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INTESA SANPAOLO: QUESTIONARIO SULLE PRESSIONI COMMERCIALI SULLA RETE DI TORINO E CINTURA

Alla fine del 2016, su un buon numero di filiali di Torino e cintura, è stato distribuito un questionario, con poche domande (una decina) legate al tema delle pressioni commerciali e dei relativi problemi di salute.

Il questionario aveva l’obiettivo di raccogliere alcuni informazioni e fare conoscere meglio il lavoro del nostro sindacato, non aveva pretese scientifiche come un recente studio dell’Università di Pisa (reso noto dall’articolo di Gramellini, “stressato come un bancario”, comparso sul Corriere della sera del 15.03.2017), ma verosimilmente era più attendibile degli studi commissionati da Intesa Sanpaolo all’Università di Milano, che si concludono immancabilmente senza rilevare particolari criticità.

La distribuzione ha ricalcato quella di un precedente giro dei nostri quadri sindacali sulle filiali, durante il quale era stato diffuso il volantino “Lettera aperta a Stefanio Barrese” (infatti la prima domanda chiedeva se il testo era stato letto). Il recupero dei questionari compilati è stato affidato (salvo rari casi), all’”autogestione” di ogni punto operativo, con buoni risultati  in termini di tasso di restituzione.

Infatti il numero dei questionari compilati e ritornati è stato rilevante, superando le 300 unità.

Dati i criteri di distribuzione, non stupisce che il 92% abbia dichiarato di avere letto il nostro volantino e che di questi l’86% ne abbia condiviso i contenuti (evidentemente abbiamo rappresentato in termini realistici la situazione spesso drammatica del clima aziendale).

Subito dopo si passa alle domande sulle spinte verso gli obiettivi commerciali.

E’ interessante notare che, in una scala da 1 a 5,  il 52% colloca le pressioni del proprio punto operativo tra il 4 ed il 5 (e comunque con un 31% a livello 3), ma oltremodo significativo che questo dato aumenti ancora quando la domanda è riferita ai direttori di area:  il 62% dei colleghi  crocetta 4 e 5 (per un 20% di loro le pressioni sono intollerabili) ed il 26% si attesta sul livello 3.

Non è stato tempo perso ricordare ai lavoratori e alle lavoratrici che l’accordo sul sistema incentivante riferito al 2016 aveva alzato consistentemente la quota spettante ai direttori di area: il 63% non ne era conoscenza e supponiamo che non l’abbia presa bene…

I dati evidenziano qualche differenza tra filiali retail, personal e imprese, con le ultime due che danno risultati leggermente meno critici. Sarebbe peraltro interessante ripetere le domande oggi, dopo l’inizio scoppiettante del nuovo anno commerciale, per vedere se nel frattempo qualcuno non abbia già cambiato idea e si allinei al retail…

Interessante anche il dato sui problemi di salute legati allo stress lavoro correlato. In una scala da 0 a 5, la diffusione di questi problemi viene collocata dal 67% dei rispondenti tra 3 e 5 nel proprio punto operativo e la percentuale aumenta al 87% se riferito alla banca nel suo complesso. Anche in questo caso, nessuna pretesa di scientificità, ma una “percezione” molto forte della gravità del problema.

Alla domanda se i lavoratori e le lavoratrici dovrebbero coalizzarsi contro politiche commerciali troppo aggressive, il 64% risponde che sarebbe utile ma difficilmente praticabile, mentre quasi il 33% dice di sì e ci pare un bel dato da cui partire.

Allo stesso modo, alla domanda se la situazione lavorativa in azienda richiederebbe la risposta di un’azione di sciopero (e, soprattutto se c’è disponibilità ad aderirvi) oltre il 56% risponde in modo affermativo.

Quest’ultimo punto, che rappresenta un po’ il culmine di tutta l’indagine, è in sintonia con una voglia piuttosto diffusa di reagire, anche se questa si accompagna ad una richiesta di azione unitaria con sindacati che, a partire dalla fallimentare esperienza della casella “iosegnalo”, non mostrano una reale volontà di opporsi ad un sistema che, strutturalmente, poggia su un modello di servizio orientato a politiche commerciali aggressive. Ci riferiamo qui ai vertici dei sindacati firmatutto, restando ferma la nostra disponibilità a discutere e fare iniziative comuni con delegati di base degli altri sindacati che vogliano impegnarsi seriamente su questo terreno. Non a caso, anche nell’assemblea fuori orario del 9 marzo a Torino questo argomento è stato toccato più volte.

E’ ineludibile ormai un’iniziativa vertenziale, ben costruita da una tornata di assemblee, sul tema delle pressioni commerciali e del clima aziendale. Chiediamo ai lavoratori ed alle lavoratrici di aiutarci a spingere le organizzazioni sindacali, che hanno il potere di indirle in orario di lavoro,  di farsi carico di questo compito e passare dalle parole ai fatti.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.  Area Torino Intesa Sanpaolo

INTESA SANPAOLO. NUOVO FONDO PENSIONE A CONTRIBUZIONE DEFINITA PARTE 2 – LA GOVERNACE VA RIDISEGNATA

 

Ci sono molte cose ancora da fare, ma ci sono due punti in particolare sui quali vogliamo concentrare la nostra attività: sono quelli che caratterizzano la nostra presenza e che rappresentano la cartina di tornasole sulla quale andremo a valutare la nostra permanenza negli organi del Fondo.

Il primo aspetto è certamente quello di esercitare la massima pressione affinché questo CdA di nominati lasci spazio ad una rappresentanza realmente elettiva. Siamo infatti assai preoccupati che sia passato ben più di un anno ed ancora non siano nemmeno iniziati i contatti per definire modalità e tempi con cui indire democratiche elezioni dei rappresentanti dei lavoratori, come peraltro previsto negli accordi del 2015. Ricordiamo ai colleghi meno addentro alle questioni sindacali che tale contrattazione spetta unicamente alle organizzazioni che si autodefiniscono “istitutive” e non al CdA. Il termine istitutive è in realtà sostitutivo di “firmatarie di contratto”, in quanto è ormai ben chiaro a tutti (azienda in primis) che la nostra organizzazione sindacale è quantomeno altrettanto istitutiva delle altre, anche se ai tempi della nascita dei primi fondi pensione aziendali non eravamo presenti semplicemente perché ancora non esistevamo. Sono le antidemocratiche regole della rappresentanza sindacale, quindi, che non ci consentono di incidere direttamente su questo aspetto, anche se il nostro impegno sarà ovviamente rivolto a far si che le regole elettorali del nuovo Fondo consentano la più ampia partecipazione dei colleghi che vogliano auto-organizzarsi e una rappresentanza democratica e proporzionale.

