Archivio Intesa Sanpaolo - Page 18
Le recenti necessarie comunicazioni ufficiali che tutti gli iscritti dovrebbero aver ricevuto
(principalmente via mail) hanno annunciato la costituzione del “Fondo Pensione a contribuzione
definita del Gruppo Intesa Sanpaolo”.
Il nuovo fondo, figlio degli accordi aziendali sottoscritti nel 2015, nasce dalla fusione per
incorporazione del FAPA di Gruppo e del Fondo Spimi a cui si aggiungono, mediante il
trasferimento collettivo delle posizioni individuali, le sezioni a contribuzione definita del Fondo
Pensione del Banco di Napoli e di Banca Monte Parma.
Se finora il nuovo Consiglio di Amministrazione ha principalmente operato al fine di garantire la
continuità operativa con i fondi preesistenti, ora è necessario affrontare le prime importanti
questioni aperte che si originano in un processo di fusione, evento tutt’altro che comune
soprattutto quando sono presenti patrimoni rilevanti come in questo caso.
Un primo fondamentale passo di natura tecnico-amministrativa è il trasferimento dei dati relativi
agli iscritti provenienti dai diversi fondi costituendi. Proprio per consentire questo passaggio si
è reso necessario interrompere alcune normali attività normalmente svolte dal fornitore dei servizi
di amministrazione mentre altre potranno essere garantite anche durante la delicata fase di
passaggio:
- fino al 30 settembre è stata sospesa l’erogazione di anticipazioni e prestazioni; al fine di
garantire comunque le prestazioni nei casi di assoluta urgenza e di significativo importo per
spese relative a spese mediche straordinarie e per l’acquisto della prima casa, l’Azienda ha
concordato di attivare un’apertura di credito straordinaria a tasso zero (la valutazione
dell’urgenza è gestita dagli uffici delle Relazioni Sindacali);
- sempre fino a settembre non sarà possibile modificare la propria allocazione
patrimoniale (switch) e neppure effettuare variazioni sui comparti di destinazione dei flussi
contributivi; tra le novità del nuovo fondo ricordiamo che la contribuzione aziendale non è
più legata ad un obbligo di contribuzione minima da parte dell’iscritto (in assenza di
comunicazione da parte dell’iscritto, continuerà ad essere applicata l’aliquota a suo
tempo indicata);
- continuerà invece ad essere possibile aderire al Nuovo Fondo Pensione utilizzando la
modulistica disponibile sul sito;
- l’iscritto che ha conferito solo tacitamente il TFR potrà attivare il contributo aziendale
(per ora il 2,5%) semplicemente dichiarando la propria esplicita adesione utilizzando il
modulo di richiesta a disposizione sul sito.
Per quanto riguarda gli aspetti finanziari, sono iniziati i primi incontri volti a definire il modello di
investimento ed i comparti che costituiranno l’offerta previdenziale a disposizione degli iscritti. In tal
senso riteniamo fondamentale che venga garantita ampia libertà di scelta all’iscritto sulla scelta
del comparto a cui aderire e che continuino ad essere previste linee di investimento a capitale
garantito ed etiche. Anche nei comparti finanziari occorre prevedere proposte a basso rischio e
bassa complessità in grado di limitare la volatilità dei mercati e minimizzare i rischi di perdite
in conto capitale.
L’obiettivo di arrivare ad attivare i nuovi comparti con l’inizio del 2017 è sicuramente auspicabile
ma sicuramente si tratta di un passaggio fondamentale che condizionerà il funzionamento dell’ente
previdenziale per molto tempo ed andrà quindi attentamente individuato con un processo che
potrebbe avere tempi anche incerti e non prevedibili.
Ovviamente vi terremo informati dell’evoluzione dei lavori che in autunno vedranno una decisa
accelerazione e ci auguriamo che vengano indette assemblee che favoriscano il coinvolgimento
dei colleghi dando ampia informativa di quanto avviene. Nonostante le Fonti Istitutive (i firmatutto
sempre e comunque) si arroghino il diritto di prendere qualunque decisione senza la minima
consultazione dei colleghi, i soldi sono i nostri, frutti del nostro sempre più stressante lavoro.
La più recente iniziativa della Direzione Regionale Piemonte (così almeno è stata presentata in alcune filiali Personal) lancia una vera e propria sfida al futuro e soprattutto al senso del ridicolo. Non basta più la reportistica giornaliera (quando non oraria), adesso dai lavoratori si pretendono capacità divinatorie.
Le disposizioni, talvolta orali, talvolta scritte (abbiamo le mail che conserveremo con cura) chiedono di prevedere quanto risparmio amministrato potrà essere trasformato in gestito, quante Gestioni Patrimoniali potranno essere smontate e convertite in nuovi collocamenti, quante polizze trasformate solo per fare nuove commissioni. Contestualmente vanno pianificati i collocamenti che si pensa di realizzare ogni mese fino ad ottobre. Le capacità di predire il futuro dei gestori, seppure strabilianti, non si spingono, evidentemente, oltre i 4 mesi.
