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INSIEME CONTRO IL BARATRO N. 8

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In questo numero proponiamo l’ultimo contributo che ci arriva dall’Emilia, che ironizza sulle aspettative aziendali rispetto alle performance dei bancomat di ultima generazione. Spesso i dati sul loro reale utilizzo vengono taroccati con vari stratagemmi, che non staremo qui a svelare, visto che questa rubrica pare essere letta anche ai “piani alti”.

Accanto a questo contributo spassoso, vogliamo provare a rispondere alle tante richieste di “gestori in crisi di vocazione”, che ci chiedono come fare a resistere alle pressioni commerciali sempre più asfissianti.

La soluzione non è certo a portata di mano e, accanto alle nostre iniziative di denuncia in varie sedi, l’unico comportamento che possiamo consigliare è quello di lavorare secondo coscienza, restando, per quanto possibile, indifferenti alle pressioni improprie.

Va fatto un grande sforzo mentale per convincersi (potremmo suggerire di mettersi davanti ad uno specchio e ripetersi più volte queste considerazioni) che chi lavora secondo coscienza (per chi ce l’ha naturalmente) lavora bene, mentre chi lavora in modo superficiale e spericolato, pur di raggiungere o superare gli obiettivi fissati, lavora male, nonostante vari responsabili cerchino di convincerci del contrario.

Al di là del fatto che, contrattualmente, noi abbiamo un orario di lavoro definito, nel corso del quale dobbiamo operare al meglio per eseguire le disposizioni aziendali (quelle vere, non quelle inventate) e non ci sono budget da raggiungere obbligatoriamente, ricordiamo che la miglior tutela ce la fornisce l’azienda, quando nelle norme relative agli investimenti ci ricorda che, in caso di conflitti tra l’interesse del cliente e quello della banca, va privilegiato quello del cliente.

Inutile ribadire, anche, l’attenzione al fatto che, nella foga di raggiungere gli obiettivi assegnati, si possono fare forzature e violazioni alla normativa che, una volta emerse, possono fare scattare sanzioni disciplinari.

Questo va tenuto presente perchè spesso i responsabili tendono a stilare classifiche, per chiedere poi spiegazioni a chi resta più indietro nelle “vendite”. In questo caso torniamo a quanto scritto all’inizio (e da ripetere davanti allo specchio).

Il nostro consiglio finale, quindi, è di lavorare in modo sereno e secondo coscienza (per chi ce l’ha naturalmente), rivendicando con fermezza la correttezza del proprio operato, rispettando le normative e restando indifferenti a pressioni improprie ed all’assegnazione di obiettivi tanto improbabili, quanto non vincolanti. Così facendo, state pur certi, lo stress lavoro-correlato non verrà a voi, ma a qualche responsabile troppo zelante.

Torneremo su questo tema con analisi più approfondite e qualche proposta più forte. Intanto consigliamo di tenere traccia di tutto quello che accade. Alleghiamo un volantino dei sindacati firmatari che esplicita un caso di utilizzo della casella “Iosegnalo”. Le parole del direttore in oggetto non meritano commenti. Vediamo cosa farà l’azienda a fronte di una denuncia così precisa. Purtroppo la maggior parte dei responsabili che “esagera” non è così sprovveduto da mettere in forma scritta certi discorsi, però sarà interessante verificare gli sviluppi di questo caso.

INTESA SANPAOLO: CLIMA LAVORATIVO IN COSTANTE PEGGIORAMENTO, ACCORDI DI SECONDO LIVELLO ALLA PROVA DEI FATTI. PROVIAMO A RISPONDERE SUL SERIO?

La “narrazione” che emerge dai comunicati dei sindacati firmatari asseconda la tesi che gli accordi sono buoni, ma l’azienda non li applica come si deve. Il tutto ricorda le giustificazioni rispetto al problema degli orari estesi: in quel caso, nel contratto nazionale, senza consultazione preventiva dei lavoratori, era stata introdotta l’apertura degli sportelli dalle 8 alle 20, più il sabato mattina, senza nessun vincolo aziendale. Quando questa possibilità è stata attuata, praticamente ad organici invariati, la “colpa” era dell’azienda che l’applicava senza criterio.

Ora la storia si ripete ed il 7 aprile un comunicato unitario affermava perentoriamente: “chiediamo all’azienda impegni precisi sull’applicazione del Contratto di Secondo Livello e tempi definiti per le comunicazioni delle complessità e per l’erogazione delle indennità di ruolo e di quelle di direzione e sostituzione”.

Se ogni volta ci si deve lamentare della mancata/ritardata/maldestra applicazione degli accordi, o i sindacati firmatari sono sprovveduti (per usare un eufemismo), o forse il problema risiede negli accordi stessi e nella scarsa affidabilità della controparte (non ci siamo dimenticati del licenziamento, poi rientrato, degli apprendisti nel 2012, usato come arma di  ricatto nella vertenza in corso).

Noi siamo stati gli unici a contestare gli accordi di secondo livello (peraltro approvati con un’ampia percentuale, sul piano nazionale, dai lavoratori che hanno partecipato alle assemblee), nel metodo e nel merito. Il metodo è stato quello di una piattaforma presentata solo dalla controparte, con proposte già definite, emendate per quanto possibile dai sindacati al tavolo e poi firmate. Parlare di trattativa, in questa situazione, ci pare azzardato. Nel merito gli accordi (non tutti nella stessa misura) lasciavano ampio spazio alla discrezionalità aziendale, oltre a presentare caratteristiche di scarsa chiarezza, elevata complessità, difficile esigibilità.

Dopo sette mesi dalla firma, possiamo verificare gli effetti dell’accordo, in particolare sui temi “caldi”  del Premio Variabile di Risultato (PVR) e delle pressioni commerciali.

Sugli altri temi rimandiamo ai comunicati dei sindacati firmatari per i dettagli, ricordando solo gli inaccettabili ritardi aziendali rispetto alle comunicazioni sulla complessità dei portafogli, ai  pagamenti di indennità per coordinatori Retail e Imprese, direttori di filiale, direttori di Area,  alle tematiche della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Tutto questo senza dimenticare che sugli inquadramenti l’accordo fa passi indietro rispetto ai precedenti per quel che riguarda la rete filiali (peraltro, sistemata la parte che gli interessava, l’azienda si è dimenticata degli inquadramenti dei lavoratori del resto della banca) e che dai comunicati territoriali dei sindacati firmatari, emergono episodi di diniego nella concessione delle giornate di sospensione volontaria (la cui richiesta, complessivamente, ha raggiunto la quota di 95.000).

Sull’argomento del nuovo Fondo Pensioni torneremo con un volantino specifico.

Che succede sul Premio Variabile di Risultato (PVR), una delle “conquiste” del contratto nazionale, che supera la divisione tra Vap e sistema incentivante e pone le basi, secondo i firmatari, per controllare la discrezionalità aziendale sul salario variabile?