Un secondo aspetto che riteniamo fondamentale cambiare è quello relativo alla gestione delle strutture del Fondo pensione. Nonostante la Banca abbia l’onere di garantire e finanziare le spese di struttura, occorre che venga data maggiore autonomia gestionale in capo all’ente previdenziale. Se è ovvio che la Banca voglia mantenere il controllo delle risorse, il CdA non può essere privo di voce in capitolo nel valutare l’adeguatezza delle strutture a disposizione e deve poter valutare l’operato quantomeno delle figure apicali (Direttore e primi riporti). A partire dalla nomina del Direttore, che come da consuetudine viene proposto dall’Azienda e sul cui nominativo si è sostanzialmente “liberi di essere d’accordo”, la stessa componente aziendale afferma che le risorse distaccate presso il Fondo Pensione sono in tutto e per tutto alle dipendenze del Fondo stesso. Se però le valutazioni, i premi, la carriera sono elementi che vengono gestiti unicamente dalla Banca, come tuttora avviene, è chiaro che, nella sostanza, il riferimento per chi lavora è l’Azienda e non il CdA.

Dopo aver ottenuto che vi sia l’alternanza nella nomina del Presidente del CdA (una volta appannaggio esclusivo dell’Azienda), occorre ora che anche la componente sindacale sia coinvolta nel processo di gestione delle risorse, in modo da consentire un effettivo controllo delle stesse, a prescindere da chi sostiene la spesa. Teoricamente, l’Azienda dovrebbe dichiarare il budget disponibile e poi lasciare che sia il Fondo stesso ad amministrare le risorse distaccate. Più concretamente, e come minimo, all’interno del CdA si dovrebbe costituire una commissione che si occupi delle questioni relative all’organizzazione ed alla gestione del personale, che svolge un ruolo fondamentale nella vita del fondo (i consiglieri passano, loro restano), e che dovrebbe contraddistinguersi per la piena autonomia operativa, senza alcun legame specifico con questa o quella componente. Potrebbe sembrare una questione marginale, ma in realtà l’indipendenza delle strutture, e dell’ente previdenziale in generale, è una garanzia per tutti e consentirebbe di conseguire una reale equiparazione tra le componenti aziendale e sindacale.

 

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INTESA SANPAOLO. NUOVO FONDO PENSIONE A CONTRIBUZIONE DEFINITA. PARTE 1 – DOVE SIAMO E COSA SI STA FACENDO

Habemus papam. Iniziano così due mail che ci sono arrivate successivamente alla riattivazione del sito del fondo pensione. Altre parlano di parto “trigemellare”. In effetti, come spesso succede per molti progetti di questa Banca, alle roboanti ed entusiastiche affermazioni dei grandi capi seguono poi lunghi e faticosi percorsi per chi deve nella realtà dei fatti far funzionare le cose. Trasferire decine di migliaia di posizioni previdenziali che si sono consolidate negli anni, soggette a legislazioni tempo per tempo vigenti, è stato ovviamente un percorso tutt’altro che semplice e lineare. Ad oggi sono pochissime le posizioni ancora oggetto di verifica e questo dimostra che presto e bene raramente si possono accoppiare. È facile firmare accordi, mentre attuarli è, sempre più spesso, quasi impossibile. In questo caso la presenza di precise regolamentazioni non ha consentito, come per altri accordi, di sorvolare sulle questioni più scomode e spinose ed ha imposto un rigido protocollo di realizzazione.

Se un primo passo è stato fatto, ora diventa necessario concludere il lavoro attivando anche la parte dispositiva, ma molto probabilmente questa non verrà resa disponibile prima dell’introduzione dei nuovi comparti di investimento ai quali i colleghi potranno aderire.

La costruzione delle Asset Allocation dei comparti ha richiesto un percorso molto complesso ed anche in questo caso si è dovuto imporre una calendarizzazione dei lavori più estesa rispetto a quella inizialmente prevista. Anche in questo caso la fretta ed il rispetto dei tempi imposti dagli apparati hanno spesso condizionato il processo di definizione dei nuovi comparti ed è nostra opinione che alcune decisioni avrebbero meritato un maggiore approfondimento.

Ad esempio, la scelta di rinunciare al veicolo Sicav, è stata effettuata sulla base di considerazioni più politiche che tecniche e senza una valutazione prospettica di lungo periodo, privilegiando una soluzione che contiene i costi, ma che impone di rinunciare ad una maggiore efficienza operativa ed a una struttura di controlli più articolata. Purtroppo alcuni tentativi esterni di vincolare le scelte del CdA e la necessità di una revisione del veicolo lussemburghese “ereditato” dalla gestione del fondo ex SanpaoloImi, hanno sostanzialmente imposto di rinunciare a questo percorso. Siamo comunque convinti che la costituzione di una Sicav garantisca sia una maggiore efficacia nell’accesso dei mercati attraverso mandati specialistici, che di mantenere un maggiore controllo da parte del Fondo sull’allocazione strategica, piuttosto che demandarla a gestori multiasset. Per questi motivi auspichiamo che, una volta avviato il Fondo Unico e costituito un nuovo CdA, si possano ripensare e rivedere le scelte attualmente fatte.

Inoltre, la decisione di non attivare un comparto etico toglie un elemento distintivo dell’offerta agli aderenti ed è stata un’occasione persa per trasformarlo in un più moderno comparto “socialmente responsabile” ma anche su questo punto crediamo sia possibile, in considerazione della sensibilità dimostrata da molti consiglieri, intervenire nel prossimo futuro.

Anche la scelta di investire in azioni Banca d’Italia è avvenuta in maniera affrettata, senza alcuni dovuti approfondimenti, che sono stati richiesti, ma ancora non soddisfatti, e sulla base di ipotesi di adesione ai vari comparti che potrebbero essere anche smentite dal comportamento dei colleghi. Su questo tema abbiamo ricevuto diverse richieste di chiarimento da parte di colleghi giustamente sospettosi.

Al fine di supportare il processo di ricollocazione delle quote di partecipazione e di garantire appetibilità agli investitori, sono stati predisposti dei meccanismi (riserve) che dovrebbero consentire di stabilizzare nel tempo gli utili netti. L’obiettivo è mantenere un livello di remunerazione minimo intorno al 4-4.5% e tale valutazione è supportata dalla sostanziale stabilità patrimoniale e reddituale di BdI. Tecnicamente, quindi, i flussi finanziari dell’investimento sono molto simili ad una obbligazione perpetua, piuttosto che ad un’azione tradizionale, ed il rendimento, almeno nel breve termine, è interessante, se equiparato a titoli governativi di pari standard. Per questo motivo è stato previsto che tali posizioni siano prioritariamente utilizzate nei comparti con maggiore componente obbligazionaria, al fine di migliorarne il profilo reddituale. Per quanto riguarda le perplessità legate alla liquidabilità della posizione, a valle del complessivo consolidamento della partecipazione azionaria, è stato previsto l’avvio di un mercato secondario nel quale 3 operatori garantiranno sia la formazione del prezzo, sia la scambiabilità, almeno fino ad un certo ammontare per settimana.