Sospettiamo che le prossime campagne riguarderanno la proposta ai clienti di acquistare App (ovviamente a pagamento) dove i gestori faranno le previsioni del tempo e dell’oroscopo. Sarà anche per queste doti da prestigiatori e da maghi che presto verrà fatto pagare a parte il loro servizio di consulenza.
Vorremmo chiedere (senza polemica) cosa ne pensano i sindacati firmatari di questo nuovo salto di qualità nel pungolamento dei gestori.
L’accordo sulle pressioni commerciali, alla fine, prevedeva un solo esempio di comportamenti censurabili: la continua richiesta di report. L’azienda ha già chiarito (si vedano vari comunicati unitari) che non è vietata la reportistica (avevamo capito male), ma solo la sua “ridondanza”. Immaginiamo che, siccome l’accordo si riferiva alla reportistica a consuntivo (che i responsabili, volendo, possono verificare in ogni momento, senza bisogno di vari fogli excel), la reportistica futuristica resti al di fuori del perimetro dell’accordo stesso.
Resta il fatto che il “modello” imperante si riassume, sinteticamente, nell’incessante martellamento sugli obiettivi assegnati, la spasmodica insistenza sugli appuntamenti e nel taglio continuo delle postazioni di cassa. Il risultato finale è la crescente, deleteria e insopportabile esasperazione di lavoratori e clienti.
Ai consulenti possiamo dare per ora consigli concreti e pragmatici per fornire i dati richiesti: tirate i dadi e moltiplicate per un milione, per ogni prodotto che va nel monitoraggio. Saranno cifre inaffidabili, ma vi consentono di prendere tempo e farvi le ferie tranquilli. Farete un figurone, in linea perfetta con i manager strapagati che vi chiedono queste idiozie.
A questo punto però, e in modo più serio, ci rivolgiamo a tutti i lavoratori: fino a quando siete disposti a tollerare tutto questo? Aspettiamo vostri commenti e segnalazioni; noi, dopo l’estate, vi faremo delle proposte per reagire a questa situazione.
ASSEMBLEA DEI DELEGATI DEL FONDO SANITARIO INTEGRATIVO DI GRUPPO
Milano 23 giugno 2016
In allegato potete leggere la dichiarazione di voto che il nostro rappresentante all’Assemblea dei Delegati del Fondo Sanitario Integrativo di Gruppo (chiamata ad approvare il Bilancio 2015) è, più o meno, riuscito a fare.
Più o meno, perché il clima della riunione è stato tutt’altro che sereno, in primo luogo per una gestione da parte della Presidente Angela Rosso inutilmente brusca ed astiosa che non ha fatto altro che rinfocolare i motivi di polemica tra “attivi” e “quiescienti”.
Dopo le relazioni introduttive, la bagarre si è accesa sin dal primo intervento, quello del rappresentante dei Pensionati Francesco Vimercati che, certo, è stato un po’ lungo ma comunque corretto nei modi e interessante nei contenuti (condivisibili o meno).
Il collega è stato più volte interrotto ed apostrofato dalla Presidenza e, addirittura, sbeffeggiato nel successivo intervento-replica di Filippo Pinzone (First-Cisl), tra l’altro altrettanto ma più inutilmente lungo.
Dopo di che la Presidente ha richiamato tutti al rigido rispetto dell’ordine del giorno che prevedeva, negli auspici generali, una plebiscitaria alzata di mano ed un rapido deflusso dalla stanza.
Chi si era ancora segnato per parlare (ben due !!) ha avuto quindi difficoltà nel farlo soprattutto se provava correttamente ad interloquire sui temi che erano stati posti all’attenzione da chi era intervenuto in precedenza o dalle oltre cento lettere di protesta degli iscritti in quiescenza che sono state inviate agli amministratori del Fondo nei mesi scorsi.
Il nostro rappresentante, nella concitazione, ha oltre tutto commesso il grave errore di citare termini quali “lavoratori” e “sindacato” provocando mormorii di disapprovazione da parte di alcuni delegati di parte aziendale, subito rilanciati dal tavolo di presidenza.
Ricordiamo a questi signori che mentre loro sono dei “nominati” di parte aziendale il cui unico compito è alzare la mano a comando (comportamento che purtroppo coinvolge anche la maggior parte dei delegati di parte sindacale), noi siamo stati eletti dai lavoratori su liste che si caratterizzavano non con nomi di “animali da cortile” o “fiori esotici” ma con quelli delle organizzazioni sindacali di appartenenza.
Nel merito delle questioni, noi continuiamo a credere che nella gestione del FSI ci siano molte criticità strutturali ed operative. Ed è su queste, chiunque le ponga all’attenzione (siano essi i pensionati di oggi o quelli di domani…), che crediamo si debba discutere ottenendo risposte puntuali e valutando nel massimo della trasparenza le possibili soluzioni alternative.
Lo abbiamo detto nel Convegno sul Welfare di Gruppo che abbiamo organizzato a maggio e abbiamo tentato di ripeterlo con la dichiarazione di voto allegata che nuovamente invitiamo tutti a leggere.
