione prevista per le capitalizzazioni nei fondi ex Banco Napoli. Farlo passare come standard di mercato era un’operazione di marketing piuttosto discutibile.
Da parte nostra riteniamo che tecnicamente è sempre auspicabile introdurre una maggiore gradualità piuttosto che uno scalino secco: il 10% poteva anche essere “accettabile” per chi percepisce un’integrazione di 30 o 40.000 euro l’anno mentre lo è meno il 6% per chi è sopra la soglia di esenzione per pochi euro. Infine occorre tener presente che la posizione viene liquidata in contanti e quindi l’imposizione fiscale è un aspetto da valutare attentamente.
Attivi, esodati e differiti
Per questi colleghi la determinazione del capitale offerto è più complessa perché occorre trovare un modo per calcolare la misura dell’integrazione attesa. L’accordo specifica che l’offerta individuale verrà calcolata sulla base del principio contabile IAS 19 che prevede di considerare l’anzianità maturata al 31 dicembre 2017 in quanto gli accantonamenti della Banca vengono determinati utilizzando questo approccio contabile. Per gli attivi più “giovani” ciò comporta una penalizzazione piuttosto pesante posto che ogni anno in meno vale il 2,25% in meno di integrazione! Il volantino dei sindacati firmatari ribadisce che questo criterio è quello previsto dalle norme statutarie ma in realtà l’attuario incaricato di valutare gli oneri previdenziali produce regolarmente un secondo documento (Italian Gaap) nel quale il debito previdenziale viene calcolato considerando l’anzianità che si raggiungerebbe al momento della maturazione dei requisiti pensionistici e non solo quella già maturata! È infatti quest’ultimo approccio, che consente di valutare il valore della prestazione previdenziale e, stando alle ultime valutazioni espresse dall’attuario in nostro possesso, il differenziale è di almeno 170 milioni!
Proprio per ovviare a questa penalizzazione implicita nella scelta dell’approccio con cui calcolare il capitale da offrire all’iscritto, è prevista l’introduzione di una contribuzione previdenziale aggiuntiva del 4% (peraltro calcolata solo su un sottoinsieme di voci retributive). Quanto sopra fa emergere una oggettiva difficoltà nel valutare complessivamente l’accordo. Ma forse intorbidire le acque è proprio ciò che si voleva …
Per quanto riguarda la liquidazione, è prevista unicamente la zainettizzazione nel Fondo Pensione di Gruppo a Contribuzione Definita le cui regole ne determineranno la tassazione e le condizioni di disponibilità. In particolare, gli esodati potranno riscuotere fino al 50% a condizioni fiscalmente estremamente vantaggiose (tra il 9% ed il 15% contro il 23% previsto per le anticipazioni prima casa e per cause diverse del Fondo Pensione).
Il diavolo sta nei dettagli
Una volta definito il quadro dell’accordo, si tratta ora di attendere i conti di fine anno. Oltre al modello di valutazione che incide sull’anzianità da considerare, il calcolo (tecnicamente molto complesso) utilizza tutta una serie di altri parametri che incidono in modo determinante sul risultato finale: tavole attuariali, tassi di incremento della retribuzione, tasso di attualizzazione, ecc. In particolare, il tasso di attualizzazione, ovvero il tasso con il quale si trasformano gli euro di domani in euro di oggi, è un parametro assai rilevante: una variazione dello 0,5% incide per oltre 150 milioni sul debito previdenziale complessivo. Considerando che i tassi di interesse Eur sono negativi fino a 3 anni e non superano l’1,5% neanche nel lunghissimo periodo, il tasso di sconto da applicare dovrà essere ben inferiore al 2,17% utilizzato lo scorso anno!
Su questo aspetto l’accordo, nelle Norme Finali, prevede che le fonti istitutive operino “un approfondimento sui criteri attuariali adottati nella predisposizione delle offerte”. Quello che sembra un messaggio rassicurante è invece un aspetto che ci preoccupa moltissimo. La determinazione da parte dell’attuario dell’onere previdenziale complessivo è una questione che riguarda tipicamente il CdA della Cassa in quanto responsabile dell’approvazione del bilancio di esercizio che, appunto, si basa sulle valutazioni con il metodo IAS. Perché si vuole “scippare” la competenza su questo aspetto all’organo societario preposto, peraltro l’unico democraticamente eletto? Perché le fonti istitutive si arrogano il diritto di valutare parametri tecnici non di loro competenza visto che ormai hanno già determinato l’approccio contabile (ovviamente quello meno favorevole) da utilizzare?