Il principale rischio di questi titoli è legato al limite di redditività ovvero al limite del 6% previsto come remunerazione massima del capitale. Infatti, in caso di rialzo dei tassi, è come avere un titolo a reddito fisso a lunga/lunghissima scadenza ed ovviamente in tali casi il prezzo ne risentirebbe ma la patrimonializzazione implicita (post aumento di capitale) dovrebbe garantire la tenuta. Un’altra variabile da tenere in considerazione è legata all’attuale struttura dei proventi che derivano in buona parte dalle operazioni di supporto al sistema … non è detto che dureranno per sempre! Per questi motivi, la posizione deve essere gestita con attenzione nel tempo, monitorando con attenzione i principali fattori di rischi impliciti.

In sintesi, in questo caso, non ci pare di ravvisare rischi particolari rispetto a quelli che già tutti sosteniamo nel momento in cui accettiamo che i nostri risparmi previdenziali siano esposti alle follie dei mercati finanziari …

Smarcate (in qualche modo, e si sarebbe potuto fare meglio) le tematiche più tecniche relative alla costruzione dei profili di investimento, sta per iniziare la delicata fase della scelta dei gestori a cui affidare i vari “pezzi” (la “asset class”) in cui è suddiviso il portafoglio di investimento. Anche in questo caso si prospetta una calendarizzazione serrata, che dubitiamo consentirà di analizzare a fondo i risvolti tecnici di alcuni complessi mandati, soprattutto a quei consiglieri con minore sensibilità e competenza sui temi finanziari.

Per nostra fortuna le masse investite sono così “appetibili” che molte tra le più grandi case di investimento hanno dimostrato il loro interesse ad acquisire i mandati sui quali è stata effettuata una pubblica offerta. Insomma qualunque sarà la scelta, essa non potrà che ricadere su primari intermediari ed il percorso stesso garantirà il rispetto di precisi standard. La definizione di un limite di concentrazione consentirà di differenziare i gestori e garantirà una almeno teorica concorrenzialità tra gli applicanti. Inoltre, il meccanismo di determinazione del gestore a cui affidare i nostri soldini è stato differenziato e, per alcune casistiche, il confronto avverrà analizzando più le performance e la qualità dell’operatore di mercato, che il mero profilo commissionale. Se ciò consentirà di scegliere il migliore, dipenderà dalle scelte dei consiglieri aziendali ed elettivi e dalle loro competenze …

L’attuale pianificazione prevede che già in estate i nuovi profili di investimento siano operativi e si avvicina quindi il momento nel quale ognuno di noi dovrà decidere se il nuovo comparto che gli verrà proposto in sostituzione all’attuale sarà di suo gradimento o meno. Restiamo comunque scettici sulle tempistiche, ma sarà nostra cura fare in modo che le scelte degli iscritti al Fondo possano avvenire nel modo più informato possibile, così da garantire ad ognuno la possibilità di decidere in modo razionale.

Diversamente da alcune altre sigle, che si sono arbitrariamente appropriate della primogenitura di alcuni passaggi della vita del Fondo, vogliamo sottolineare che praticamente tutte le scelte sono state largamente concordate. Non possiamo certo dire che sia stato semplice o indolore, ma sicuramente molte decisioni sono state assunte anche grazie alla nostra partecipazione, alle competenze anche tecniche che abbiamo garantito ed alle sensibilità che abbiamo rappresentato. Il nostro rappresentante ha dovuto, non raramente, ingoiare rospi indigesti; ma riteniamo che in alcuni passaggi la nostra presenza abbia avuto un ruolo tutt’altro che secondario ed il risultato finale ne esca sensibilmente migliorato.

 

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INTESA SAN PAOLO: OLTRE IL LIVELLO DI GUARDIA

L’inizio del nuovo anno ha comportato in Intesa Sanpaolo un altro giro di vite sulle pressioni commerciali. Archiviato il 2016 con le ultime operazioni straordinarie, spostati centinaia di direttori e capi area per tenere sotto pressione la truppa ed alta la motivazione dei manager, respinte le richieste governative d’intervento per tenere in piedi qualche altra banca fallita, i vertici aziendali hanno  ripreso a fare quello che sanno meglio: martellare il personale per aumentare le vendite.

Mentre matura l’o.p.s. amichevole sulle Generali per evitare che l’ennesimo gioiello italiano  prenda la strada dell’estero, c’è il problema di restare forti per non essere a propria volta scalati. Occorrono fatti concreti, non basta affabulare gli azionisti promettendo 3,4 miliardi di dividendi per il 2017. Per fare profitti record in un paese stremato, si può solo pigiare l’acceleratore sulla rete di vendita e continuare ad “estrarre valore” da una clientela il più delle volte  esausta, delusa, impaurita, sfruttata. Non solo le filiere personal o retail, ma anche le filiali imprese sono investite da un tornado di richieste impressionanti.

L’azienda ha voluto l’accordo sulle assunzioni ibride, per introdurre un precedente che modifica in prospettiva tutto l’assetto contrattuale: la banca si riduce a rete di vendita e lo stipendio si riduce  a commissione sul venduto. Il programma ABI del 2013 diventa realtà: s’introducono forme di lavoro autonomo, retribuite a provvigione. Al calo di redditività si risponde con un abbassamento dei costi fissi. L’incertezza e l’instabilità economica si scaricano sulle spalle dei dipendenti.

Il riposizionamento sul mercato procede anche attraverso nuovi salti in avanti: per allargare il giro di ricavi e clienti arriva la Banca dei Tabaccai  (la nuova “Banca 5”, che segna, di fatto, il fallimento dell’esperienza). La novità, poco sorprendente, è che bisogna vendere più di prima (molto più di prima) i favolosi prodotti del risparmio gestito  e della filiera assicurativa.

Detto, fatto: parte la campagna sulla priorità delle priorità con centinaia di clienti da contattare entro una settimana per raggiungere gli ennesimi obiettivi sfidanti, in primis  un miliardo di ricavi in più entro il 31 marzo! Si sa, c’è la trimestrale, e non  ci si può presentare  agli analisti con dei dati deludenti…

A inizio febbraio è trascorsa così la settimana più allucinante per i consulenti Intesa  Sanpaolo, che hanno dovuto abbandonare tutto il resto per concentrarsi sulle priorità: prestiti, a.f.i. e soprattutto risparmio gestito. Ordine di scuderia: contattare tutti i clienti in campagna entro venerdì 11 febbraio.  Prodotto d’eccellenza da offrire ad una selezionata platea di clienti:  una polizza ridicolmente denominata “La tua scelta”. Si tratta di una polizza mista, un po’ ramo I e un po’ ramo III, a vita intera  ed una protezione del capitale al 91% su un arco temporale di 7 anni: un prodotto adattissimo da proporre ad una clientela terrorizzata, che non se la sente neanche di investire in prodotti garantiti, con orizzonti temporali cortissimi!