Dopo di che, naturalmente, ci piacerebbe sapere cosa ne pensate e se condividete le nostre posizioni. E questo riguarda sia chi ci ha votato sia quelli che non l’hanno fatto, abituati a credere che “tanto non cambia nulla”.
E, a questo proposito, ci permettiamo di chiedere agli iscritti alle altre sigle di andare a verificare (sui siti del loro sindacato o sulle caselle mail) che tipo di informativa hanno ricevuto sulla riunione del 23 giugno e se, alla luce del resoconto che ne abbiamo fatto, ritengono di poterne essere soddisfatti.
Eccoci a commentare il nuovo piano industriale 2017/2020 che di nuovo, a parte il nome, sembra abbia davvero ben poco.
Gli annunci sono roboanti, le prospettive del gruppo per il CEO Victor Massiah sono quelle da ‘’milleeunanotte’’, dispensate senza tentennamenti o incertezze.
Di seguito, una breve carrellata degli ambiziosi obiettivi degni di un braveheart del credito:
-utili a 870 milioni nel 2020 (7 volte quelli registrati a dicembre 2015).
-indice Rote oltre il 10%
-maggior copertura sui crediti fino al 60%.
-dividendi distribuiti fino al 40% dell’utile (payout)
-indici patrimoniali in costante miglioramento…e via cantando.
L’ottimismo e’ insomma alla stelle, ma come raggiungeremo questi traguardi in un contesto cosi’ negativo? Rimarra’ in mano ai soliti noti il famigerato cerino o questa volta cambiera’ davvero la musica?
Dispiace constatarlo ancora una volta, ma le ricette sono le stesse di sempre: tagli, chiusure e maggiore flessibilita’.
Vengono annunciati circa 2750 esuberi e solo questo dato dovrebbe irritarci non poco visto che, a causa della scarsita’ di organici, soprattutto nel periodo estivo, molte filiali faticano ad aprire!! A parziale compensazione vengono promesse 1100 nuove assunzioni in 3 anni.
Da sottolineare comunque il dato che il gruppo UBI al 2020 perdera’ circa 4500 dipendenti (24% della forza lavoro) rispetto al 2007 anno della sua nascita!!
Confermata la chiusura di altri 280 filiali, si passera’ quindi dagli iniziali 1922 ai 1250 sportelli (-35%).
I soliti gufi si lamentano perche’ manca personale e cassieri nei punti operativi? Eccoti la soluzione: si realizzeranno 350 filiali cashless (senza cassiere, anche se sarebbe piu’ corretto tradurre senza contanti).
Macchine vs. uomini, la sfida del futuro…si ipotizza saranno 4 su 10 le filiali interessate alla trasformazione.
Con abile mossa di marketing, per evitare che la clientela si senta lontana ‘’affettivamente’’ e non si riconosca in questo nuovo ‘’bancone’’, rimarranno tutte le vecchie insegne e marchi delle banche rete fuse nella holding.
Sara’ solo un illusione ottica mentre in realta’ verranno create 5 macro aree che rispecchieranno la presenza storica dei vecchi istituti nei territori di riferimento.
Avremo quindi per il Nord Ovest la BRE, per Milano la BPCI, per Bergamo la BPB, per Brescia il BBS e BVC e per il centro sud Carime e BPA.
Come gia’ successo in passato questi piani industriali cosi ambiziosi si sono dimostrati dei gran bei castelli di sabbia, pronti a crollare alla prima ondata imprevista, piani a cui non crede piu’ nessuno e forse nemmeno chi li redige.
Lo scenario attuale e le previsioni degli stessi esperti (o almeno così ce li presentano) ci dicono che potremmo vivere ancora per lungo tempo questa fase di tassi ai minimi storici e cio’ non permettera’ agli istituti di credito grossi margini di guadagno in quella che dovrebbe essere la principale fonte di redditivita’ della banca e cioe’ quella della intermediazione bancaria.
Si spingera’ quindi ancora di piu’ sulla vendita di prodotti maggiormente remunerativi, non sempre nell’interesse del cliente, accompagnati da sempre maggiori pressioni commerciali.
Siamo seriamente preoccupati quando lo stesso amministratore delegato asserisce che nei nostri confronti ‘’sara’ indispensabile un aumento di flessibilita’ e un rafforzamento della quota di retribuzione variabile’’.
Per noi la strada da seguire e’ un’altra, la banca deve tornare ad essere vicina ai reali bisogni dei clienti e non continuare col consueto modello commerciale aggressivo che tanti danni ha prodotto anche nel recente passato.
Il salario deve essere contrattato perche’ quello variabile si accompagna a politiche di vendita poco etiche, in cui il cliente fa la parte di un limone da spremere e riduce i colleghi a ruolo di meri piazzisti, con sempre meno professionalita’ e sempre maggiore spregiudicatezza.
Forse sarebbe meglio crescere un po’ meno, ma su basi più solide e utili per tutti.