Qui lasciamo la parola al comunicato unitario, che sarebbe perfetto se non fosse che l’accordo l’hanno firmato loro:

“abbiamo inoltre denunciato che, dopo la pubblicazione della circolare sul Premio Variabile di Risultato 2015 (PVR) il clima nella filiali, già compromesso dalle pressioni commerciali, è ulteriormente peggiorato. Le schede (scorecard) in merito al riconoscimento della quota di eccellenza del PVR sono eccessivamente complesse (sembra infatti più semplice leggere e comprendere un geroglifico egizio!) ma, quello che è peggio, è la variazione delle “regole di ingaggio” per l’eccellenza.La mancanza di chiarezza e la variazione delle regole di ingaggio creano forte sfiducia tra i colleghi”.

Ritorna la domanda: dabbenaggine o malafede?

Disarmante è la situazione sulla parte delle pressioni commerciali. In buona sostanza, l’unico effetto dell’accordo è che le pressioni scritte (via mail) sono state sostituite da pressioni verbali. I colleghi sono restii a segnalare gli episodi anche con lo “schermo” sindacale. D’altronde cosa segnalare? L’unico esempio richiamato nell’accordo, cioè i continui report richiesti, è già stato ridimensionato dalle funzioni aziendali: i report non sono vietati, è vietata solo la loro  “ridondanza”.

Noi stessi avevamo invitato i lavoratori ad usare la casella “Io segnalo”, per non dare l’idea che tutto andasse bene, ma fin dall’inizio sapevamo che sarebbe stato difficile e che l’accordo, in questi termini, non risolveva nulla, mentre regalava all’azienda una patente  di “eticità”.

La questione vera è che le pressioni commerciali costituiscono ovunque l’essenza stessa dell’attuale modello di banca, con un paio di specificità di Intesa Sanpaolo.

La prima è un piano industriale ambizioso e irrealistico, perchè pretendere di fare utili a livelli mostruosi mentre l’economia ristagna (quella mondiale e ancor più quella italiana) non ci pare molto etico e certamente richiede di “spremere” oltre misura la rete.

La seconda è un modello organizzativo (il nuovo modello di servizio inaugurato il 19 gennaio del 2015) pensato “scientificamente” per mettere sotto pressione i gestori, attraverso filiali più piccole e la supervisione opprimente dei direttori di area.

Ovviamente un sindacato che scarta a priori l’idea del conflitto non può cambiare né un piano industriale, né l’organizzazione del lavoro che l’azienda si è scelta (e che è in continua mutazione) ma, oltre a negoziarne le ricadute (il che presupporrebbe, comunque, l’esistenza di una propria piattaforma da contrapporre a quella aziendale),  dovrebbe almeno contrastare le violazioni di legge e contrattuali che le iniziative aziendali possono determinare.

Questo vuol dire che quando si crea un numero ingente di ore di lavoro straordinario giustificate con NRI (presenza senza prestazione lavorativa), per non parlare di altre forme di straordinario non dichiarate, occorre prendere atto e denunciare la verità: tutto ciò costituisce evasione fiscale e contributiva.

La divisione delle filiali tra Retail e Personal crea disagi ai lavoratori (sia per le difficoltà operative, sia per le clamorose carenze di formazione), fa aumentare le pressioni commerciali e lo stress lavorativo: tutto questo viola il DL 81/2008 sulla salute e sicurezza.

Se viene deciso che le casse debbano essere ridotte, non esitando a lasciare i clienti in coda per tempi interminabili, determinando costanti situazioni di tensione per il colleghi, bisogna dirlo:   anche questo viola il DL 81/2008 sulla salute e sicurezza.

Se nonostante i ripetuti richiami, peraltro fatti anche dai sindacati firmatari, l’azienda persevererà con queste violazioni di legge, la denuncia alle autorità competenti sarà inevitabile.

La tensione verso risultati ad ogni costo sta creando un pericoloso stato di delirio di onnipotenza  tra alcuni responsabili, il clima intimidatorio non si respira solo nelle filiali, ma anche nelle sedi. Si afferma un senso di impunità dei comportamenti gestionali scorretti e si afferma l’idea che tutto oramai sia lecito in nome dei risultati.

Questa deriva va contrastata con fermezza e sarebbe opportuno che, perlomeno, gli accordi non finissero per avallare certe scelte aziendali, che vanno respinte. Lo stato di malessere dei lavoratori, ormai generalizzato, può essere risolto solo con un’azione incisiva che contempli anche l’avvio di iniziative conflittuali.

TRA I DUE LITIGANTI (BRESCIA e BERGAMO) IL TERZO GODE (FONDI)

ubi-bresciani-per-storia-e-per-tradizioneEcco l’inevitabile effetto della trasformazione delle popolari in spa voluta dal governo con un decreto varato in fretta e furia e prontamente recepito da UBI Banca: siamo nelle  mani dei fondi comuni.

Certo che, se Bergamo e Brescia avessero messo da parte antichi rancori e avessero unito le forze (al di là della lista comune presentata in assemblea),  probabilmente la lista di Assogestioni non avrebbe raccolto il 51% dei consensi, ma ormai è tardi per piangere sul latte versato, anche se qualcuno a Bergamo sta gia’ pensando di rafforzare il patto dei soci per cercare di pesare di più e arrivare almeno al 5% (oggi vale il 3%).

Che la cosa debba preoccuparci o meno rispetto alla gestione precedente, quando sulle ‘’cadreghe’’ della stanza dei bottoni sedevano le ricche famiglie di Bergamo e Brescia, lo vedremo a breve, visto che a giugno sarà pronto il nuovo piano industriale e per fine anno è prevista la nascita della banca unica che farà definitivamente sparire ogni campanile che, da sempre, ha rappresentato valori, tradizioni ma soprattutto poteri locali che dal 02/04/2016, data dell’assemblea per il rinnovo del CDS, sono stati soverchiati dai vari Blackrock e Silchester di turno che, da soli, ora detengono il 10% del capitale azionario.

La presenza ingombrante dei fondi comuni nel capitale non sarà comunque ribaltata automaticamente nel nuovo  CDS, in quanto solo 3 dei 15 consiglieri ne sono espressione diretta.

I vertici di UBI sono stati confermati, Moltrasio rimane il presidente e serafico afferma:  ‘’una quasi sconfitta che fa piacere’’ e che dimostra  la bontà della gestione precedente. Il fondo rimane sullo sfondo…ma la presenza e’ inquietante.

Ma cosa cambierà per noi lavoratori di questa azienda in questo nuovo contesto ?

Quali nuove strategie per vincere la sfida del mercato  verranno ora attuate? Che influenza avranno ora questi fondi sulle decisioni di governance visto che ora i ‘’padroni’’ del capitale non sono più i nostri  ricchissimi compaesani, ma qualche inafferrabile ed evanescente realtà rappresentata da circa 750 fondi?