L’ordine di scuderia “è già stato eseguito”: impossibile per i consulenti sottrarsi ai comandi, perché le Direzioni di Area, impegnate a monitorare giornalmente le percentuali di lavorazione, hanno minacciato di entrare sulle agende e sui clienti in campagna (come se non l’avessero mai fatto…), per verificare l’autenticità dei contatti!

Ci piacerebbe sapere come vengono selezionati i responsabili della fabbrica prodotti e soprattutto quelli che individuano i potenziali target di clientela interessata… sarebbe bello se venissero ogni tanto a farsi un giro in filiale e parlare con un cliente non solo “potenziale”!

E’ assurdo lavorare in questo modo, pretendere l’applicazione rigida di un metodo commerciale ormai sterile, inefficace e controproducente. Sei appuntamenti al giorno possono rivelarsi del tutto inutili se legati ad algoritmi modellizzati: è meglio un appuntamento solo, ma ben preparato, efficace, fruttuoso. Funziona meglio un metodo che si affidi alla professionalità del consulente, alla sua conoscenza della clientela, alla sua capacità di trovare soluzioni sensate ad esigenze specifiche, rispetto ad un metodo quantitativo che schiaccia le reali necessità dei risparmiatori dentro il tritacarne del nostro conto economico e l’impellenza di “riempire le caselle”.

A cosa serve assegnare  venti diverse priorità, tra a.f.i., risparmio gestito,  nuovi clienti,  focus commerciale, sei ok, e via delirando, quando manca  il tempo per reggere il quotidiano, le incombenze amministrative, le pratiche di successione, non parliamo di curare la formazione e conoscere davvero i prodotti che si vogliono vendere?

A che serve continuare a correre all’impazzata dentro un  treno fuori controllo, con conduttori sempre più isterici, che chiedono di continuo dati che avranno comunque in automatico dopo qualche ora, con l’unico effetto di stressare ulteriormente una rete di vendita già provata da anni di pressioni insostenibili?

E’ ora di dire basta a tutto questo e provare a reagire con strumenti nuovi. Abbiamo sperimentato sulla nostra pelle il fallimento dell’accordo sulle pressioni commerciali siglato ormai 16 mesi fa. L’istituzione della casella iosegnalo@intesasanpaolo.com non è servita a nulla: nessuno ha mai chiarito dove finissero le poche mail spedite da colleghi sfiduciati e diffidenti, da chi e come venissero gestite, quali conseguenze avessero sui responsabili di abusi, quali sanzioni venissero applicate. Quello che non ha funzionato in Intesa Sanpaolo viene oggi esteso a tutto il sistema, con un accordo in sede ABI, ma solo l’ipocrisia generale può vantare come un successo quest’ ulteriore passaggio che rappresenta l’ennesima presa in giro.

Centinaia di delegati sindacali e strutture territoriali delle sigle firmatarie dell’accordo, hanno scritto migliaia di volantini  da cui traspare la sua sostanziale e diffusa disapplicazione: è  l’ammissione implicita della sconfitta. D’altronde, i vertici sindacali che hanno appena firmato l’accordo sulle assunzioni miste hanno perso ogni credibilità nel contrasto delle politiche commerciali aggressive.

Serve un salto di qualità. I lavoratori ed i rappresentanti delle altre sigle in buona fede devono, insieme a noi, operare per documentare nella maniera più precisa possibile comportamenti inappropriati e al di fuori dei princìpi etici, formalmente definiti dall’azienda, quando, addirittura, non sanzionabili sul piano legale.

Di fronte a fatti provati cercheremo di  inchiodare i vertici aziendali alle proprie responsabilità. In ultima istanza resta sempre la possibilità di ricorrere ad esposti e denunce alle autorità competenti.

Dobbiamo coalizzarci per resistere, quotidianamente, in ogni punto operativo, a richieste assurde ed insensate.

Perché non esigere la reale applicazione dell’accordo con l’unico rimedio davvero risolutivo: rendere i budget assegnati coerenti con la reale capacità del mercato di assorbirli e dei lavoratori di realizzarli?

Bisogna mettere testa in quello che si fa e non sparare a casaccio: in guerra vince chi si concentra su pochi obiettivi, utili, ragionevoli, raggiungibili. Puntare a vendere tutto a tutti, senza neanche conoscere in dettaglio quello che si vuole collocare, è sintomo di approssimazione e delirio di onnipotenza.

Come  lavoratori dobbiamo cominciare ad agire sul tema delle pressioni, che è per noi tutti la priorità delle priorità: ne va della serenità del clima lavorativo, dell’integrità della nostra prestazione professionale e della sopravvivenza dell’azienda in cui lavoriamo. E’ urgente parlarne con tutti, iscritti, lavoratori, responsabili,  delegati di altre sigle sindacali “di buona volontà”.

A Torino, il 9 marzo, l’assemblea cittadina (di cui comunicheremo a breve il luogo di svolgimento) sarà la prima occasione per provarci.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. INTESA SANPAOLO

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f.i.p. 21.02.2017

ACCORDO INTESA SANPAOLO SULLE ASSUNZIONI “MISTE”: COME PREPARARE LA DISTRUZIONE DELLA CATEGORIA RIVENDICANDO LA TUTELA DEI PROMOTORI

 

Il punto più importante e controverso dell’accordo sul Protocollo per lo sviluppo sostenibile del Gruppo Intesa Sanpaolo sono le nuove assunzioni di personale iscritto all’albo dei promotori. I
nuovi assunti lavoreranno part time come dipendenti, due o tre giorni alla settimana ed
i restanti come promotori, cioè lavoratori autonomi.

Quello che per i sindacati firmatutto è un positivo ed innovativo accordo, che consente ai lavoratori autonomi (i promotori assunti nell’occasione) di poter godere, in misura molto limitata, di malattia, infortunio e maternità, nonché del “welfare aziendale” (previdenza e sanità integrativa, ma solo nella “veste” di dipendenti), per noi è l’apertura di un processo che, nelle intenzioni aziendali, porterà ad avere lavoratori della rete commerciale con sempre meno stipendio fisso e garantito, su cui scaricare il rischio d’impresa (niente risultati, niente reddito) e risolvendo così il problema delle pressioni alla vendita (i nuovi assunti si “presseranno” da soli).