Prendere o lasciare
L’operazione si configura come un’offerta straordinaria per capitalizzare i flussi futuri di integrazione della rendita previdenziale ma la liquidazione prevista non si basa su una valutazione equa della prestazione e non include alcuna remunerazione del rischio previdenziale. Una prestazione definita è l’unica vera, concreta ed effettiva protezione previdenziale verso eventuali cambiamenti del quadro normativo complessivo. È una proposta che ognuno è libero di accettare o meno ma che, nei fatti, appare più attraente per chi ha già un reddito previdenziale significativo. Ricordiamo che, grazie al passaggio al Fondo Banco Napoli, sarà possibile operare nuovamente la scelta al momento della maturazione del requisito pensionistico (AGO): è infatti previsto che in quell’occasione sia possibile incassare l’intero capitale con una penalizzazione del 6%.
Per quanto ovvio non mancheremo di far sentire la nostra voce e pretendere un percorso trasparente ed informato ed in tal senso abbiamo già chiesto precise garanzie che, al momento della comunicazione della cifra offerta, vengano resi disponibili tutti gli elementi e gli strumenti utili affinché ognuno possa valutare consapevolmente l’operazione.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Intesa Sanpaolo
Questa volta non c’è stato alcun bisogno di formidabili pressioni per raggiungere sfidanti obiettivi. La nuova offerta di Intesa Sanpaolo, denominata ESODO, ha avuto un successo incredibile: circa 6.500 adesioni su una platea di poco più di 8.000 potenziali clienti (lavoratori). Se ne vogliono andare tutte/i. Dal nord al sud, dalla rete alle sedi, dai sindacalisti “duri e puri” agli incalliti carrieristi. Cassieri e gestori ma anche direttori, capi e capetti; persino i più canuti protagonisti dei video-trash e delle convention karaoke. Una fuga di massa.
Alcuni anni fa (nemmeno troppi per la verità) si diceva che far andare via i “vecchi” bancari senza convincenti incentivi era pressoché impossibile. Naturalmente poi c’è stata la Fornero (con lo spauracchio dei 67 anni per tutti) e ci sono state le sempre più frequenti crisi aziendali (ed i concreti rischi di licenziamenti). Ciò nonostante fa impressione che nella solidissima prima banca del paese abbia un simile riscontro il primo piano di prepensionamenti a condizioni assolutamente standard.
Ma la nostra Banca non era il luogo dove si faceva la storia, dove ci si cullava nell’ambizione di essere il più bel posto dove lavorare, per le cui iniziative sociali ci si poteva commuovere in pubblico, dove l’attenzione alle persone era massima in quanto ricchezza del gruppo per l’oggi e per il domani? Forse sarebbe il caso di fermarsi un attimo a riflettere sulle figuracce che si inanellano, una dopo l’altra, quando si fa un uso così smodato di vuoti slogan retorici che nulla hanno a che vedere con la realtà. Che poi presenta il conto.
Sappiamo benissimo che dietro affermazioni del tipo “cercheremo comunque di accontentare chiunque voglia andarsene” c’è sempre stata la ben più prosaica intenzione di utilizzare subito e fino all’ultimo euro il tesoretto di fondi pubblici con i quali viene scandalosamente finanziata l’intera operazione. E che questo vuol dire che saranno ben più di tremila le uscite programmate nel perimetro Intesa Sanpaolo (piano industriale compreso, se serve).
E tuttavia, di fronte ai numeri che oggi sono sul tavolo, cresce l’imbarazzo e la preoccupazione sul come potrà essere gestito il processo e su quali conseguenze avrà su motivazioni, produttività, livelli di competenze professionali e, alla fine, risultati commerciali della truppa.