Da tempo l’economia capitalista ha visto cambiare gli assetti proprietari, sempre più è gestita e controllata dal potere finanziario, che si esprime con nomi altisonanti come fondi sovrani, hedge funds, fondi comuni, sicav, ecc.. Questi organismi, spesso opachi nella loro attività, detengono  grandissimi pacchetti azionari, sono presenti nelle più grandi aziende multinazionali del mondo e possono decidere le sorti di una società o dell’economia di uno stato semplicemente spostando i loro asset con un semplice click. Basti pensare che solo Blackrock è presente in vari settori per circa 4500 mld di dollari (il doppio del nostro debito pubblico).

Difficilmente costoro presteranno particolare attenzione per il territorio specifico cui appartenevano le banche o al benessere del personale (ammesso che prima lo si facesse) come ai tempi di Ubi ‘’popolare’’, se non sarà più che conveniente dal punto di vista economico, ma del resto questo è il mercato bellezza.

Insomma, dal modello paternalistico/clientelare rischiamo di passare direttamente al modello più spregiudicato di stampo anglosassone. Non pensiamo che per superare un modello sbagliato si debba passare ad uno ancora peggiore.

Questa vicenda deve indurre a riflettere su qual’è il modello di banca più utile per i cittadini e per il paese e la riflessione deve partire dall’alto, ma coinvolge anche noi lavoratori quando, in veste di  “consulenti’’, proponiamo determinati prodotti.

I nodi irrisolti del sistema bancario italiano stanno venendo al pettine e le nostre idee su modello di banca e ruolo dei bancari sono sicuramente ben diverse da quelle di questi banchieri, ma anche da quello che hanno in testa i sindacati firmatari” che vorrebbero trasformarci tutti in una sorta di tuttologi, da commercialisti a fiscalisti a immobiliaristi e magari, un domani, perché no, anche agenti matrimoniali,,… vista la crisi di promesse nuziali  di questi ultimi anni.

INSIEME CONTRO IL BARATRO N. 7

Continuano a pervenire i contributi dei colleghi/e.
In questo numero ospitiamo un esilarante contributo dall’Emilia Romagna ed un documento dalla Lombardia, che tocca vari argomenti di attualità, dalle ferie, agli orari, alle pressioni commerciali.
Non tutto quello che pubblichiamo coincide al 100% con quello che pensa il nostro sindacato, ma d’altronde questo spazio è volutamente aperto alle denunce ed alle proposte dei lavoratori e delle lavoratrici.
Quello che compare in questa rubrica sono comunque le riflessioni di lavoratori veri e che affrontano tutti i giorni la realtà lavorativa vera e non quella virtuale del mondo fantastico di Insieme per la crescita e altre amenità simili.
Si parla con un pò di ironia dei Tarm e, in modo molto serio, di forzature sulle ferie, di pressioni commerciali che proseguono imperterrite, dei disagi degli orari estesi.
Leggete e continuate a farci avere i vostri contributi.

INTESA SANPAOLO – LE REGOLE INVENTATE SU FERIE E POLITICHE COMMERCIALI

ispbisFERIE / GIORNATE DI SOSPENSIONE VOLONTARIA / PRESSIONI COMMERCIALI.

Molti colleghi ci stanno chiedendo dei chiarimenti per la compilazione dei piani ferie perchè stanno ricevendo “strane richieste” da parte dei vari Responsabili. Continuano inoltre ad arrivarci parecchie segnalazioni di forti pressioni commerciali. Per questi motivi riteniamo necessario precisare alcune questioni rimandando comunque il tutto ad un’informativa più completa, che vi faremo avere prossimamente.

FERIE / GIORNATE DI SOSPENSIONE:

Sulle ferie ormai l’Azienda, grazie anche ad accordi sindacali sottoscritti in questa banca, vuole tutto. Vuole che le ferie vengano esaurite tutte nel corso dell’anno (insieme alle ex-festività e permesso frazionato) e ora qualche responsabile troppo zelante pretende anche che si facciano nei periodi che gli sono più graditi.

RICORDIAMO PERO’ CHE I DIRITTI ALLE FERIE DEI LAVORATORI SONO SANCITI DAI CONTRATTI, che, nonostante vari peggioramenti degli ultimi anni, non consentono a NESSUNO di imporre o chiedere “regole fantasiose”, quali, ad esempio (sono solo alcuni casi che ci sono stati segnalati), percentuali di ferie da fare entro il primo trimestre o il secondo e così via. Inoltr e deve essere chiaro che NESSUNO può pretendere che in determinati periodi non si facciano ferie e magari indicarne altri in cui sarebbe meglio farle.

Quindi vi invitiamo con forza a segnalarci immediatamente eventuali situazioni del genere.

Ci preme inoltre sottolineare due questioni che ci paiono particolarmente importanti per i lavoratori, restando naturalmente sempre a disposizione per tutti gli altri eventuali dubbi o richieste di chiarimento.

Per quanto riguarda i 3 giorni di ferie fruibili anche a ore, dovete ricordarvi che non è obbligatorio inserirli da subito nel piano ferie. Proprio perchè possono essere fruiti a ore non devono essere programmati necessariamente già adesso.

Per la fruizione a ore delle ferie è richiesto un preavviso di 48 ore. Inoltre sono fruibili anche nelle giornate semifestive. Quindi consigliamo, chi avesse in programma dei giorni di ferie in giornate semifestive, di utilizzare quelle ore, qualora non avesse disponibilità di banca ore.

Per quanto riguarda i giorni di sospensione volontaria, è molto importante ricordare che, se non vengono interamente fruiti nel corso dell’anno di competenza, l’Azienda può procedere alla sostituzione d’ufficio delle causali di assenza al fine di esaurire prioritariamente le ferie e i permessi ex-festività dell’anno, nonchè i residui di banca ore in scadenza dell’anno.

PRESSIONI COMMERCIALI:

La questione è indubbiamente estremamente delicata e l’impressione generale è che si sia alla mercè delle politiche commerciali dell’Azienda. Ma non è proprio così, perchè restano degli aspetti che è possibile “difendere”.

Ad esempio l’Azienda ha più volte ribadito che non vuole, da parte dei vari Responsabili, che ai singoli colleghi vengano richiesti report giornalieri sull’andamento delle vendite dei vari prodotti. Per questo vi invitiamo a segnalarci immediatamente eventuali richieste di questo genere.

Inoltre deve essere chiaro che nel caso in cui non si riesca a rispettare la asfissiante richiesta aziendale dei 5 o 6 appuntamenti giornalieri NESSUNO PUO’ ESSERE SANZIONATO; allo stesso modo, non costituisce violazione disciplinare non raggiungere il budget o altri obiettivi.