Con gli accordi di secondo livello dell’ottobre scorso è stata varata anche l’unificazione di VAP e premio incentivante, creando il Premio Variabile di Risultato (PVR). La prima applicazione concreta, relativa al 2015, si é tradotta a maggio 2016 in una delusione generale: i lavoratori hanno misurato con mano la miseria delle cifre erogate, l’azienda ha lamentato l’appiattimento egualitario del meccanismo concordato. E questo in un anno in cui il bilancio é andato splendidamente, macinando record irripetibili.
Neanche i pochi che hanno avuto l’eccellenza hanno tratto soddisfazione, mentre l’agognata trasparenza (a parole uno degli obiettivi dell’accordo) é stata seppellita da 36 slides incomprensibili che l’azienda ha fornito in ritardo per illustrare i criteri utilizzati: “geroglifici” sono stati definiti dagli stessi sindacati firmatari. E di difficile comprensione devono essere stati anche per chi ha costruito il meccanismo, visto che la stessa azienda si è trovata di fronte a risultati inattesi e spesso paradossali.
L’accordo del 20 maggio 2016, firmato senza clamori, replica il copione già visto per il 2015 e introduce ulteriori peggioramenti. Le parti di premio Base e Aggiuntivo diminuiscono per tutti, spesso in modo molto consistente, tranne che per i Direttori di Area (+56%).
Il percorso per conseguire tali premi si complica ancora di più, finendo per assomigliare ad un perverso gioco dell’oca, in cui succede di tornare al punto di partenza per fattori legati al puro caso. Ma la cosa più grave é l’allargarsi degli elementi di divisione fra i lavoratori. L’accordo infatti amplia la platea di società del Gruppo cui verranno applicati sistemi di premio in gran parte diversi da quello contrattato il 20 maggio, specifici per quelle realtà e di cui ben poco si conosce. In una situazione che vede il continuo indebolimento del contenuto economico del Contratto Nazionale (recentemente il segretario di una delle organizzazioni firmatarie ha ammesso pubblicamente che l’ultimo accordo nazionale é avvenuto a somma zero) il salario aziendale, che dovrebbe compensarne gli effetti, si rivela avaro e assai poco trasparente.
Le prospettive di unire in futuro i lavoratori per rivendicare retribuzioni più eque diventano sempre più incerte, alla luce anche degli sviluppi sugli inquadramenti e le relative indennità, se possibile ancora più oscure e incontrollabili persino per i firmatari degli accordi.
Per permettere la piena consapevolezza di quanto succede alleghiamo una scheda dettagliata del nuovo accordo.
Il Convegno di Torino ha messo a confronto i vertici degli Enti
con gli eletti “non appartenenti alle fonti istitutive”
E’ stato indubbiamente un successo, sia sul piano organizzativo sia su quello della ricchezza degli spunti offerti dalla discussione, il convegno promosso dai nostri rappresentanti negli Enti del Welfare del Gruppo Intesa Sanpaolo che si è svolto a Torino, il 19 maggio, nella Sala Aste del Palazzo di Via Monte di Pietà.
Tutti presenti (e ben preparati…) gli ospiti invitati a tenere le relazioni: da Claudio Graziano (Responsabile dell’Ufficio Welfare di Intesa Sanpaolo) a Mario Bernardinelli (Direttore del Fondo Sanitario Integrativo); da Riccardo Botta (Direttore della Cassa di Previdenza Sanpaolo) a Roberto Conte (Vice Presidente del nuovo Fondo Pensioni a contribuzione definita del Gruppo ed esponente della Fisac-Cgil).
Con loro hanno interloquito i “nostri” Paola Cassino, Cinzia Rey e Giovanni Paolo Gallizio rispettivamente membri dei CdA del Fondo Sanitario Integrativo, della Cassa di Previdenza Sanpaolo e del Fondo Pensioni di Gruppo.
Una sessantina i partecipanti al dibattito tra i quali (oltre ovviamente a numerosi quadri sindacali della Cub-Sallca) esponenti aziendali e di altre sigle sindacali, addetti ai lavori tra cui alcuni attuali e passati amministratori degli Enti, pensionati e tante/i lavoratrici e lavoratori (iscritte/i o meno al nostro sindacato) che hanno deciso di spendere così una mezza giornata di ferie.
Il primo dato che ci preme sottolineare è proprio questo. Il Convegno, infatti, è stata una delle rare occasioni (in realtà non ne ricordiamo altre, di recente…) in cui si è parlato di welfare aziendale ad alto livello non in appuntamenti istituzionali o sedi riservate (aziendali e/o sindacali) ma in un luogo e con modalità aperte a chiunque fosse interessato.
I lavoratori intervenuti hanno così avuto l’opportunità non solo di sentire in prima persona numeri e progetti che sintetizzano lo stato di salute e le prospettive del sistema del welfare di gruppo, ma anche di fare domande o esprimere agli amministratori critiche per questo o quel malfunzionamento operativo (ed è stato proprio così).
E tutto questo ci sembra molto coerente con alcuni ingredienti fondamentali dei nostri programmi elettorali con i quali, da sempre, chiediamo più elevati livelli di trasparenza amministrativa e ci impegniamo a mantenere legami il più possibile stretti tra eletti ed elettori.