Il tutto, ovviamente, complicato in misura esponenziale dalla contestuale (e non semplice) integrazione delle banche venete. Ma si sa, l’unica sciocca strategia che questa dirigenza sembra conoscere di fronte al cambiamento (sia esso di un sito internet, delle procedure di filiale o del posto di lavoro e delle mansioni di migliaia di colleghi) è quella che prevede il rispetto messianico di date incautamente fissate a tavolino con lo scarico postumo dei mille disservizi provocati su lavoratori e clientela (lontano dalle luci del palcoscenico). Insomma, fretta ed approssimazione a scapito della qualità.
Quanto capiamo chi va via! Quanto lavoro abbiamo da fare al fianco di chi resta!
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Intesa Sanpaolo
L’accordo raggiunto rispetto all’aggiornamento del piano industriale UBI 2019/2020 non ha portato, per ora, sorprese troppo sgradevoli per i lavoratori delle tre cosiddette ‘’Bridge Bank’’.
In attesa dell’armonizzazione degli accordi aziendali, gli esuberi dichiarati verranno gestiti con l’uso del Fondo di Solidarietà su base volontaria, sebbene senza l’integrazione aziendale per garantire che l’assegno, durante la permanenza nel Fondo, non scenda sotto l’80%.
Sono stati fissati limiti alla mobilità territoriale ed evitati processi di esternalizzazione.
L’azienda si impegna all’assunzione di 132 risorse entro il 31/12/18, peraltro in un contesto di 3.000 uscite totali nel gruppo.
Nell’insieme, però, non ci sono idee brillanti per aumentare la redditività (comunque soddisfacente se il CEO Massiah ha così commentato i risultati dell’ultima semestrale: “ottimo semestre, abbiamo triplicato il risultato’’) che non siano i soliti tagli e riduzioni dei costi, sebbene, al momento, su base volontaria.
Viene riconfermata quella forma di cassa integrazione volontaria che va sotto il nome di ‘’social day’’ (periodi di congedo, a giornate o mesi, retribuite al 40%, per almeno 160.000 giornate).
Una novità è il Piano d’incentivazione individuale, che consente, a chi ha maturato almeno 10 anni di anzianità, di risolvere consensualmente il rapporto di lavoro ottenendo da 20 a 30 mensilità, in base al reddito.
Altra novità, in controtendenza rispetto alle elargizioni illustrate per non lavorare, è la penalizzazione per chi vuole lavorare a tutti i costi: chi maturerà il diritto alla pensione dovrà fruire obbligatoriamente dalle 10 alle 25 giornate (in base al reddito) di giornate di congedo non retribuito. Se non ci siamo distratti, è la prima volta che si assiste ad una misura del genere, almeno nei grandi gruppi bancari.
In questa cornice, il dato veramente negativo è l’imposizione di un limite agli straordinari, i quali, di norma, non potranno superare la quota dell’anno precedente.
In questo caso l’ipocrisia la fa da padrona. Constatiamo giornalmente che molti colleghi si fermano oltre l’orario previsto senza corresponsione del sacrosanto diritto allo straordinario. E’ il segreto di pulcinella, la banca lo sa e i sindacati firmatari lo sanno, ma, invece che denunciare una situazione di aperta illegalità, chiudono gli occhi e firmano tutto.
Noi siamo perché le ore straordinarie siano un’eccezione ma, se vengono svolte, devono essere pagate!! Mascherare il reale numero di ore di straordinario, mentre si contrattano gli esuberi dichiarati dall’azienda, non ci pare degno di un sindacato serio.
Forse l’utilizzo dei social day e le adesioni al fondo di solidarietà senza più incentivi sono il miglior termometro di condizioni lavorative sempre peggiori e da cui i lavoratori cercano di fuggire.
In definitiva, non vediamo la grande vittoria decantata nei comunicati dei firmatari: le trattative avvengono in assenza di una piattaforma sindacale per concordare gli obiettivi da raggiungere, quindi senza nessun mandato per trattare. Le trattative sono sempre durissime ed estenuanti, ma senza un’ora di sciopero non si capisce come la controparte venga indotta a presunti arretramenti, forse la prendono per stanchezza….
Ora pare verranno convocate le assemblee per illustrare i punti dell’accordo e per spiegare il nuovo modello organizzativo che la banca ha intenzione di attuare entro il prossimo 4 dicembre, ma sarà una pura formalità.