Al contrario, l’Azienda sanziona frequentemente ed implacabilmente tutti quei colleghi che, magari per forzare la vendita di prodotti, non rispettano la normativa e violano le procedure stabilite.

Sappiamo benissimo, in quanto le viviamo noi stessi ogni giorno, che le pressioni sono pesanti e continue, però è fondamentale sapere quelli che sono i propri legittimi diritti e che, se lo si vuole, è possibile esigerli ed opporsi collettivamente al degrado delle condizioni lavorative.

Dunque restiamo a vostra disposizione per tutte le eventuali segnalazioni di irregolarità.

INSIEME CONTRO IL BARATRO 6

baratrobIl tema di questo numero potrebbe essere lo stress lavorativo, quello che l’azienda nega ci sia nel nostro gruppo e che, a fronte degli approfondimenti richiesti dall’Asl di Rivoli, a seguito del nostro esposto, l’ha indotta a chiedere la collaborazione dell’Università di Milano.

Come riportato in un recente comunicato degli RLS, apprendiamo che “l’indagine, commissionata all’Università di Milano, si è conclusa “non rilevando criticità’’ riguardo la salute psicofisica dei lavoratori, ma una “moderata presenza di ansia sul lavoro sperimentata da gestori e assistenti alla clientela, verosimilmente legata alla fase di adattamento al nuovo modello di banca”.

L’esito dello studio (che vedremo se soddisferà le richieste avanzate dall’Asl) ci lascia un attimo perplessi (per così dire). Sebbene nessuno dubiti della serietà professionale dell’Università di Milano, non possiamo non rilevare come la storia della collaborazione tra la stessa ed Intesa sia di lunga durata e si sia snodata attraverso studi e convegni organizzati congiuntamente. Cose normali, nel paese dei conflitti d’interesse, per cui non ci preoccupiamo e restiamo in fiduciosa attesa.

Nel frattempo vi proponiamo due contributi che confermano che lo stress lavorativo nel Gruppo Intesa Sanpaolo non esiste.

Il primo è uno scambio di mail tra due gestori di Filiali Personal. L’abbiamo trovata davvero interessante e gli autori ci hanno autorizzati a pubblicarlo.

Il secondo è di un assistente alla clientela, già autore della divertente storiella di Rag e Raz. Con questo contributo il collega conferma che la sua vena letteraria è sempre feconda e rappresenta bene quello che avviene nelle filiali.


SCAMBIO DI MAIL TRA COLLEGHI DI FILIALI PERSONAL

Colgo l’occasione per segnalarti una curiosità:  premesso che da oltre un anno contesto il fatto che tra i collocamenti vi siano esclusivamente prodotti che aumentano il rischio di portafoglio dei ns clienti ( ma soprattutto aumentano la redditività dell’azienda ) e che prima o poi ci saremmo ritrovati a fare i conti con l’oste ( infatti basta vedere in questi giorni che siamo tempestati di telefonate e visite non programmate di clienti allarmati che scoprono che gli investimenti effettuati da marzo 2015 ad oggi non ce n’è uno che abbia mantenuto il valore iniziale ), ma la poca lungimiranza e l’avidità delle funzioni commerciali ha sistematicamente spinto per questo tipo di prodotti; come accennavo è curioso il fatto che le polizze Ramo I ( Base Sicura ) da febbraio 2015 NON sono state più inserite tra i prodotti da spingere nonostante offrano redditività simile a certificates e unit ! Abbiamo a ns mani budget volumetrici con richieste monster su tutto e ZERO su Ramo I, anzi …… ci sono pervenuti più volte elenchi di clienti possessori di codesto ed unico investimento di difesa in cui veniva richiesto di smontare tutte le edizioni passate di ramo I per “riqualificare” ( per chi ? ) le somme rivenienti. Come vorrei far parlare codesti geni con i nostri clienti in crisi esistenziale, invece o sono silenti o si limitano a farsi vivi in videolync lamentandosi dei deludenti dati provenienti dai collocamenti o ci girano video aziendali dove gli strateghi di turno continuano a fornire rassicurazioni a cui nemmeno loro credono più o discorsi altisonanti da  passerella di inizio anno !

Mi riconosco in pieno in quello che dici, in effetti la storia del 2015 è tutta concentrata in questo: prendere gli investimenti più conservativi dei clienti e buttarli dentro la fornace dei prodotti “qualificati”. E l’hanno chiamata riqualificazione del gestito!

Bisognava fare esattamente l’opposto: prendere tutti i prodotti azionari e obbligazionari che avevano raggiunto il massimo a marzo 2015 e parcheggiarli in prodotti conservativi in attesa dello storno.

Mi ricordo una riunione dove uno di Eurizon spingeva tutti i consulenti a convertire le gestioni monetarie o tranquille in una nuova linea che aveva il pregio di avere il monetario quasi a zero. Bei risultati!

La cosa più imbarazzante sono i fondi flessibili: sono sotto (a volte anche di molto), non rendono un fico, hanno commissioni di uscita elevate. Praticamente sei prigioniero del nemico…

Poi anche il tempismo sui certificati è stato notevole: emettevano sul petrolio quando era a 50 dollari, adesso è a 30 e punta ai 20….

E che dire dei titoli del lusso, presi ai massimi, o dei cambi delle valute emergenti tipo lira turca?

A volte c’è veramente da vergognarsi di fare questo lavoro….E soprattutto di doverlo fare in questo modo!


Ritaglio di Riteil – Customer Satisfaction

Dopo un’ora abbondante di attesa, la signora Razdori si siede sbuffando nella seggiola dall’altra parte della mia postazione. Incautamente provo a “buttarla” sul ridere:

«Buongiorno Signora Razdori, abbiamo in previsione una prova di uscita in emergenza, sa . . .  in caso di incendio o di terremoto . . . »

«Non faccia lo spiritoso, Ragioniere! Altro che uscita! Qui l’ emergenza è all’ entrata: sono accampata qui da due ore. Mi addebiti questa tassa che poi me ne vado. Ho fretta!»

«Ecco signora Razdori . . . . ., vedo che lei ha un contratto multicanale e . . . »

«Che cos’ho io? Di cosa va blaterando??»

«No, dicevo, un contratto di “internet banching”. Lei potrebbe pagare l’ effeventiquattro da sola tramite il canale di internet. Se vuole la assisto usando la nostra postazione qui in filiale»

«Ah, parla di quella cosa che mi ha fatto firmare Giovanna due mesi fa? Senta Ragioniere, tutto quello che mi propone mi fa solo perdere tempo. Sono già un po’ alterata: mi passi questo F24 e finiamola qui. Sa come si dice in Veneto? “Peso el tacòn del buso”. Ecco: lei è la dimostrazione vivente di questo proverbio. Ho fatto proprio bene a darle ZERO. Ma evidentemente non è servito a nulla, perché lei è ancora qui.»