Anche a questo ha fatto cenno nel suo intervento introduttivo il nostro segretario nazionale Claudio Bettarello (che ha coordinato i lavori in qualità di membro dell’assemblea dei delegati del Fondo Sanitario) che ha voluto ricordare le principali caratteristiche di un’esperienza collettiva, definita straordinaria, come quella rappresentata dagli eletti “non appartenenti alle fonti istitutive”.
Una straordinarietà che deriva innanzi tutto dal non avere analogie in altre aziende/gruppi del settore (e pochi paragoni possibili nell’intero mondo del lavoro), dalla sua profondità temporale (i primi eletti nell’assemblea dei delegati del FP SanpaoloIMI sono del 2000) e dal riconoscimento ottenuto sul campo per la qualità e quantità del contributo offerto alla gestione degli Enti, pur mantenendo inalterata la prerogativa essenziale dell’essere “voce fuori dal coro”.
A tale doverosa premessa sono seguite quasi quattro ore d’intensa discussione sul merito delle questioni che non è evidentemente possibile sintetizzare in alcun modo se non per titoli.
La relazione introduttiva del Responsabile dell’Ufficio Welfare di ISP ha fornito la necessaria cornice di riferimento per gli approfondimenti successivi su previdenza e assistenza sanitaria, includendo però anche gli altri tasselli del sistema di Welfare di gruppo quali ALI, i servizi alla persona, la solidarietà (Fondazione onlus ISP), i progetti per la Mobilità e così via.
Sicuramente interessante anche la presentazione del Direttore del Fondo Sanitario, in primo luogo per le stime sui dati di Bilancio 2015 e le riflessioni sugli scenari demografici.
E’ seguito l’intervento di Paola che ha puntigliosamente ricordato tutte le questioni sulle quali il Sallca ha espresso valutazioni anche molto critiche, sia rispetto alla fase costitutiva del FSI (responsabilità esclusiva delle “fonti istitutive”), sia sulle problematiche sul tappeto oggi (“gestione pensionati”, trasparenza, efficienza operativa, …) sulle quali torneremo presto con un documento specifico. E non sono mancate, ovviamente, domande dal pubblico sulle più frequenti criticità riscontrate nella quotidianità del rapporto tra Fondo e iscritte/i.
Lo spazio dedicato alla “vecchia” Cassa di Previdenza Sanpaolo ha visto il Direttore ricordare con chiarezza i principali dati relativi all’andamento del patrimonio, ai risultati reddituali ed alla gestione previdenziale. A Cinzia è spettato il compito di fornire precisazioni sulle questioni più calde (fidejussione, impatto della riforma Fornero, opzione donna, flessibilità in uscita…). Ne è seguito un dibattito ricchissimo di domande ed interventi di grande interesse che ha spaziato dalla trasformazione istituzionale dell’Ente (nei primi anni novanta) sino al suo prossimo futuro (con argomenti pro e contro le prospettive, per ora del tutto ipotetiche, di “zainettizzazione”).
E, infine, il nuovo Fondo Pensioni di Gruppo, per certi aspetti ancora un oggetto vagamente misterioso, sul quale infatti sono state numerose le richieste di chiarimento, anche sul delicato tema delle modalità di “nomina” da parte delle fonti istitutive degli organismi cui spetta guidare la decisiva e non breve fase di transizione.
Il Vice Presidente ha ripercorso l’iter del processo di unificazione, i risultati ormai consolidati, le questioni aperte (a partire dalla definizione dell’asset allocation dei nuovi comparti) fornendo poi un interessante approfondimento sul tema della finanza sostenibile, a partire dall’esperienza maturata nel FAPA Intesa. Gian Paolo, oltre a convenire sulla decisività delle cose “ancora da fare”, ha puntato il dito su alcune importanti criticità: la necessità di un potenziamento delle strutture interne a disposizione del Fondo, la crescente invasività del ruolo delle “fonti istitutive” a scapito dell’autonomia del CdA, i limiti nei meccanismi di composizione della sua parte “elettiva” (tra l’altro monosessuata ed agée).
Tanta roba sulla quale ragionare, cosa che il quadro sindacale del Sallca ha cominciato a fare sin dal pomeriggio (nella seconda, separata, sessione della giornata svoltasi nella nostra sede di Corso Marconi) dopo aver ovviamente tracciato un primo bilancio del convegno della mattinata.
Per l’immediato futuro, dopo le assemblee dei delegati per l’approvazione dei vari bilanci (fissate a giugno), oltre a quello sul Fondo Sanitario, come già anticipato, è stata scadenzata anche l’uscita di un nostro approfondimento sul percorso di unificazione dei fondi previdenziali a contribuzione definita.
Rispetto alla gestione degli enti del welfare, il compito principale del nostro sindacato rimane, infatti, quello di mantenere alto il flusso di informazioni sostanziali (e non di maniera) che arriva alle lavoratrici ed ai lavoratori, motivando le posizioni da noi sostenute, denunciando le criticità che si manifestano, dichiarando con la massima trasparenza cosa riescono e cosa non possono riuscire a fare i nostri eletti nelle “stanze dei bottoni”.
Cercando poi di raccoglierne contributi e consenso sulle nostre proposte, per lasciarli meno soli.