E’ il caso di ricordare che, in occasione dell’ultimo rinnovo del CCNL, nel documento sulle posizioni ufficiali dell’Abi era ben evidenziata la richiesta di utilizzo più ampio di rapporti di lavoro autonomo per gli addetti alla rete”.

Non ci pare un eccesso di dietrologia ipotizzare che questo accordo potrebbe essere la prima tappa per arrivare al risultato finale voluto dai banchieri. Altrimenti perché mai Intesa Sanpaolo ci teneva tanto a fare queste assunzioni stravaganti, mettendo insieme, nella stessa persona, le figure, totalmente diverse, del dipendente e del promotore?

La motivazione ufficiale dell’azienda di fare queste assunzioni come strumento per acquisire nuove masse gestite non ci convince, così come la possibilità per i nuovi assunti di chiedere, alla fine dei due anni, la conferma come dipendenti, che Intesa Sanpaolo potrà accogliere entro nove mesi con assunzione nell’ambito della regione o di quelle adiacenti.

La filosofia dell’operazione è ben visibile in queste dichiarazioni del segretario della Fabi Sileoni (ma immaginiamo condivise dagli altri firmatutto), rilasciate pochi giorni prima della firma dell’accordo  “In questi giorni, all’interno del gruppo Intesa, le organizzazioni sindacali stanno discutendo sull’opportunità di dare stabilità contrattuale e professionale a quei dipendenti assunti anche con contratto da promotori finanziari (in Intesa sono oltre 5mila, nel settore bancario italiano oltre 40mila). Prevedere nuove flessibilità contrattuali e nuove attività professionali sarà un percorso obbligato per mantenere gli attuali livelli occupazionali del settore e il movimento sindacale, tutto, se ne deve fare una ragione perché è nell’interesse del sindacato allargare il proprio campo d’azione e tutelare al meglio più tipologie di lavoratori, ad iniziare dai giovani. Il Contratto di lavoro scade a dicembre 2018 – conclude – ma le condizioni per un cambiamento radicale devono essere discusse ora perché, nei vari piani industriali, troppe aziende stanno andando in deroga al contratto collettivo nazionale di lavoro”.

E’ davvero grottesco che i sindacati al tavolo, incapaci di difendere i dipendenti di banca, si vantino di voler tutelare i promotori, finendo per agevolare l’obiettivo finale dei banchieri di avere una categoria sempre più debole e ricattabile.

Un obiettivo da raggiungere gradualmente, perchè i banchieri sanno che se la rana viene messa a cuocere nell’acqua tiepida, anziché bollente, non si accorgerà di cosa sta succedendo, ma gli scenari che si aprono sono inquietanti per tutta la categoria.

Grave il contenuto dell’accordo, grave il metodo: ancora una volta, senza consultare i lavoratori e senza chiedere alcun mandato, hanno fatto tutto da soli, come nel contratto del 2012, quando firmarono la manovra sugli orari, con le filiali aperte fino alle 20 ed al sabato mattina con i turni.

La democrazia sindacale è morta, la categoria è allo sbando, siamo rimasti solo noi a difendere il fortino. Aspettiamo i rinforzi.

 

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Banco di napoli: filiali al freddo INACCETTABILE

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Come accade almeno due volte l’anno, ancora una volta assistiamo alla pantomima dell’aria condizionata. Locali caldi in estate e freddi in inverno. Decine di telefonate alle strutture aziendali competenti, elenchi lunghissimi di punti operativi da visitare, attese di giorni e i disagi per i lavoratori persistono.

La risposta più irritante, in tali casi, è: se fuori aumenta il caldo evidentemente anche all’interno aumenta la temperatura. Viceversa con il freddo. Figuriamoci con il gelo di questi giorni.

Replichiamo a queste opinabilissime eccezioni che, in casa di ognuno di noi (almeno tra tutti quelli che hanno il privilegio di possedere climatizzatori) questo differenziale non esiste: se all’esterno la temperatura è caldissima, all’interno si regola il condizionatore in modalità corrispondente e non si avverte il picco esterno, seppur limitato nel tempo. Se all’esterno la temperatura è rigida e va sottozero, all’interno si può anche stare in maniche di camicia.

Perché tutto ciò non può accadere nei luoghi di lavoro e, segnatamente, in tanti punti operativi del Banco di Napoli? Perché non consentire, dappertutto incondizionatamente, che i punti operativi possano calibrare la temperatura interna sulla scorta delle proprie esigenze?

E‘ utile richiamare il codice etico (approvato dal CdA del gruppo) che al capitolo “Principi di condotta nelle relazioni con i collaboratori”, paragrafo “il rispetto delle persone”, al penultimo alinea così recita: “rendiamo più agevole il lavoro semplificando prodotti, procedure e forme di comunicazione e garantiamo la salute e la sicurezza con misure sempre più efficaci”.

E’ utile richiamare il D. Lgs. 81/2008 (T.U. sulla salute e sicurezza sul lavoro) che al Titolo II Capo I  All IV (requisiti dei luoghi di lavoro) al punto 1.9 (microclima) comma 1.9.2 (temperatura nei locali) così recita:

“la temperatura nei locali di lavoro deve essere adeguata all’organismo umano durante il tempo di lavoro, tenuto conto dei metodi di lavoro applicati e degli sforzi fisici imposti ai lavoratori. Nel giudizio sulla temperatura adeguata per i lavoratori si deve tener conto della influenza che possono esercitare sopra di essa il grado di umidità ed il movimento dell’aria concomitanti. Quando non è conveniente modificare la temperatura di tutto l’ambiente si deve provvedere alla difesa dei lavoratori contro le temperature troppo alte o troppo basse mediante misure tecniche localizzate o mezzi personali di protezione”.

E’ utile richiamare l’ l’INAIL che  raccomanda di mantenere negli uffici una temperatura di almeno 18° e massimo 22° in inverno. In estate la differenza tra temperatura esterna ed interna non deve superare i 7°.

Dobbiamo ancora fare leva sulla pazienza e tolleranza dei lavoratori, vederli in canottiera in estate e con i giacconi in inverno, o possiamo pretendere il rispetto delle norme vigenti e dell’esercizio del buon senso ?

 

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ACCORDO UBI: COSA C’E’ SOTTO L’ALBERO DI NATALE?

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Commentare un accordo, come quello firmato dalle OO.SS riguardo al nuovo piano industriale 2017/2020, necessita inevitabilmente di alcune premesse perché un patto o un contratto è buono o cattivo solo relativamente al contesto in cui nasce.
Per una banca sull’orlo del fallimento, come potrebbe essere il caso di MPS, Popolare di Vicenza e Carige, solo per citare le più significative, mantenere le posizioni  o anche lasciare sul terreno dello scontro qualche vittima sacrificale può ritenersi  una vittoria.