Nel frattempo sopraggiunge la direttrice. Tacco alto e passo di carica: sembra un battaglione di cosacchi a cavallo. Si piazza alle mie spalle e chiede: «E quello dove va?»

«Quello chi?» Rispondo io.

«QUELLOOO!» Indicandomi sul monitor un cliente ripreso dalla telecamera mentre si avvicina a una porta interna.

«Ah, il signor Ghiandoli. Sa, soffre un po’ di prostata e sta andando in bagno»

E la direttrice:«Un po’? Ma se è già la seconda volta che ci va! E poi, chi gli ha dato il permesso di usare i nostri bagni?»

«Gliel’ho detto io. Però va in quello dei maschi. Se uscisse dalla filiale perderebbe il posto in fila e non riusciremmo mai a concludere un’ operazione. Sa, la sua autonomia è inferiore al tempo d’attesa . . . . »

«Vabbè, ne parliamo poi. Intanto vediamo di darci una mossa» conclude la direttrice allontanandosi sempre a passo di carica.

La signora Razdori non perde l’occasione per infierire:«Ha sentito la direttrice? Nell’ attesa mi sono letta tutto il giornale, ma temo che non basti più. La prossima volta mi porterò “Guerra e Pace”»

«Scusi signora Razdori , ma temo di non capire: cosa significa che mi ha dato ZERO?»

«Ma sì. Mi è arrivato un esseemmeesse dal vostro servizio di “Castomer sadisfecscion” e io, pensando a lei, ho dato ZERO. Perché sorride adesso?»

«Ecco, vede signora Razdori, il suo gestore è Giovanna e nell’ esprimere la sua insoddisfazione, lo Zero lo ha affibbiato a Giovanna anziché a me. Adesso mi spiego perché Giovanna sia stata trasferita da un giorno all’ altro e apparentemente senza alcuna motivazione.»

«NO! GIOVANNA NO!» Conclude la signora Razdori con le mani nei capelli.

INTESA SANPAOLO – NUOVO FONDO PENSIONI DI GRUPPO: UN RISULTATO CHE VIENE DA LONTANO

pensioniscrabOttenute le necessarie autorizzazioni da parte dell’Autorità di Vigilanza (la Covip), lunedì 11 gennaio si è insediato il Consiglio di Amministrazione del Nuovo Fondo Pensioni di Gruppo che ha innanzi tutto provveduto alla nomina delle cariche istituzionali (presidente, vicepresidente, direttore generale, ecc…).

Ma  quanti  e  chi  sono  i  consiglieri  cui  è  affidata  la  gestione  della  nostra previdenza integrativa in una fase di trasformazione strutturale così delicata? Sono venti, dieci di nomina aziendale e dieci di nomina sindacale.

L’hanno deciso con gli accordi di ottobre le cosiddette “fonti istitutive” che ricordiamo sono, con ferrea conventio ad excludendum, l’azienda e i sindacati firmatari di contratto.

Nel frattempo, i Consigli e le Assemblee dei Delegati dei fondi che confluiranno nella nuova entità vedranno progressivamente ridursi il loro ruolo fino ad autocertificare la propria scomparsa. Saranno così soppressi organismi che, per la metà riservata ai lavoratori, sono composti da  eletti, in certi casi anche solo da pochi mesi (gli iscritti al Fondo Sanpaolo IMI ricorderanno certamente la doppia faticosa elezione di primavera). Fin qui, verrebbe da dire, nulla di nuovo.

E’ dalla lettura dell’elenco dei nominati di parte sindacale che invece emerge una succosa novità. Solo nove di essi, infatti, sono esponenti dei sindacati firmatari mentre il decimo è Gian Paolo Gallizio membro del CdA del Fondo Pensioni Sanpaolo IMI e rappresentante della CUB-SALLCA.

Ma che cos’è successo? Un refuso, un imperdonabile errore, un tradimento?

Niente di tutto questo ma per spiegarlo bene occorre tornare indietro di qualche puntata.

Nel 2010, le modalità di costituzione del Fondo Sanitario Unico di Gruppo hanno rappresentato, probabilmente, uno dei punti più bassi mai raggiunti a livello aziendale sul terreno della democrazia e trasparenza sindacale (e non è facile viste le tante nefandezze compiute nel tempo…).

La soppressione di fatto dei consigli delle preesistenti casse sanitarie (secondo il canovaccio che abbiamo sinteticamente descritto prima) avvenne in maniera arrogante ed affrettata. Lo Statuto della Cassa Intesa (che prevedeva un referendum tra gli iscritti) non fu rispettato e ciò ha provocato un contenzioso legale ancora aperto e che, per il momento, ha visto soccombere le “fonti istitutive”. L’architettura del nuovo Fondo (decisa in splendida autonomia da vertici aziendali e sindacali) penalizzò fortemente gli iscritti “anziani”, già pensionati o prossimi ad esserlo, che ancora oggi si battono per soluzioni maggiormente equilibrate. Sul piano sindacale, anche il Sallca (e i lavoratori che ci avevano dato fiducia con il loro voto) furono pesantemente danneggiati: il nostro eletto nella Cassa Sanpaolo (guarda caso l’unico a votare contro il processo di unificazione) venne cancellato con un tratto di penna. Ci sono voluti quattro anni perché si tenessero nuove elezioni e il sindacalismo di base (sempre grazie al consenso dei lavoratori) potesse tornare a svolgere il proprio ruolo nel nuovo Fondo sanitario.

Quando, a fine 2014, l’Azienda ha fatto capire di voler procedere con determinazione sulla strada del processo di unificazione anche dei fondi previdenziali (quanto meno di quelli a contribuzione definita) abbiamo subito detto che non avevamo preclusioni “ideologiche” al progetto ma che non avremmo accettato supinamente soluzioni affrettate che riservassero alla sola azienda (e non anche ai lavoratori iscritti ai Fondi) i possibili vantaggi economici dell’operazione e non fossero totalmente rispettose di un percorso democratico anche sotto il profilo del pluralismo sindacale.

Insomma, per evitare il ripetersi della “storiaccia”, avremmo usato tutti i mezzi a nostra disposizione (maggiori rispetto a quelli utilizzabili nella vicenda del fondo unico sanitario) con la forza derivante dal supporto che i lavoratori ci avevano sempre manifestato e l’autorevolezza acquisita in anni di presenza e di lavoro negli organismi dei fondi previdenziali di matrice sanpaolina.

In una prima fase i sindacati firmatari si sono limitati a dire che non avrebbero assecondato passivamente le tempistiche aziendali e che (questa volta) sarebbero state rispettate le norma statutarie ed i regolamenti dei vari fondi interessati (sic !).