In questo numero proponiamo l’ultimo contributo che ci arriva dall’Emilia, che ironizza sulle aspettative aziendali rispetto alle performance dei bancomat di ultima generazione. Spesso i dati sul loro reale utilizzo vengono taroccati con vari stratagemmi, che non staremo qui a svelare, visto che questa rubrica pare essere letta anche ai “piani alti”.
Accanto a questo contributo spassoso, vogliamo provare a rispondere alle tante richieste di “gestori in crisi di vocazione”, che ci chiedono come fare a resistere alle pressioni commerciali sempre più asfissianti.
La soluzione non è certo a portata di mano e, accanto alle nostre iniziative di denuncia in varie sedi, l’unico comportamento che possiamo consigliare è quello di lavorare secondo coscienza, restando, per quanto possibile, indifferenti alle pressioni improprie.
Va fatto un grande sforzo mentale per convincersi (potremmo suggerire di mettersi davanti ad uno specchio e ripetersi più volte queste considerazioni) che chi lavora secondo coscienza (per chi ce l’ha naturalmente) lavora bene, mentre chi lavora in modo superficiale e spericolato, pur di raggiungere o superare gli obiettivi fissati, lavora male, nonostante vari responsabili cerchino di convincerci del contrario.
Al di là del fatto che, contrattualmente, noi abbiamo un orario di lavoro definito, nel corso del quale dobbiamo operare al meglio per eseguire le disposizioni aziendali (quelle vere, non quelle inventate) e non ci sono budget da raggiungere obbligatoriamente, ricordiamo che la miglior tutela ce la fornisce l’azienda, quando nelle norme relative agli investimenti ci ricorda che, in caso di conflitti tra l’interesse del cliente e quello della banca, va privilegiato quello del cliente.
Inutile ribadire, anche, l’attenzione al fatto che, nella foga di raggiungere gli obiettivi assegnati, si possono fare forzature e violazioni alla normativa che, una volta emerse, possono fare scattare sanzioni disciplinari.
Questo va tenuto presente perchè spesso i responsabili tendono a stilare classifiche, per chiedere poi spiegazioni a chi resta più indietro nelle “vendite”. In questo caso torniamo a quanto scritto all’inizio (e da ripetere davanti allo specchio).
Il nostro consiglio finale, quindi, è di lavorare in modo sereno e secondo coscienza (per chi ce l’ha naturalmente), rivendicando con fermezza la correttezza del proprio operato, rispettando le normative e restando indifferenti a pressioni improprie ed all’assegnazione di obiettivi tanto improbabili, quanto non vincolanti. Così facendo, state pur certi, lo stress lavoro-correlato non verrà a voi, ma a qualche responsabile troppo zelante.
Torneremo su questo tema con analisi più approfondite e qualche proposta più forte. Intanto consigliamo di tenere traccia di tutto quello che accade. Alleghiamo un volantino dei sindacati firmatari che esplicita un caso di utilizzo della casella “Iosegnalo”. Le parole del direttore in oggetto non meritano commenti. Vediamo cosa farà l’azienda a fronte di una denuncia così precisa. Purtroppo la maggior parte dei responsabili che “esagera” non è così sprovveduto da mettere in forma scritta certi discorsi, però sarà interessante verificare gli sviluppi di questo caso.
La “narrazione” che emerge dai comunicati dei sindacati firmatari asseconda la tesi che gli accordi sono buoni, ma l’azienda non li applica come si deve. Il tutto ricorda le giustificazioni rispetto al problema degli orari estesi: in quel caso, nel contratto nazionale, senza consultazione preventiva dei lavoratori, era stata introdotta l’apertura degli sportelli dalle 8 alle 20, più il sabato mattina, senza nessun vincolo aziendale. Quando questa possibilità è stata attuata, praticamente ad organici invariati, la “colpa” era dell’azienda che l’applicava senza criterio.
Ora la storia si ripete ed il 7 aprile un comunicato unitario affermava perentoriamente: “chiediamo all’azienda impegni precisi sull’applicazione del Contratto di Secondo Livello e tempi definiti per le comunicazioni delle complessità e per l’erogazione delle indennità di ruolo e di quelle di direzione e sostituzione”.
Se ogni volta ci si deve lamentare della mancata/ritardata/maldestra applicazione degli accordi, o i sindacati firmatari sono sprovveduti (per usare un eufemismo), o forse il problema risiede negli accordi stessi e nella scarsa affidabilità della controparte (non ci siamo dimenticati del licenziamento, poi rientrato, degli apprendisti nel 2012, usato come arma di ricatto nella vertenza in corso).
Noi siamo stati gli unici a contestare gli accordi di secondo livello (peraltro approvati con un’ampia percentuale, sul piano nazionale, dai lavoratori che hanno partecipato alle assemblee), nel metodo e nel merito. Il metodo è stato quello di una piattaforma presentata solo dalla controparte, con proposte già definite, emendate per quanto possibile dai sindacati al tavolo e poi firmate. Parlare di trattativa, in questa situazione, ci pare azzardato. Nel merito gli accordi (non tutti nella stessa misura) lasciavano ampio spazio alla discrezionalità aziendale, oltre a presentare caratteristiche di scarsa chiarezza, elevata complessità, difficile esigibilità.