Ma non è il caso di UBI, che sforna utili, distribuisce dividendi, viene elogiata all’unisono dal mercato ed ha amministratori che non perdono occasione ad ogni trimestrale per mostrare quanto è  bella e brava la loro azienda.
Ubi  viene considerata da tutto l’establishment economico/finanziario come una delle banche più solide, sane e redditizie del panorama generale, vincitrice del titolo  ‘’banca dell’anno’’ del Financial Time nel 2014, e che si è aggiudicata il certificato di banca ‘’top employers’’ nel 2015 per la gestione del personale. La BCE individua in UBI l’istituto in grado di rilevare le good bank proprio grazie alla sua solidità patrimoniale ed alla capacità di generare redditività.

Magari la realtà non è esattamente questa, ma certamente era ipotizzabile di nutrire qualche ambizione in più  al tavolo di trattativa, magari presentando una piattaforma su cui ottenere l’approvazione dei lavoratori ed il sostegno ad eventuali azioni di lotta. Magari, visto che siamo in periodo di grandi innovazioni tecnologiche, si poteva ricominciare a discutere (almeno discutere) di riduzione d’orario a parità di salario.

Invece nulla di tutto ciò: citando il volantino dei sindacati firmatari, vi è stata “una trattativa che – iniziata quasi 5 mesi fa – ha conosciuto momenti di grande difficoltà e di estrema tensione tra le Parti che in più occasioni hanno reso incerto il suo esito”.  In assenza di obiettivi di partenza su cui misurare il risultato finale, dovremo credere sulla parola a chi sedeva al tavolo e sostiene di aver ottenuto il massimo possibile. Insomma, il solito metodo censurabile, oltretutto per una trattativa che è solo una parte di un’operazione più complessa per arrivare ad un contratto aziendale unico.

Proviamo a vedere un po’ meglio com’è andata.

Nella premessa all’accordo troviamo la  solita lamentazione sul ‘’ perdurare di una situazione di mercato difficile e che quindi si rende necessario l’intervento previsto nel piano industriale’’, che prevede, a regime, una perdita di 2750 dipendenti, chiusura di sportelli, tagli sul costo del personale e via cantando.
Per quanto riguarda le spiegazioni,  aspettiamo le assemblee che le OO.SS dovrebbero indire a breve, sperando che almeno questa volta possano partecipare tutti i lavoratori e non solo quelli nei grandi centri urbani o nelle sedi centrali!!

I più temerari potrebbero avventurarsi nella lettura sempre criptica del testo, ma in sostanza  possiamo affermare che, per chi andrà in esodo, vi sarà una minore copertura economica  rispetto all’accordo sugli esodi precedenti, con l’assegno che passa dall’85 all’80% dell’ultima retribuzione: tanto la voglia di fuga, presente in categoria, non verrà meno per questa sforbiciata.
Sono previste uscite per 600 dipendenti in questa prima fase e altri 700 a partire dal 2018 con un impegno ad assumere 200 risorse entro tale data  (dovranno essere 1100 le nuove assunzioni da qui al 2020 …ce la faranno i nostri eroi??) e la stabilizzazione (col job’s act si fa per dire…) di 96 .

Confermate le giornate di cassa integrazione volontaria . ..ehm scusate le giornate di solidarietà pagate al 40% per un totale di almeno 130.000 giornate (anche in questo caso non dubitiamo del successo dell’iniziativa). Viene proclamato  di nuovo un generico impegno a ridurre le spese amministrative e di consulenza, nulla di quantificato e quindi nulla di più aleatorio.

Da sottolineare la mancanza ormai cronica di personale e lo stato di emergenza generale che vivono moltissime filiali, con colleghi costretti a prestare soccorso sistematicamente ad altre unità per poter aprire la cassa: situazioni all’ordine del giorno, che imporrebbero non una dichiarazione di esuberi ma, al contrario, la necessità di assunzioni ben oltre lo stato attuale degli organici.
Stride, quindi, la conferma della stretta sugli straordinari, che, per decreto divino, nel 2017 non potranno essere autorizzati oltre il limite predefinito per il 2016: questo non significa che non ci sarà un maggior numero di ore di straordinario, ma che non verrà compensato nulla oltre tale limite e ci sarà lavoro regalato all’azienda! Naturalmente nessun alibi per nessuno sul raggiungimento del budget, sia chiaro!!!

E’ stata unificata una parte dell’integrativo per tutti i dipendenti delle 7 banche, di fatto prendendo come riferimento il migliore e livellandolo verso il basso, per cui alcuni dipendenti riceveranno qualche briciola, mentre altri perderanno qualcosa: ognuno dovrà leggersi l’accordo e, in base alla banca di provenienza, capire se avranno vantaggi o meno riguardo buoni pasto, mobilità, rimborsi chilometrici, indennità di rischio, indennità di sostituzione, indennità di turno, contributo monoreddito, borse di studio, TFR.

Forti malumori sono già stati registrati per l’accettazione della norma che prevede, per i nuovi mutui, un ottimo tasso parametrato all’euribor (con un minimo dello 010%), che però non si potrà estendere a coloro che il mutuo lo hanno già in essere. Una discriminazione inaccettabile, che penalizza fortemente chi attualmente paga l’1,50%!!! A parziale compensazione si è stabilita la possibilità di optare per un tasso fisso legato all’eurirs + uno spread di 0,50.

Sono stati confermati i contenuti dell’accordo  del 14 agosto 2007 relativo alle garanzie di UBISS.

In definitiva un accordo interlocutorio che  mantiene aperte numerose incognite.
Considerando le premesse iniziali del commento e  la valutazione che abbiamo dato nel nostro precedente volantino, il nostro giudizio è di insoddisfazione nel metodo e nel merito, Si conferma, ancora una volta, la necessità impellente di un sindacato diverso, conflittuale, e della ripresa del protagonismo e della partecipazione dei lavoratori se non vogliamo continuare ad arretrare.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. UBI Banca

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cicl in p 5-1-2017

 

 

INTESA SANPAOLO: COME TI TRASFORMO I CONSULENTI IN PROMOTORI (CON LA COMPLICITA’ DEI SINDACATI FIRMATUTTO?)

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E’ in corso la trattativa sul Protocollo di sviluppo sostenibile del Gruppo. Tra i punti più importanti in discussione ci sono il pensionamento volontario e agevolato per il personale che matura il diritto entro il 2018 e la possibilità di trasformazione

del rapporto di lavoro a part time per chi maturerà il diritto entro il 2020, con l’azienda disponibile a pagare l’intera contribuzione previdenziale (compresa la quota a carico del lavoratore) come se si lavorasse a tempo pieno.