La vera svolta, secondo noi, sono state le elezioni della primavera scorsa per il rinnovo degli organi collegiali del Fondo Pensioni Sanpaolo IMI.

Nei nostri volantini di propaganda, infatti, abbiamo chiesto con molta chiarezza ai lavoratori di darci la maggior forza possibile non solo per proseguire il lavoro svolto nei precedenti mandati ma, soprattutto, per poter sorvegliare e condizionare, in modo efficace, il percorso di unificazione dei fondi previdenziali che stava, proprio allora, partendo in sordina.

I risultati elettorali dovremmo averli bene in mente ancora tutti. Per la prima volta la Cub-Sallca è riuscita a mandare, non uno, ma due propri rappresentanti in CdA (su sette di parte elettiva) e tutte/i le/i nostre/i candidate/i per l’Assemblea dei Delegati sono stati elette/i e tra i più votati in assoluto, sia per quanto riguarda le Aree Professionali che i Quadri Direttivi.

Inoltre, ha molto colpito il fatto che tale risultato sia maturato dopo la sciagurata ripetizione del voto (per gravi pasticci procedurali), un evento che avrebbe dovuto penalizzare un’organizzazione come la nostra esclusivamente basata sul lavoro volontario e priva di agibilità sindacali riconosciute dalle aziende. E invece, probabilmente, è successo proprio il contrario, poiché noi ed i nostri elettori abbiamo dimostrato ancora maggior determinazione, interpretabile anche come particolare attenzione alle sorti del risparmio previdenziale dei lavoratori.

Tanto per chiarire ulteriormente le posizioni del Sallca, nel corso della riunione d’insediamento del nuovo CdA del Fondo SanpaoloIMI, i nostri due rappresentanti (la cui dichiarazione è stata poi ripresa in un nostro volantino diffuso in categoria) hanno auspicato “che si sia fatto tesoro degli errori compiuti nel processo di unificazione degli enti sanitari del gruppo e che stavolta il processo sia realmente inclusivo e preveda la partecipazione di tutte le forze sindacali rappresentative degli iscritti. E’ ovviamente inaccettabile che alcune forze sindacali che hanno una rappresentatività da numeri decimali partecipino alla costituzione del Fondo Unico solo perché firmatari di CCNL mentre altre forze, ben più radicate nelle diverse realtà, non possano svolgere quel ruolo di rappresentanza per il quale gli iscritti si sono chiaramente espressi”.

Insomma, il mandato ancora una volta ricevuto da migliaia di colleghi non poteva essere né tradito, né eluso.

E così questa volta è stato.

Le fonti istitutive, infatti, hanno riconosciuto la legittimità delle nostre richieste ed accettato di inserire un nostro rappresentante nel CdA del nuovo Fondo ed un altro nella costituenda Assemblea dei Delegati.

Naturalmente, enunciato il principio, non sono poi mancati passaggi complicati dovuti al fatto che il Sallca, per l’azienda, formalmente “non esiste” e, parallelamente, i nostri rapporti con i vertici sindacali non sono certo idilliaci. E tuttavia quando un obiettivo è chiaro e condiviso le soluzioni tecniche si trovano sempre e così è avvenuto.

Dal punto di vista dei nomi, la nostra scelta è stata quella di indicare Gian Paolo Gallizio (rieletto a giugno nel CdA del Fondo Sanpaolo Imi) per il Consiglio di Amministrazione e Renato Strumia per l’Assemblea dei Delegati (organismo per il quale, sempre l’anno scorso, era risultato il più votato in assoluto tra i quadri direttivi). Pur entrando a far parte di un consesso di “nominati”, abbiamo quindi cercato di rispettare (per quanto possibile) il voto dei nostri elettori.

Crediamo sia opportuno sottolineare che, per un sindacato di base “non firmatario di contratto” e quindi “non riconosciuto”, quanto successo rappresenta un fatto assolutamente inedito nella storia del nostro settore e forse in assoluto.

Un risultato che è per tutti noi un motivo di grande soddisfazione in quanto rappresenta un riconoscimento del nostro ruolo e del grado di rappresentatività  reale della nostra organizzazione, nonché un apprezzamento per le competenze dei nostri rappresentanti.

Per questo ci sentiamo di dedicarlo in primo luogo alle colleghe ed colleghi che, negli anni, hanno accettato le nostre proposte di candidatura (talvolta come indipendenti) e soprattutto a quelli che lo hanno fatto nei primi anni, quando “metterci la faccia” era ancora più difficile (e si perdeva pure…).

E, comunque, come abbiamo cercato di spiegare con questo volantino, un simile esito della vicenda non sarebbe mai stato possibile se così tante e tanti lavoratrici e lavoratori non ci avessero dato e confermato ostinatamente il loro consenso in molte successive occasioni.

Ennesimi ringraziamenti, quindi. Anche se pensiamo che, questa volta, sia più importante, da parte nostra, rafforzare in chi ci ha sostenuto la consapevolezza di aver contribuito, con il proprio comportamento, a vincere una battaglia collettiva (una volta tanto !!) di forte impatto sia sul terreno della democrazia sindacale sia su quello della tutela concreta degli interessi dei lavoratori.

Restiamo infatti assolutamente convinti che la presenza negli enti del welfare aziendale di consiglieri e delegati espressione del sindacalismo di base (certo competenti ma anche critici e indipendenti rispetto a vertici aziendali e segreterie sindacali e pronti a denunciarne eventuali accordi al ribasso) sia un risultato utile per tutti. Anche per chi diserta le urne o non ci vota perché non condivide le nostre idee o, più probabilmente, non ci conosce.

Di qui in avanti si apre una nuova fase della quale non ci nascondiamo le difficoltà sia di carattere “sindacale” sia di natura tecnica. Non sarà facile, infatti, riuscire a trasferire nel “nuovo fondo” le prassi operative, le flessibilità di scelta, i livelli di informativa e di trasparenza amministrativa che siamo riusciti faticosamente a conquistare (certo non da soli ma con un apporto determinante) in anni di battaglie dentro e fuori le “stanze dei bottoni” degli enti previdenziali dell’ex gruppo Sanpaolo.

Ma almeno, se ci saranno problemi, ve lo potremo far sapere con cognizione di causa.

ASSEMBLEE E DEMOCRAZIA SINDACALE , SERVE URGENTEMENTE UN SINDACATO CHE PARTA DALLE ESIGENZE DEI LAVORATORI E NON DELLA CONTROPARTE

intesa04aAbbiamo atteso un po’ di tempo per commentare il recente giro di assemblee sugli accordi di secondo livello. Aspettavamo un comunicato delle sigle firmatarie, che fornisse i dati nazionali, ed il 20 gennaio è arrivato: uno scarno commento, con dati disaggregati per macroregioni, che comunica l’approvazione degli accordi con l’86% di favorevoli su una platea di 14.561 votanti.