Dopo sette mesi dalla firma, possiamo verificare gli effetti dell’accordo, in particolare sui temi “caldi” del Premio Variabile di Risultato (PVR) e delle pressioni commerciali.
Sugli altri temi rimandiamo ai comunicati dei sindacati firmatari per i dettagli, ricordando solo gli inaccettabili ritardi aziendali rispetto alle comunicazioni sulla complessità dei portafogli, ai pagamenti di indennità per coordinatori Retail e Imprese, direttori di filiale, direttori di Area, alle tematiche della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Tutto questo senza dimenticare che sugli inquadramenti l’accordo fa passi indietro rispetto ai precedenti per quel che riguarda la rete filiali (peraltro, sistemata la parte che gli interessava, l’azienda si è dimenticata degli inquadramenti dei lavoratori del resto della banca) e che dai comunicati territoriali dei sindacati firmatari, emergono episodi di diniego nella concessione delle giornate di sospensione volontaria (la cui richiesta, complessivamente, ha raggiunto la quota di 95.000).
Sull’argomento del nuovo Fondo Pensioni torneremo con un volantino specifico.
Che succede sul Premio Variabile di Risultato (PVR), una delle “conquiste” del contratto nazionale, che supera la divisione tra Vap e sistema incentivante e pone le basi, secondo i firmatari, per controllare la discrezionalità aziendale sul salario variabile?
Qui lasciamo la parola al comunicato unitario, che sarebbe perfetto se non fosse che l’accordo l’hanno firmato loro:
“abbiamo inoltre denunciato che, dopo la pubblicazione della circolare sul Premio Variabile di Risultato 2015 (PVR) il clima nella filiali, già compromesso dalle pressioni commerciali, è ulteriormente peggiorato. Le schede (scorecard) in merito al riconoscimento della quota di eccellenza del PVR sono eccessivamente complesse (sembra infatti più semplice leggere e comprendere un geroglifico egizio!) ma, quello che è peggio, è la variazione delle “regole di ingaggio” per l’eccellenza.La mancanza di chiarezza e la variazione delle regole di ingaggio creano forte sfiducia tra i colleghi”.
Ritorna la domanda: dabbenaggine o malafede?
Disarmante è la situazione sulla parte delle pressioni commerciali. In buona sostanza, l’unico effetto dell’accordo è che le pressioni scritte (via mail) sono state sostituite da pressioni verbali. I colleghi sono restii a segnalare gli episodi anche con lo “schermo” sindacale. D’altronde cosa segnalare? L’unico esempio richiamato nell’accordo, cioè i continui report richiesti, è già stato ridimensionato dalle funzioni aziendali: i report non sono vietati, è vietata solo la loro “ridondanza”.
Noi stessi avevamo invitato i lavoratori ad usare la casella “Io segnalo”, per non dare l’idea che tutto andasse bene, ma fin dall’inizio sapevamo che sarebbe stato difficile e che l’accordo, in questi termini, non risolveva nulla, mentre regalava all’azienda una patente di “eticità”.
La questione vera è che le pressioni commerciali costituiscono ovunque l’essenza stessa dell’attuale modello di banca, con un paio di specificità di Intesa Sanpaolo.
La prima è un piano industriale ambizioso e irrealistico, perchè pretendere di fare utili a livelli mostruosi mentre l’economia ristagna (quella mondiale e ancor più quella italiana) non ci pare molto etico e certamente richiede di “spremere” oltre misura la rete.
La seconda è un modello organizzativo (il nuovo modello di servizio inaugurato il 19 gennaio del 2015) pensato “scientificamente” per mettere sotto pressione i gestori, attraverso filiali più piccole e la supervisione opprimente dei direttori di area.
Ovviamente un sindacato che scarta a priori l’idea del conflitto non può cambiare né un piano industriale, né l’organizzazione del lavoro che l’azienda si è scelta (e che è in continua mutazione) ma, oltre a negoziarne le ricadute (il che presupporrebbe, comunque, l’esistenza di una propria piattaforma da contrapporre a quella aziendale), dovrebbe almeno contrastare le violazioni di legge e contrattuali che le iniziative aziendali possono determinare.
Questo vuol dire che quando si crea un numero ingente di ore di lavoro straordinario giustificate con NRI (presenza senza prestazione lavorativa), per non parlare di altre forme di straordinario non dichiarate, occorre prendere atto e denunciare la verità: tutto ciò costituisce evasione fiscale e contributiva.
La divisione delle filiali tra Retail e Personal crea disagi ai lavoratori (sia per le difficoltà operative, sia per le clamorose carenze di formazione), fa aumentare le pressioni commerciali e lo stress lavorativo: tutto questo viola il DL 81/2008 sulla salute e sicurezza.
Se viene deciso che le casse debbano essere ridotte, non esitando a lasciare i clienti in coda per tempi interminabili, determinando costanti situazioni di tensione per il colleghi, bisogna dirlo: anche questo viola il DL 81/2008 sulla salute e sicurezza.