A fronte di questi part-time “agevolati”, l’azienda però chiede (con nonchalance) di poter procedere “sperimentalmente” all’assunzione di iscritti all’Albo dei promotori finanziari con modalità davvero originali: i nuovi lavoratori sarebbero dipendenti per 2 o 3 giorni della settimana e promotori (consulenti finanziari) per i giorni rimanenti.

Non occorre essere dei geni per capire che quello che interessa all’azienda (e all’ABI di cui Intesa Sanpaolo è in questo caso l’apripista) non è tanto un nobile scambio tra riduzione volontaria di orario dei lavoratori anziani e nuova occupazione giovanile, quanto l’introduzione surrettizia di una figura professionale ibrida la cui potenzialità devastante sull’integrità della categoria (e sui suoi livelli salariali) è del tutto evidente.

Non a caso si aggiunge da subito la richiesta di poter applicare (sempre sperimentalmente e volontariamente per carità…) tale modalità contrattuale anche all’attuale personale iscritto all’Albo Promotori che maturi i requisiti pensionistici entro il 2020 e, addirittura, la disponibilità ad accogliere eventuali richieste provenienti da gestori personal abilitati all’offerta fuori sede che fossero interessati (quale magnanimità …)!

Ora, noi non sappiamo, nell’attuale devastato quadro giuridico, quali possibilità abbia l’azienda di procedere su questa strada per conto proprio. Se ritiene di poterlo fare lo faccia. Quello che, secondo noi, sarebbe di una gravità assoluta è se tale progetto trovasse un qualsivoglia avallo e una firma da parte dei sindacati “trattanti”. Sarebbe un fatto di una gravità pazzesca anche perché è chiaro che un tale accordo farebbe da battistrada per tutto il settore.

Altro che “nuovo modello di banca”; altro che lotta alle pressioni commerciali. Il nuovo Frankenstein della consulenza sarebbe un lavoratore con un minimo garantito basso, precario, ricattabile, immerso nei conflitti di interesse, stressato e stressante.

Il compito di un sindacato minimamente responsabile non può che essere quello di organizzare da subito la lotta e la resistenza ad un simile progetto coinvolgendo anche l’opinione pubblica. Non a caso, anche all’interno delle sigle “firmatarie” (e principalmente nella Fisac-Cgil), crescono le preoccupazioni (e qualche documento di dissenso sta uscendo).

Dobbiamo fermare questo grave attacco alla categoria e strappare il velo di silenzio che sta accompagnando questa trattativa. Nessuno si azzardi a firmare alcunché prima di aver convocato le assemblee ed essere venuto a spiegare a lavoratrici e lavoratori cosa sta combinando.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Gruppo Intesa Sanpaolo

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INTESA SANPAOLO: VOGLIAMO FARE UNA BATTAGLIA SERIA CONTRO LA VERGOGNOSA SITUAZIONE DELLE “CASSE”?. NOI CI SIAMO!

DA CUB-SALLCA INTESA SANPAOLO RSA TORINO E PROVINCIAbaratrob
A ISCRITTE/I, LAVORATRICI E LAVORATORI

Care e cari,

nei giorni scorsi è uscito un volantino dei sindacati “firmatari” di Intesa Sanpaolo Torino e Provincia sulla penosa situazione del servizio di cassa nelle filiali.
Ne condividiamo integralmente il contenuto, eccetto che per un aspetto (non secondario).

Non solo a Torino e provincia ma in tante altre regioni d’Italia (tutte?), ci siamo ormai abituati a leggere prese di posizione “di fuoco” da parte dei sindacati “firmatari” che, come la nostra lettera aperta a Barrese (di poche settimane fa), non fanno che registrare una realtà ormai insopportabile.
C’è appunto solo una questione: non succede mai un c.. di nulla!! Noi riteniamo che alle parole non possano che seguire i fatti!

In questi giorni, nei nostri periodici giri delle filiali, stiamo sollecitando le colleghe ed i colleghi a prendere posizione rispetto alla nostra idea di fare uno sciopero importante contro le politiche commerciali della banca, fonti di tutti i problemi che quotidianamente devastano il clima lavorativo. Ovviamente, registriamo disponibilità (quando non entusiasmo) da parte dei nostri iscritti e simpatizzanti. Ma la risposta prevalente è di scetticismo: a cosa serve lo sciopero se lo proclamate solo voi?

Questa risposta sottintende un grave errore di valutazione ma anche un elemento di verità.
L’errore consiste nel pensare che questa o quella organizzazione sindacale possano risolvere, da sole, i ostri problemi quando sta proprio in noi la capacità di reagire e cambiare lo stato di cose esistenti.
L’elemento di verità è che si riconosce al Sallca coerenza e disponibilità a promuovere e sostenere le lotte ma che si hanno forti perplessità sulla determinazione “reale” delle sigle “firmatarie” ad uscire dal solito gioco della parti.

Per quanto ci riguarda, siamo immediatamente pronti a sederci attorno ad un tavolo con le altre sigle per decidere tempi e modalità di un’iniziativa di lotta, a partire dal livello torinese, che sia l’inizio di una reale battaglia di opposizione alle strategie della banca.
Sarebbe importante che le lavoratrici ed i lavoratori sostenessero questa nostra disponibilità.

Nel frattempo… noi andiamo avanti e abbiamo già provveduto a presentare nuovi esposti a due Asl (dopo quello già andato a segno sull’Asl di Rivoli) sul tema dello stress lavoro correlato (ovviamente facendo riferimento anche alle martellanti campagne commerciali ed altre amenità legate al “metodo”).

Ed ai cassieri (scusate, gestori di base…) continuiamo a ricordare che è loro diritto fare le pause previste (dalla colazione al pranzo) e loro dovere chiudere negli orari prestabiliti nelle diverse filiali: non lo diciamo noi, lo dice l’azienda. Proseguire a chiamare i clienti dopo l’orario viola le norme aziendali e spetta ai responsabili attivarsi chiudendo per tempo porte o distribuzione di numeri, spiegando in ogni caso ai clienti che oltre l’orario della filiale le casse non devono operare.

Cub-Sallca
Intesa Sanpaolo RSA Torino e provincia

RESOCONTO DELLA RIUNIONE DEI LAVORATORI E DELLE LAVORATRICI DEI CENTRI IMPRESE DI INTESA SANPAOLO DI TORINO E PROVINCIA

La riunione per i Centri Imprese ha visto una buona partecipazione, sia quantitativa, sia qualitativa, perchè la relazione introduttiva è stata tenuta dai  lavoratori ed è stata lo spunto per numerosi interventi dei presenti.
Il filo conduttore della riunione è stato “vogliamo lavorare bene”, baratrobma questo obiettivo trova continui ostacoli.