Qualche confronto con i dati in nostro possesso sulla provincia di Torino è utile per un’analisi più approfondita.

Il risultato più in linea con quello nazionale è quello del Centro Contabile di Moncalieri: i dati a nostra conoscenza ci parlano di 130 favorevoli, 6 contrari e 3 astenuti, con una partecipazione al voto abbondantemente al di sotto del 10%!!!

Sconcertante il modo di condurre le assemblee sulla rete filiali.

Nella prima assemblea tenutasi sull’Area Torino è stato annunciato dai sindacalisti presenti al tavolo che l’assemblea non aveva alcun potere decisionale, che gli accordi erano già operativi e che il voto finale avrebbe solo misurato il gradimento dei lavoratori.

In un crescendo di dichiarazioni, pochi giorni dopo, in un’altra assemblea è stato ulteriormente precisato che, come previsto dal contratto nazionale, se gli accordi di secondo livello vengono firmati da sindacati che rappresentano il 51% degli iscritti la questione è chiusa e le assemblee sono solo una gentile concessione.

Visto che ormai le assemblee sono “per conoscenza”, in tre concentramenti della cintura torinese, Orbassano, Rivoli, Moncalieri (dove peraltro il dibattito non aveva espresso un grande entusiasmo per gli accordi sottoscritti) alla fine è stato deciso di non votare neppure.

Ovunque si è assistito ad un tentativo di tirare in lungo le assemblee, favorendo la “fuga” dei colleghi dopo una certa ora e lasciando a votare un numero di lavoratori piuttosto esiguo.

Nonostante tutto questo, il “plebiscito” a favore delle slides aziendali, mascherate da accordo sindacale, non è riuscito, perlomeno a Torino città, dove i voti favorevoli hanno superato i contrari di una manciata di voti e, comunque, sono rimasti abbondantemente sotto il 50%.

Questo esito, ovviamente, non dipende dal fatto che i colleghi di Torino  sono “geneticamente” diversi dal resto d’Italia, ma solo dall’opportunità di poter sentire, in quasi tutte le assemblee, una voce di dissenso, grazie alla presenza diffusa dei nostri quadri sindacali sulla piazza.

A riprova di questo, il risultato della provincia di Torino (dove la nostra presenza è meno capillare) vede un 70-80% di voti favorevoli (i dati in nostro possesso sono incompleti), peraltro inficiato dal numero di votanti molto basso, anche per il non voto dei tre concentramenti, già ricordato.

Questi episodi diventano ancora più significativi considerando che, soprattutto in provincia, le campagne di tesseramento dei sindacati firmatutto si basano sulla necessità di raggiungere gli 8 iscritti, su alcune piazze, per poter costituire la RSA e ottenere il diritto a poter fare le assemblee.

Abbiamo assistito ad un brutto spettacolo, dove la democrazia è sostituita dalla presunzione di rappresentanza derivante dal numero di iscritti dei sindacati al tavolo: il meccanismo (peraltro previsto dagli ultimi contratti nazionali) è che la firmadeisindacaticonilmaggiornumerodiiscrittivalepertuttienonpuòessere messain discussione.

E allora tanto vale prenderli sul serio: la scelta del sindacato cui iscriversi deve essere fatta in modo responsabile.

La nostra polemica sugli accordi firmati sotto dettatura è confermata dai fatti, visto che è esattamente quello che è successo con la contrattazione di secondo livello e non viene più nemmeno nascosto.

Tutti possono verificare, guardando la busta paga, come gli aumenti (futuri) dell’ultimo contratto nazionale siano finanziati dal taglio (immediato e retroattivo) su TFR e previdenza integrativa.

Per tornare agli accordi aziendali, tutti possono rendersi conto come, mano a mano che si viene a conoscenza della classificazione della complessità di filiali e portafogli, si manifesti la piena discrezionalità aziendale.

Non parliamo poi delle pressioni commerciali: vi pare sia cambiato qualcosa?

Ancora una volta emerge l’esigenza di un sindacato che rappresenti una posizione autonoma dei lavoratori e non subisca semplicemente l’iniziativa della controparte e che sia presente, in modo organizzato, su tutto il territorio nazionale.

Iscriversi alla Cub Sallca e partecipare attivamente alle nostre attività è la strada percorribile da chi non è più disponibile ad accettare questo stato di cose.

STATE STREET, EX BANCA DEPOSITARIA: I LAVORATORI VENDUTI DUE VOLTE

Nel 2010 i lavoratori di Banca Depositaria, un settore di lavoro specialistico di Intesa Sanpaolo, vennero ceduti alla banca statunitense State Street.

Ci furono quattro giorni di sciopero in due settimane (i primi due proclamati dalla Falcri, il terzo da noi della Cub-Sallca, il quarto contestuale ad uno sciopero generale indetto dalla Cgil) e cortei a Milano e Torino (le due sedi coinvolte) con l’azienda in difficoltà anche perché i ritardi accumulati nel calcolo delle quotazioni dei fondi (uno dei lavori in carico a Banca Depositaria), a causa delle agitazioni, avevano prodotto richiami e minacce di sanzioni da parte delle autorità di vigilanza.

Ma in ballo c’era un affare da 1,7 miliardi di Euro (un bel contributo alla “solidità patrimoniale” del Gruppo) e serviva un accordo, che alla fine arrivò, peraltro molto contestato e approvato solo grazie al voto dell’assemblea della sede di Milano, condizionata da interventi poco ortodossi da parte aziendale.

L’accordo, per la prima volta nel suo genere, prevedeva un teorico (come vedremo) diritto a chiedere il rientro nel mese di dicembre 2015, richiesta che l’azienda avrebbe accolto nel primo semestre del 2017.

Perché diritto teorico? L’accordo poneva già alcune clausole al rientro, come la possibilità di demansionamento ed il ripristino delle condizioni retributive dell’epoca (cioè con gli scatti d’anzianità e l’inquadramento che “retrocedono” a quelli in essere nel 2010).

Nonostante questi evidenti elementi di continuità (verrebbero persino tenute in conto le vecchie domande di trasferimento), l’azienda ha dichiarato provocatoriamente  che  chi  volesse  rientrare  verrebbe  trattato  come  un neoassunto con l’applicazione del Job’s Act (ovvero piena licenziabilità).

E per completare l’opera, siccome nell’accordo non erano stati posti limiti territoriali per il rientro, l’azienda ha affermato che lo stesso potrà avvenire su “tutto il territorio nazionale”.

Tutte queste informazioni sono contenute nello scarno e disarmante volantino con cui i sindacati firmatari (alla cui schiera si è unita la Falcri, che nel 2010 era sulle barricate o faceva finta di esserci) rendevano conto dell’incontro fatto con Intesa Sanpaolo, come previsto dall’accordo. Un incontro in cui nessuna sigla al tavolo ha avuto nulla da obiettare, limitandosi a prendere atto delle gravissime posizioni aziendali, che svuotavano, di fatto, la possibilità di scegliere il rientro.