Se nonostante i ripetuti richiami, peraltro fatti anche dai sindacati firmatari, l’azienda persevererà con queste violazioni di legge, la denuncia alle autorità competenti sarà inevitabile.
La tensione verso risultati ad ogni costo sta creando un pericoloso stato di delirio di onnipotenza tra alcuni responsabili, il clima intimidatorio non si respira solo nelle filiali, ma anche nelle sedi. Si afferma un senso di impunità dei comportamenti gestionali scorretti e si afferma l’idea che tutto oramai sia lecito in nome dei risultati.
Questa deriva va contrastata con fermezza e sarebbe opportuno che, perlomeno, gli accordi non finissero per avallare certe scelte aziendali, che vanno respinte. Lo stato di malessere dei lavoratori, ormai generalizzato, può essere risolto solo con un’azione incisiva che contempli anche l’avvio di iniziative conflittuali.
Ecco l’inevitabile effetto della trasformazione delle popolari in spa voluta dal governo con un decreto varato in fretta e furia e prontamente recepito da UBI Banca: siamo nelle mani dei fondi comuni.
Certo che, se Bergamo e Brescia avessero messo da parte antichi rancori e avessero unito le forze (al di là della lista comune presentata in assemblea), probabilmente la lista di Assogestioni non avrebbe raccolto il 51% dei consensi, ma ormai è tardi per piangere sul latte versato, anche se qualcuno a Bergamo sta gia’ pensando di rafforzare il patto dei soci per cercare di pesare di più e arrivare almeno al 5% (oggi vale il 3%).
Che la cosa debba preoccuparci o meno rispetto alla gestione precedente, quando sulle ‘’cadreghe’’ della stanza dei bottoni sedevano le ricche famiglie di Bergamo e Brescia, lo vedremo a breve, visto che a giugno sarà pronto il nuovo piano industriale e per fine anno è prevista la nascita della banca unica che farà definitivamente sparire ogni campanile che, da sempre, ha rappresentato valori, tradizioni ma soprattutto poteri locali che dal 02/04/2016, data dell’assemblea per il rinnovo del CDS, sono stati soverchiati dai vari Blackrock e Silchester di turno che, da soli, ora detengono il 10% del capitale azionario.
La presenza ingombrante dei fondi comuni nel capitale non sarà comunque ribaltata automaticamente nel nuovo CDS, in quanto solo 3 dei 15 consiglieri ne sono espressione diretta.
I vertici di UBI sono stati confermati, Moltrasio rimane il presidente e serafico afferma: ‘’una quasi sconfitta che fa piacere’’ e che dimostra la bontà della gestione precedente. Il fondo rimane sullo sfondo…ma la presenza e’ inquietante.
Ma cosa cambierà per noi lavoratori di questa azienda in questo nuovo contesto ?
Quali nuove strategie per vincere la sfida del mercato verranno ora attuate? Che influenza avranno ora questi fondi sulle decisioni di governance visto che ora i ‘’padroni’’ del capitale non sono più i nostri ricchissimi compaesani, ma qualche inafferrabile ed evanescente realtà rappresentata da circa 750 fondi?
Da tempo l’economia capitalista ha visto cambiare gli assetti proprietari, sempre più è gestita e controllata dal potere finanziario, che si esprime con nomi altisonanti come fondi sovrani, hedge funds, fondi comuni, sicav, ecc.. Questi organismi, spesso opachi nella loro attività, detengono grandissimi pacchetti azionari, sono presenti nelle più grandi aziende multinazionali del mondo e possono decidere le sorti di una società o dell’economia di uno stato semplicemente spostando i loro asset con un semplice click. Basti pensare che solo Blackrock è presente in vari settori per circa 4500 mld di dollari (il doppio del nostro debito pubblico).
Difficilmente costoro presteranno particolare attenzione per il territorio specifico cui appartenevano le banche o al benessere del personale (ammesso che prima lo si facesse) come ai tempi di Ubi ‘’popolare’’, se non sarà più che conveniente dal punto di vista economico, ma del resto questo è il mercato bellezza.
Insomma, dal modello paternalistico/clientelare rischiamo di passare direttamente al modello più spregiudicato di stampo anglosassone. Non pensiamo che per superare un modello sbagliato si debba passare ad uno ancora peggiore.
Questa vicenda deve indurre a riflettere su qual’è il modello di banca più utile per i cittadini e per il paese e la riflessione deve partire dall’alto, ma coinvolge anche noi lavoratori quando, in veste di “consulenti’’, proponiamo determinati prodotti.
I nodi irrisolti del sistema bancario italiano stanno venendo al pettine e le nostre idee su modello di banca e ruolo dei bancari sono sicuramente ben diverse da quelle di questi banchieri, ma anche da quello che hanno in testa i sindacati firmatari” che vorrebbero trasformarci tutti in una sorta di tuttologi, da commercialisti a fiscalisti a immobiliaristi e magari, un domani, perché no, anche agenti matrimoniali,,… vista la crisi di promesse nuziali di questi ultimi anni.