 

NUOVO MODELLO DI SERVIZIO

Questo ha impattato notevolmente anche sui centri imprese e con molti elementi di negatività: selezione inadeguata dei profili dei  clienti girati ai centri imprese, riportafogliazione automatica continua con cambio della tipologia di clientela, insufficiente collegamento con le filiali retail, trascuratezza del ruolo del settore Estero.

Un altro problema evidenziato è quello dello scollamento degli altri attori del processo commerciale   (es. Pricing, Mediocredito Italiano ecc.) che invece di essere un supporto diventano un ostacolo al raggiungimento dei risultati.

In questo contesto vi è stato un  cambiamento radicale del ruolo del gestore, avvenuto senza rafforzamento o efficientamento della struttura.

 

ANSIA DA PRESTAZIONE

Oggi al gestore viene  richiesta maggiore intensità commerciale, 10 appuntamenti a settimana, prevalentemente da effettuarsi fuori sede con pianificazione puntale di ogni attività (preparazione incontro, scheda relazione cliente, piano cliente ecc.), la conoscenza di un numero sempre maggiore di prodotti da offrire ai clienti (in un’ottica di consulenza a 360°).

Si assiste alla moltiplicazione di report da dover rendicontare in aggiunta a quelli ufficiali (file excel di dominio pubblico con indicazione di nomi gestori).

Tutte queste attività aggiuntive sono da affiancarsi alle attività tipiche di concessione e gestione del credito, che sembrano paradossalmente meno importanti dell’aspetto commerciale/metodo che, invece di essere uno strumento, diventa il fine ultimo del lavoro del gestore. Lo si vede anche dall’attenzione spasmodica sui derivati come fonte primaria di reddito, anche su operazioni di importo che, fino all’anno scorso, veniva considerato non adatto alla copertura.

Insomma, le pressioni esercitate non hanno nulla da invidiare a quelle esistenti nelle filiali retail e personal: alcuni responsabili chiedono in modo pressante di giustificare il mancato raggiungimento dei 10 appuntamenti settimanali (come se i gestori non avessero altro da fare!), chi resta indietro viene minacciato di essere affiancato da un tutor, escono le classifiche sulle filiali e chi non fa risultati sufficienti o non applica il “metodo” rischia il “commissariamento” della terribile “task force”.

Il risultato di quanto sopra è la difficoltà sempre più diffusa nel trovare colleghi che vogliano fare il gestore.

 

VALORIZZAZIONE DEL MERITO

Viene da ridere quando si sente parlare di valorizzazione del merito: l’azienda sponsorizza sempre più (anche verso l’esterno) che la forza di Intesa Sanpaolo arriva dalla qualità delle sue PERSONE, ma ciò non si sta concretizzando in vera valorizzazione del merito in termini di percorsi professionali adeguati e premi ai risultati.

I nuovi percorsi professionali sono un deciso passo indietro, discorso valido anche per i territori Retail e Personal, con un aggravio per il mancato riconoscimento della professionalità dell’addetto imprese o dello specialista estero.

Per i gestori Imprese  si vede sempre più lontana la possibilità di una crescita professionale che sia adeguata anche da un punto di vista economico, in quanto un eventuale portafoglio di maggiore peso e responsabilità  non corrisponde ad un riconoscimento economico o di inquadramento superiore, poiché il concetto di complessità viene stabilito arbitrariamente dall’azienda (e assolutamente in maniera non trasparente) con algoritmo che “pesa” più il numero dei clienti in portafoglio che la dimensione o le difficoltà gestionali delle imprese clienti.

Inoltre il premio variabile di risultato è costruito con un meccanismo di raggiungibilità sempre più difficile e di poco controllo (indicatori numerosissimi e che variano di mese in mese, peso maggiore della customer satisfaction che riguarda talvolta aspetti generali dell’istituto e non della filiale/gestore, obiettivi che si scontrano con strategie della banca come la crescita degli impieghi totali in attuali condizioni di mercato e con politica dei prezzi orientata al repricing). Per non parlare poi dell’entità dell’eventuale premio, sempre più ridotto e inversamente proporzionale agli obiettivi di distribuzione dei dividendi agli azionisti (3mld nel 2016 vs 2mld nel 2015).

Il problema di fondo è che anche nei centri imprese che, come ovvio, hanno specificità legate alla capacità di valutare l’erogazione di credito, le capacità professionali vengono scambiate per capacità di “vendita”.

 

GESTIONE DEL PERSONALE E PROBLEMI ORGANIZZATIVI

Il nuovo modello di servizio ha portato degli importanti cambiamenti anche in termini logistici e organizzativi. L’aggregazione di filiali di grandi dimensioni ha creato strutture troppo complesse sia in termini di spazi non adeguati, sia in quelli della gestione delle risorse umane. Si stanno verificando casi di conflittualità interna tra coordinatori (e qui si potrebbe discutere sul processo di selezione degli stessi – anima solo commerciale e non gestione delle persone) della stessa filiale, che non fanno altro che alimentare in senso negativo il clima di filiale già compromesso per le pressioni commerciali di cui sopra. In questo senso le capacità e le modalità gestionali dei responsabili giocano un ruolo decisivo.

La vicinanza dell’ufficio personale alle risorse è sempre più scarsa: mancata attenzione a colleghi che per motivi di salute chiedono di cambiare mansione, assenza di visione sul futuro (pianificazione di ricambio generazionale per struttura estero) ecc..

Viene segnalata, anche qui, una scarsa disponibilità a riconoscere la compensazione per le prestazioni straordinarie.

In generale i diversi centri imprese sono diventati delle repubbliche autonome, con diverse modalità organizzative, soprattutto nella distribuzione di carichi di lavoro e competenze tra gestori, addetti e settore Estero. Quest’ultimo è stato, di fatto, abbandonato dall’azienda, considerato poco o nulla e questo è dimostrato anche dalla totale assenza di formazione di colleghi più giovani per una mansione che è specialistica e non può essere improvvisata. In questo caso alle tante chiacchiere sono corrisposti pochissimi fatti ed i buoni propositi manifestati dall’azienda non sono mai stati messi in pratica.

 

In definitiva, anche la riunione dei lavoratori dei centri imprese ha confermato, con le proprie specificità, quanto emerso nelle riunioni che hanno coinvolto assistenti alla clientela e gestori retail e personal: disposizioni calate dall’alto senza nessuna attenzione per le conoscenze e le esperienze dei lavoratori, attenzione assillante per i risultati commerciali, scarso apprezzamento per la reale professionalità dei colleghi, condizioni ambientali di lavoro degradate.

Tutto questo conferma che dobbiamo unire le forze per ripristinare ambienti di lavoro vivibili e tutelare dignità e salute di lavoratori e le lavoratrici.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Federazione Regionale Piemonte

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