Un atteggiamento che fa il paio con quello delle stesse sigle, presenti in State Street, che hanno comunicato ai lavoratori che ognuna darà assistenza solo ai propri iscritti per preparare, con l’aiuto dei legali, la lettera per l’eventuale richiesta di rientro. Un evidente e vergognoso tentativo di fare campagna di tesseramento, ancora più indecente visto che, in tutta questa vicenda, le tutele fanno acqua da tutte le parti.

Dobbiamo constatare che il primo gruppo bancario italiano, che si vanta del proprio codice etico e di mettere al primo posto la valorizzazione delle persone, continua ad accanirsi contro un gruppo di lavoratori messo sul mercato cinque anni fa e di cui oggi tenta di ostacolare il rientro (al quale, verosimilmente, potrebbero essere veramente interessati solo alcune decine di colleghi) interpretando l’accordo nel modo più restrittivo possibile. D’altronde parliamo dello stesso Gruppo che nel 2012 non esitò a licenziare i giovani colleghi in apprendistato pur di ottenere quanto richiesto nelle trattative aziendali.

A fronte di questo atteggiamento della controparte, brilla per la totale inadeguatezza il ruolo dei sindacati firmatari, aggettivo quanto mai squalificante visto che l’accordo presentava già delle falle (come detto nella clausola di rientro non erano stati posti limiti territoriali) e che di fronte all’intransigenza aziendale hanno opposto solo un rassegnato ed imbarazzato silenzio.

Siamo costretti a commentare con molta amarezza questa storia, ma, così come dall’inizio, non possiamo che ribadire che, fino alla fine, noi saremo a fianco dei nostri colleghi ora in State Street.

Pur consapevoli che aggressività aziendale e inconsistenza del tavolo sindacale (per non dire altro) hanno fortemente ristretto gli spazi di scelta, faremo tutto il possibile perché la volontà di ogni singolo lavoratore venga rispettata. I nostri legali sono già al lavoro per preparare la lettera per chiedere il rientro, che metteremo a disposizione di tutti i lavoratori che ce ne faranno richiesta.

INTESA SANPAOLO – TUTTI IN ASSEMBLEA A DIRE LA NOSTRA!

crfi1Anche nella nostra area stanno partendo le assemblee relative agli accordi di secondo livello che, dopo mesi di ‘dura e massacrante’ contrattazione sono stati miracolosamente siglati, in una notte ‘buia e tempestosa’.

VAP, percorsi professionali, pressioni commerciali….. tanta era la posta in gioco e i dati relativi al 2014, uniti alle dichiarazioni del CEO riguardanti i risultati al 30/09/2015, lasciavano presagire qualche spiraglio positivo nella contrattazione; nulla di trascendentale intendiamoci ma se non altro un decente recupero, quantomeno economico, di quanto tolto da un contratto nazionale svuotato eccessivamente in ottica di tutela della categoria, dove le crisi aziendali sono, quasi sempre, generate dalla malagestione dei top manager e sempre pagate dai lavoratori.

Diciamolo, da una banca che distribuisce miliardi di dividendi e molti di più ne promette visto l’andamento, che ha un gruppo di lavoro definito dal CEO unico e meraviglioso, che ha valori di solidità ai massimi, ecco….CI ASPETTAVAMO MOLTO DI PIU’!

Inutile ritornare a ribadire tutte le carenze dell’accordo, basta ricordare i dati fondamentali e pesanti: VAP 2014 ai limiti dell’elemosina, annullamento dello stesso (confluito nel Premio Variabile di Risultato) e, cosa fondamentale……. DISCREZIONALITA’ TOTALE DELL’AZIENDA SU RUOLI E RELATIVI, RIDICOLI, PREMI (specie se aggiunti a quanto perso per strada, VAP decenti appunto e contribuzione a TFR definitivamente ridotta, mentre nel 2012 si parlava di taglio temporaneo…così per dirne un paio).

Vi diranno che c’è crisi ed è vero, ma questi accordi riguardano noi e soltanto noi di Intesa Sanpaolo, una delle banche migliori del sistema, più solida ed a più alta redditività.

Le altre banche ci guardano, e anche i ‘cugini’ di Unicredit (altra banca che regala fior di dividendi) si sono visti recapitare, dalle stesse sigle sindacali, un accordo integrativo praticamente fotocopia del nostro in termini economici e normativi. Viene da chiedersi quindi come mai a parole economisti, analisti finanziari, sindacalisti firmatari e banchieri stessi, pontificano di un’economia che può ripartire solo se si rimette potere d’acquisto in mano a chi può, DEVE spendere e poi…. poi tutto si risolve nell’esatto contrario, anzi, di fatto, stringendo ulteriormente la cinghia, già al limite della mancanza di respiro!! Giovani e meno giovani che si vedono schiacciati da sempre più pesanti responsabilità, pressioni e ‘ansia da prestazione’ senza nessuna garanzia effettiva di percorsi e stipendio…. tutto, con eleganza,  riposto nelle ‘generose’ mani aziendali.

Poco male direte, alle assemblee VOTIAMO NO e si ridiscute. Peccato che i sindacati firmatari, contrariamente a quanto proclamato nei mesi precedenti, sembra abbiano pensato non fosse il caso di far approvare alle assemblee quanto firmato…il loro giudizio bastava e le policy aziendali pare siano già pronte.

VISTA LA PREMESSA E’ ANCOR PIU’ DI FONDAMENTALE IMPORTANZA PARTECIPARE ALLE ASSEMBLEE, E CHIEDERE CONTO AI SINDACATI FIRMATARI DI QUANTO MESSO NERO SU BIANCO NEGLI ACCORDI, FARE

DOMANDE E NON ACCETTARE I FORSE, I SI VEDRA’, I NON SO! …. E SE, COME NOI, RITENETE CHE QUESTO INTEGRATIVO SIA ECONOMICAMENTE OFFENSIVO, MOLTO PERICOLOSO E OLTRETUTTO FIRMATO SENZA DIRITTO, VOTATE COMUNQUE NO E VERIFICATE I DATI DI VOTO!

ORMAI, PURTROPPO, DOVREMO TENERLO COSI’ COME FIRMATO, MA IL SEGNALE DEVE ESSERE FORTE E CHIARO, SOPRATTUTTO VERSO L’AZIENDA, LE CUI PROPOSTE SONO STATE RECEPITE AL 90% NEGLI ACCORDI.

QUESTA VICENDA DIMOSTRA CHE SERVE UN SINDACATO DIVERSO, CHE ESPRIMA IL PUNTO DI VISTA DEI LAVORATORI E NON RECEPISCA SOLO QUELLO DELLA CONTROPARTE.