Una volta almeno potevamo votare ora possiamo solo ascoltare e subire passivamente!! Dobbiamo cominciare a dare forza ad un sindacato vero, fatto dai lavoratori per i lavoratori. Noi ci siamo, aspettiamo rinforzi!!!
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo UBI
Molti lavoratori hanno letto con stupore il comunicato dei sindacati firmatari a commento dell’accordo sugli esodi: “solo il senso di responsabilità del Sindacato e il rispetto verso tanti colleghi e colleghe interessate da questo provvedimento ha permesso di raggiungere questo obiettivo. Infatti, è di qualche giorno fa la notizia del provvedimento di licenziamento – con effetto immediato – di due colleghi di Intesa Sanpaolo Casa”.
La vicenda di questa tornata di esodi è nota: il governo ha appaltato il salvataggio delle banche ex venete a Intesa Sanpaolo, conferendo tutte le attività per la cifra simbolica di un euro e finanziando, con soldi pubblici, 4.000 uscite (di cui 1000 delle banche ex venete) con Fondo di Solidarietà. Il tutto con l’intimazione della banca al Parlamento a votare il decreto senza modificare una virgola, pena il venir meno dell’operazione.
La trattativa sindacale non era, quindi, particolarmente complicata, ma, per dimostrare di esistere, i sindacati al tavolo hanno rivendicato come conquista l’allargamento della platea di chi poteva accedere all’esodo, consentendone l’adesione anche a chi maturerà il diritto alla pensione entro il 31 dicembre 2023 (un anno in più). Alcuni lavoratori ci hanno fatto notare che, un tempo, erano le aziende a premere per gli esodi, ma nella nostra categoria succedono cose originali.
Ad esempio, in genere, per aumentare l’occupazione si riduce l’orario, noi invece lo aumentiamo: il Fondo per l’Occupazione, come noto, è alimentato dal conferimento di una giornata di banca ore/ex festività, quindi si finisce per lavorare di più.
Nel caso dell’esodo, i sindacati al tavolo hanno pensato bene di dare rappresentanza al diffuso desiderio di fuga presente in categoria, trovando, da parte aziendale, le porte non aperte, ma spalancate. Ribadiamo che i sindacati firmatutto dovrebbero interrogarsi sulla bontà della loro contrattazione, in presenza di lavoratori che non vedono l’ora di andarsene.
Magari, trattando sugli esodi, non sarebbe male chiedere spiegazioni e risolvere lo scandalo delle numerose ore di lavoro supplementare non compensato e giustificato con la causale NRI.
Venendo alla vicenda di Intesa Sanpaolo Casa, purtroppo non possiamo sorprenderci troppo. Da tempo, anche in questa azienda del Gruppo, le pressioni per raggiungere i risultati sono aumentate in modo vertiginoso, con tutto il corollario di riunioni e messaggi (anche scritti) in cui l’arroganza e la maleducazione di alcuni responsabili hanno rotto ogni freno inibitore.
Dopo tante chiacchiere, la situazione di Intesa Sanpaolo Casa si mostra in tutta la sua cruda realtà: ai nostri colleghi viene chiesto di dare sempre di più, con orari più lunghi (40 ore settimanali, quando bastano), paghe più basse ed il miraggio di incentivi legati ad obiettivi irraggiungibili. Tanto, se la carota non funziona, si puòagevolmente maneggiare il bastone del job’s act. Infatti le assunzioni in Intesa Sanpaolo Casa sono avvenute sfruttando la legge del governo Renzi e se qualcuno aveva dubbi su come funzionasse il “contratto a tutele crescenti”, adesso avrà tutto più chiaro.
Resta l’amarezza per un’azienda che si era appena vantata di non aver usato lo strumento dei licenziamenti per gestire la vicenda delle ex banche venete. Si chiarisce peraltro come i nostri top manager intendano i rapporti con lo stato: se arrivano finanziamenti si attivano strumenti morbidi per gestire le eccedenze di personale, se la legge consente di avere mano libera non si esita ad usare lo strumento concesso dal governo.
L’insieme di questi fatti conferma la validità della piattaforma per lo sciopero generale del 27 ottobre: dobbiamo riconquistare diritti, dobbiamo rivendicare politiche generali del tutto diverse, bisogna arginare la dilagante arroganza delle aziende.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Intesa Sanpaolo